Fratelli tuttiChe cosa c’è nella nuova enciclica del Papa (c’è anche l’antipopulismo)

Dedicato alla fraternità e all’amicizia sociale, nel contesto di una tragedia globale come quella del Covid, il documento siglato da Francesco chiarisce, approfondisce e sviluppa i punti cardine del pontificato di Bergoglio e affronta i temi ricorrenti delle migrazioni, della convivenza, ma anche la riforma dell’Onu e il no all’individualismo radicale perché siamo tutti sulla stessa barca

Lontano da scandali e veleni interni che, con lo sberrettamento del cardinale Becciu, hanno sempre più trasformato il Vaticano in un Colle dell’Inferno, sabato il Papa ha firmato sul Colle del Paradiso ad Assisi l’enciclica Fratelli tutti. Come Collis Paradisi fu infatti ribattezzato da Gregorio IX, il 22 aprile 1230, il leggendario Collis Inferni (più ampiamente attestato come Collis infernus, ossia colle inferiore) il luogo in cui sorge la Basilica con la tomba del Poverello.

Digressioni filologiche e metafore a parte, per quanto calzanti, la cerimonia della siglatura della terza enciclica bergogliana è avvenuta nella massima semplicità, alle 15:55, sull’altare sovrastato dal sarcofago in pietra di san Francesco. Nessuna omelia nella messa precedentemente celebrata, nessun commento da parte del Papa, che si è limitato a ringraziare monsignor Paolo Braida, suo “ghostwriter”, e due altri officiali presenti «come segno di gratitudine a tutta la Prima Sezione della Segreteria di Stato che ha lavorato in questa stesura e traduzione».

Dedicata alla fraternità e all’amicizia sociale nel contesto di «una tragedia globale come la pandemia del Covid-19» (nr. 32) – il noto acronimo della malattia infettiva ricorre soltanto un’altra volta nel documento per storicizzarne i motivi: «Mentre stavo scrivendo questa lettera, ha fatto irruzione in maniera inattesa la pandemia del Covid-19, che ha messo in luce le nostre false sicurezze» (nr. 7) –, la Fratelli tutti è, ed è lo stesso pontefice a definirla tale al numero 6, un’enciclica sociale. La seconda, dunque, delle tre bergogliane dopo la Laudato si’ e la dodicesima a partire dalla Rerum novarum di Leone XIII (1891), che ha inaugurato un tale genere di enciclica, i cui pilastri portanti sono la centralità della persona umana, la solidarietà, la sussidiarietà, il bene comune. 

E come la Laudato si’ anche la Fratelli tutti trae il suo incipit da uno scritto di san Francesco d’Assisi, ossia l’Ammonizione VI De imitatione Domini in cui compare la formula vocativa «fratres omnes». Nessuna misoginia, dunque, o mancanza di considerazione delle donne, come lamentato nella settimana scorsa da alcune femministe di area anglosassone senza che avessero letto, fra l’altro, l’enciclica.

Strutturata in una breve introduzione, otto capitoli e due preghiere finali per un totale di 123 pagine e 287 capoversi, la Fratelli tutti, che, apparentemente, non sembra presentare caratteri di novità, approfondisce, sviluppa e chiarifica, in realtà, i punti cardine del settennale magistero bergogliano. Principalmente ispirata al Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza, firmato da Papa Francesco, il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, insieme con il Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib, e citato otto volte, l’enciclica mira a promuovere l’aspirazione mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale sul modello del Buon Samaritano, di cui Cristo è la massima incarnazione ed espressione nell’ottica di un amore che costruisce ponti, mai muri. Tale evangelico esempio di reazione alla «cultura dei muri», cui è dedicato il secondo capitolo intitolato Un estraneo sulla strada, si riallaccia alla considerazione previa della comune appartenenza alla famiglia umana. Tema, questo, che già caro a pensatori non cristiani dell’antichità (basterebbe citare il «membra sumus magni corporis» di Seneca nell’epistola 95 a Lucilio) ma religiosamente rimotivato alla luce del reciproco riconoscimento quali fratelli e sorelle perché figli e figlie di un unico Creatore, è da considerare in un mondo globalizzato e interconnesso qual è quello attuale.

Ci si può salvare solo insieme, e la persistente crisi sanitaria mondiale secondo Bergoglio l’ha dimostrato, perché insieme si è sulla stessa barca, ben consapevoli, come rilevato nel primo capitolo, che si richiedono soluzioni globali a problemi globali come la manipolazione e la deformazione dei concetti di democrazia, libertà, giustizia, la perdita del senso del sociale e della storia, l’egoismo e il disinteresse per il bene comune, la prevalenza di una logica di mercato fondata sul profitto e la cultura dello scarto, la disoccupazione, il razzismo, la povertà, la disparità dei diritti e le sue aberrazioni quali la schiavitù, la tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi (nrr. 10-24). 

