Le migrazioni contemporanee, accomunate dal carattere di globalità da leggersi nell’ottica dell’interdipendenze, sollevano sfide molteplici, che interpellano tutti ed esigono nuove risposte secondo il duplice binario della «solidarietà concreta» e della «responsabilità condivisa». Questi i punti chiave del discorso che Papa Francesco ha indirizzato, il 10 settembre, alla delegazione europea di Snapshots from the Borders, guidata dal sindaco di Lampedusa e Linosa, Totò Martello.
Si tratta di un progetto triennale, che, cofinanziato dalla Ue e gestito da 35 partner tra autorità amministrative di confine e organizzazioni civiche, mira a rafforzare una nuova rete orizzontale tra le città liminari dell’Unione che affrontano direttamente i flussi migratori e a promuovere una più efficace coerenza delle politiche a livello europeo, nazionale, locale.
«Progetto lungimirante»: così l’ha definito lo stesso Bergoglio in Sala Clementina (la cui udienza alla delegazione era stata annunciata in anteprima da Linkiesta il 17 agosto scorso), che ha ricordato come esso «si proponga di promuovere una comprensione più profonda della migrazione, che permetta alle società europee di dare una risposta più umana e coordinata alle sfide delle migrazioni contemporanee. La rete di autorità locali e organizzazioni della società civile, che da questo progetto è nata, si prefigge di contribuire positivamente allo sviluppo di politiche migratorie che rispondano a questo fine».
In un tale scenario, secondo il pontefice argentino, a svolgere un ruolo di primaria importanza sono innanzitutto le diverse comunità di frontiera, i cui abitanti «sono chiamati ad essere i primi attori di questa svolta, grazie alle continue opportunità di incontro che la storia offre loro. Le frontiere, da sempre considerate come barriere di divisione, possono invece diventare finestre, spazi di mutua conoscenza, di arricchimento reciproco, di comunione nella diversità; possono diventare luoghi in cui si sperimentano modelli per superare le difficoltà che i nuovi arrivi comportano per le comunità autoctone».
Non a caso i sindaci di frontiera costituivano il grosso della delegazione ricevuta giovedì scorso da Francesco al Palazzo Apostolico. In prima fila il citato Totò Martello, la cui Lampedusa è divenuta icona e simbolo delle sfide migratorie internazionali e dell’imprescindibile accoglienza di una comunità liminare mai sorda al grido di un’umanità martoriata e dolente. E, poi, i sindaci Andrej Kavšek (Crnomelj – Slovenia), Saša Arsenovič (Maribor – Slovenia), Josef Azzopardi (Marsa – Malta), Matteo Ricci (Pesaro – Italia), Martial Beyaert (Grande-Synthe – Francia), Andreas Babler (Traiskirchen – Austria), nonché il vicesindaco austriaco di Straß in Steiermark, Johann Lappi.
Insieme con loro Paolo Patanè, direttore generale del Coordinamento dei Comuni Unesco Sicilia e responsabile dell’Advocacy nazionale del progetto Snapshots from the borders (già presidente di Arcigay nazionale dal 2010 al 2012), e lo scalabriniano Fabio Baggio, sottosegretario del Dicastero per il servizio dello Sviluppo umano integrale, curiale tra i più autorevoli in materia migratoria, che ha fatto da trait d’union tra i “sindaci di frontiera” e Oltretevere.
«Un incontro straordinario quello con Papa Francesco e assolutamente denso di contenuti, soprattutto per la definizione di una nuova possibile chiave di lettura dei fenomeni migratori – esordisce così a Linkiesta Patanè nel commentare l’udienza papale del 10 settembre – La fragilità e le interconnessioni del mondo globale, e la pandemia da Covid-19 ce lo ricorda, descrivono nodi problematici che non si sciolgono senza interdipendenze delle soluzioni e, quindi, senza soluzioni coordinate e condivise. Il Papa è stato netto nel sottolinearlo e in buona sostanza ha teorizzato un possibile approccio in tre punti».
Ossia – come osserva il raffinato intellettuale catanese –, in primo luogo, «il superamento della fase dei conflitti internazionali, che generano le tragedie che ben conosciamo nei differenti teatri di guerra e che, senza nulla mai risolvere, producono quell’emorragia di umanità in fuga che sostanzia la parte più drammatica dei flussi migratori. Secondo, un impegno globale a una soluzione condivisa che superi l’inutile e pericolosa frammentazione degli approcci a un fenomeno imponente. Terzo, il varo di un neo umanesimo che non sia una mera visione filosofica ma che si traduca in uno stile di vita quotidiano. Su un piano pratico mi sembra che questo significhi, innanzitutto, un ritorno della riflessione alla questione della pace: reputo che ciò sia da considerarsi come il consolidamento di un percorso, che il Papa ha iniziato con la Conferenza dei vescovi e patriarchi del Mediterraneo del 23 febbraio scorso, non a caso espressamente da lui menzionata giovedì scorso».
Per Patanè, altro punto fondamentale del discorso bergogliano alla delegazione europea «è quello relativo alla dimensione umana dei fenomeni migratori, perché esso ricomprende non solo la disperazione di chi fugge ma anche le difficoltà o le paure di chi accoglie. Spesso, quando si parla di diritti delle minoranze e di dignità delle persone, si alzano barriere e diffidenze ma la verità è davvero molto più semplice e la si svela depurandola da certe brutalità ideologiche e constatando che tutti siamo uniti dalle stesse emozioni, speranze, paure e bisogni di sicurezza e serenità. Tutti, in fondo, cerchiamo o temiamo le stesse cose ed è questo l’umanissimo terreno su cui incontrarsi in uno spirito neo umanista. Credo che il sindaco di Lampedusa sia prontissimo a raccogliere la sfida che il Papa ha lanciato a Bari sul tema della pace nel Mediterraneo e che ne sposi pienamente la visione».
Ma il responsabile dell’advocacy nazionale del progetto Snapshots from the borders sa andare anche ben al di là delle sollecitazioni pontificie su problema che interessa, innanzitutto, la comunità civile, le istituzioni e la politica.
«Su questo tema – spiega Patanè – si annaspa tra slogan e luoghi comuni. Mancano le soluzioni concrete. E le soluzioni concrete non si troveranno mai rimanendo sempre nella logica del conflitto “porti aperti/porti chiusi”, perché lo scontro serve solo a quella parte politica che ne ha bisogno per costruire consenso elettorale sulla sequenza insicurezza, paura, odio. Tiriamoci fuori da questo terreno: è nella regolarità che auspica il Global Compact sulla migrazioni l’orizzonte che può garantire la salvaguardia delle vite umane, la sicurezza e la dignità di tutti».