Separazione dei poteriPerché la riforma della giustizia spagnola preoccupa Bruxelles

I partiti di governo vogliono un nuovo modo per eleggere i giudici del Consejo General del Poder Judicial. L’opposizione accusa di Pedro Sánchez di “attitudine dittatoriale” e la Commissione europea e Consiglio d’Europa guardano con attenzione ai possibili sviluppi

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Per una volta lo sguardo della Commissione europea, ultimamente spesso attenta il rispetto dello Stato di Diritto nell’Unione non si volge a Est, ma a Sud-Ovest. Arriva dalla Spagna l’ultimo grattacapo per i giuristi di Bruxelles: una riforma che rischia di erodere l’indipendenza del potere giudiziario da quello politico.

Il “bloqueo” e la nuova legge
La proposta legislativa in questione intende modificare la Ley Orgánica del Poder Judicial, che in Spagna regolamenta la composizione e il funzionamento degli organi giudiziari. I gruppi parlamentari di Partito Socialista (PSOE) e Unidas Podemos, che formano la coalizione di governo di Pedro Sánchez, l’hanno presentata lo scorso 13 ottobre e sembrano determinati a ottenere l’approvazione entro due mesi. Se così fosse, cambierebbe il sistema di elezione di parte dei giudici del Consejo General del Poder Judicial (CGPJ), l’organo che governa la magistratura iberica, nominando e rimuovendo i giudici e supervisionando l’attività dei tribunali.

Attualmente l’elezione dei 20 membri del consiglio è riservata in egual misura alle due camere: sia Parlamento che Senato eleggono dieci membri a testa, di cui sei sono “togati” (giudici e magistrati) e quattro giuristi di riconosciuta competenza. Devono farlo con una maggioranza rafforzata di tre quinti della camera. E proprio qui sta il nodo della questione, visto che la proposta di legge prevede l’elezione a maggioranza assoluta per i 12 membri “togati”, nel caso i deputati non riescano a mettersi d’accordo nel primo round di votazioni. Com’era prevedibile la proposta non piace alle opposizioni. Il Partido Popular, seconda forza del Paese, ha annunciato ricorso al Tribunale Costituzionale e la sua capogruppo in Parlamento Cuca Gamarra ha persino definito l’iniziativa «propria di una dittatura».

«L’elezione a maggioranza di tre quinti presuppone il consenso dei due grandi partiti del Paese su ogni nome. Quella a maggioranza, invece, lascia le mani libere al governo per modellare a suo piacimento il potere giudiziario», spiega a Linkiesta Carlos Flores Juberías, eminente costituzionalista dell’Università di Valencia.

La norma non è concepita per prefigurare un caso astratto, ma in ragione di un problema concreto. Il rinnovo del Consejo General del Poder Judicial previsto nel 2018 non è stato portato a termine proprio perché il Parlamento non ha raggiunto un accordo sui nomi dei nuovi membri. In questo modo i “vecchi” componenti, partoriti da una legislatura ormai terminata, hanno continuato a svolgere le loro funzioni, nominando una cinquantina di giudici tra cui 13 componenti del Tribunal Supremo. La cosa ha suscitato veementi proteste da parte della maggioranza, anche perché la carica di giudice supremo è vitalizia.

I partiti di governo hanno accusato l’opposizione di bloqueo, cioè di impedire volutamente il rinnovo dell’organo per mantenere nelle posizioni chiave giudici favorevoli. Come evidenzia il costituzionalista, però, questa situazione di stallo non è nuova nella storia spagnola e soprattutto è il risultato di una trattativa fallita: «Raggiungere o no la maggioranza richiesta per l’elezione è responsabilità di tutti i gruppi parlamentari. Non c’è una formula “giusta” per dividersi le nomine: evidentemente quello che una parte chiede è di più di ciò che l’altra è disposta a concedere»

L’iniziativa legislativa di PSOE e Unidas Podemos è quindi un modo per aggirare questa sorta di veto: l’extrema ratio secondo loro, una comoda scappatoia secondo l’opposizione. Le forze di governo, con l’appoggio dei partiti catalani indipendentisti che già si sono espressi a favore del rinnovo dell’organo, superano la metà dei parlamentari richiesta e con la nuova norma potrebbero procedere alla sostituzione dei giudici del CGPJ.