Una società fraterna e giusta potrà essere costruita solo sconfiggendo il «virus dell’individualismo radicale» (nr. 105) attraverso la cultura del dialogo e prendendo atto che i diritti non hanno frontiere. Da qui la necessità di un’etica delle relazioni internazionali, che porti a considerare il diritto naturale alla proprietà privata succedaneo al principio della destinazione universale dei beni creati e a una rivalutazione della questione del debito estero, che va sì saldato ma senza che siano compromesse la crescita e la sussistenza dei Paesi più poveri (nr. 126). In una tale ottica il Papa sottolinea come il mercato non sia risolutivo di tutto e, a tal riguardo, sia auspicabile una riforma dell’Onu, che dal predominio della dimensione economica sposti il baricentro del suo impegno alla realizzazione del concetto di “famiglia di nazioni” attraverso un’azione fondata su bene comune, sradicamento dell’indigenza e tutela dei diritti umani.

Tutto ciò esige un ripensamento stesso della politica, di cui la forma migliore (non a caso il quinto capitolo s’intitola La migliore politica) è il popolarismo in contrapposizione ai populismi sovranisti. Il primo, finalizzato al servizio del bene comune, riconosce l’importanza del popolo; i secondi, invece, ignorano la legittima nozione di popolo e, attraverso la ricerca di facile consensi, lo asserviscono ai propri egoismi.

Che cosa intenda il Papa per popolo è indicato attraverso una sua stessa citazione, raccolta da Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, nel volume Le orme di un pastore, e riportata al nr. 158: «Popolo non è una categoria logica, né è una categoria mistica, se la intendiamo nel senso che tutto quello che fa il popolo sia buono, o nel senso che il popolo sia una categoria angelicata. Ma no! È una categoria mitica […] Quando spieghi che cos’è un popolo usi categorie logiche perché lo devi spiegare: ci vogliono, certo. Ma non spieghi così il senso dell’appartenenza al popolo. La parola popolo ha qualcosa di più che non può essere spiegato in maniera logica. Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto comune».

Ovviamente nella Fratelli tutti ritornano in maniera preponderante altri temi cari a Francesco: le migrazioni (in parte del secondo capitolo e nell’intero quarto capitolo), che richiedono, nell’ottica della cultura dell’accoglienza, una governance globale per progetti a lungo termine; la vita quale arte dell’incontro e riscoperta della gentilezza, attitudine capace di creare una sana convivenza (sesto capitolo); il rigetto assoluto della guerra, «fallimento della politica e dell’umanità» (nr. 261), e l’inammissibilità della pena di morte da abolire universalmente nel quadro di una rivalutazione del perdono che è sinonimo non di impunità ma di giustizia e memoria (settimo capitolo); la garanzia della libertà religiosa quale diritto umano fondamentale “al servizio della fraternità nel mondo” in una con la riprovazione di tutte quelle deformazioni delle religioni che sono i vari atti e forme di violenza (ottavo capitolo).

Prima delle due preghiere finali il Papa rivela di essersi ispirato, nello scrivere l’enciclica, non solo a san Francesco ma anche a figure non cattoliche o non cristiane come Martin Luther King, Desmond Tutu, Gandhi. Non senza menzionare  l’esempio del beato Charles de Foucauld, che si era autodefinito, il 7 gennaio 1902, nella lettera a Madame de Bondy, «il fratello universale». 

Sono infine da sottolineare alcune curiosità della Fratelli tutti. Un paragrafo del capitolo terzo reca nel titolo il celebre principio della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1789 Libertà, uguaglianza e fraternità, che, in realtà, fu già riletto in chiave cristiana da Giovanni Paolo II, il 1° giugno 1980, nell’omelia della messa a Le Bourget. Erano inoltre 206 anni che un’enciclica non veniva firmata in Vaticano o nelle sue pertinenze. Bisogna infatti risalire al 4 maggio 1814 quando Pio VII sottoscrisse a Cesena Il Trionfo. Ironia della sorte, Papa Chiaramonti veniva denigrato in vita, anche da porporati, quale eretico o senza fede. Lo stesso accade ai nostri giorni, mutatis mutandis, per Papa Francesco. Ma questa è tutta un’altra storia.

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