Critiche dall’Europa
La mossa appare alquanto audace da parte della coalizione governativa, considerando che in futuro un’elezione senza la mediazione dell’opposizione lascerebbe briglia sciolta a ogni maggioranza, comprese le più radicali. E che questa riforma del potere giudiziario è già sotto la lente d’ingrandimento in Europa.

La Commissione Europea per il momento si mantiene morbida, come si evince dalle parole del portavoce per la Giustizia e lo Stato di Diritto Christian Wigand: «Dobbiamo assicurarci che il Consiglio non venga percepito come organo a rischio di “politicizzazione”». A fine settembre Palazzo Berlaymont aveva sottolineato nel capitolo dedicato alla Spagna del suo report sullo Stato di Diritto nei paesi UE l’attuale “anomalia istituzionale” del CGPJ, sollecitando la nomina dei nuovi membri.

Difficile però interpretare questa raccomandazione come un suggerimento a scavalcare l’ostacolo con una nuova legge. Anzi, ciò che preoccupa la Commissione è proprio l’ingerenza politica nella nomina dei magistrati, il “Tallone d’Achille della magistratura spagnola” che questa legge non elimina di certo e forse potrebbe accentuare. «In Spagna c’è già l’impressione che i membri del CGPJ una volta eletti seguano la linea del partito che li ha proposti», afferma Flores Juberías. «La differenza è fra un Consiglio politicizzato, ma almeno frutto del consenso come quello attuale, e un Consiglio politicizzato e monocolore».

Il campanello d’allarme più rumoroso è suonato al Consiglio d’Europa, che non è un’istituzione dell’UE, ma supervisiona il rispetto dei diritti fondamentali (anche) negli Stati Membri. Il presidente del Greco (Gruppo di Stati contro la Corruzione), organo dipendente dal Consiglio stesso, ha avvisato con una lettera ufficiale la Spagna che questa iniziativa potrebbe violare i suoi standard anti-corruzione e rimarcato come la composizione delle istituzioni giudiziarie debba restare il più svincolata possibile dall’autorità politica.

Non è facile pronosticare ora se queste preoccupazioni si trasformeranno in atti concreti. Intanto, la Commissione può pronunciarsi ed eventualmente aprire una procedura di infrazione davanti alla Corte di Giustizia dell’UE solo a cose fatte, quando la legge sarà entrata in vigore. Molto remota appare poi la possibilità di ricorrere all’Articolo 7 del TUE: l’”opzione nucleare” della Commissione, innescata finora soltanto una volta contro la Polonia, prende il via in caso di «chiaro rischio di violazione» o di «violazione grave e persistente» dei valori fondamentali dell’Unione.

Questa procedura presupporrebbe due condizioni praticamente impossibili allo stato attuale. La prima è il voto favorevole del Parlamento Europeo, dove però il governo di Pedro Sánchez è tutt’altro che isolato: la delegazione spagnola guida il gruppo dei Socialisti e Democratici, il secondo più numeroso dell’Eurocamera, con la presidente Iratxe García Pérez e i rappresentanti di Unidas Podemos hanno un peso simile in quello della sinistra radicale. La seconda, ancora meno realizzabile, è l’unanimità del Consiglio Europeo nel condannare la riforma spagnola: pura utopia, visto che Paesi come Polonia e Ungheria si sono già spinti molto più in là nella commistione fra potere politico e giudiziario.

Proprio ai regimi illiberali di Polonia e Ungheria, però, fa riferimento Luis Garicano, eurodeputato dei liberali spagnoli di Ciudadanos e fra i più feroci critici di questa riforma: «Apre la possibilità di intraprendere il cammino verso un sistema autoritario, dove poco a poco si sovvertono i meccanismi democratici». Preoccupazioni in parte condivise anche da Carlos Flores Juberías, che su questa iniziativa così come su altre intraprese dalla coalizione di sinistra parla di «deriva autoritaria molto preoccupante».

Lo spettro che agitano le opposizioni e che potrebbe fare maggiormente presa nell’opinione pubblica iberica è però legato ai fondi europei. In Spagna come in Italia è tanta l’attesa per i soldi del Next Generation EU, in questo caso 140 miliardi di euro. Se dal negoziato tutt’ora in corso fra le istituzioni europee dovesse emergere un rigido meccanismo che vincola l’erogazione dei fondi al rispetto dello Stato di Diritto, ogni possibile minaccia all’indipendenza della magistratura sarebbe sotto esame. L’esecutivo spagnolo, già nel mirino delle critiche per la gestione della pandemia, non può permettersi ritardi.