E alla fine è arrivato Charlie Hebdo. Nello scontro tra Francia e Turchia, o meglio tra Emmanuel Macron e Recep Tayyip Erdoğan, si è inserita la ormai celebre rivista satirica francese, pubblicando in prima pagina una vignetta proprio sul leader turco.
«Erdoğan in privato è molto divertente», recita il titolo, con sotto la caricatura dell’interessato, steso in mutande, che con una mano beve da una lattina e con l’altra solleva la veste di una donna che porta due calici (è vino?), mettendone in mostra il sedere. «Ouh, le prophète», dice lui.
La reazione è stata immediata: il presidente turco ha querelato la rivista, i giornali del suo Paese si sono scatenati contro il «vile attacco» (titolo ricorrente), il ministro della Cultura turco ha lanciato offese in francese su Twitter. «La mia ira», ha detto Erdoğan, «non è dovuta agli attacchi contro la mia persona, ma agli insulti contro al profeta», ribadendo il ruolo, auto-attribuito, di difensore dell’Islam.
Niente di sorprendente, anche perché è da un mese che i due Paesi sono ai ferri corti. Un breve ripasso: il 2 ottobre il presidente francese aveva pronunciato un discorso, coraggioso, contro il «separatismo» islamico, cioè i gruppi estremisti che antepongono le leggi della Sharia a quelle dello Stato.
L’Islam è «in crisi», ha detto, e si è attirato le prime critiche dalla Turchia, che è uno dei Paesi più influenti per la selezione degli imam stranieri inviati in Francia. La questione si è aggravata con l’uccisione del professore Samuel Paty, che aveva mostrato in aula le vignette su Maometto pubblicate nel 2006 da Charlie Hebdo durante una lezione sulla laicità.
Al suo funerale Macron è intervenuto ribadendo il principio della libertà di espressione, con riferimenti precisi alle caricature. Erdoğan ha risposto dicendo che «deve fare esami per la sua salute mentale», ha invitato al boicottaggio dei prodotti francesi insieme a Giordania, Kuwait e Iran. Macron ha richiamato il suo ambasciatore da Ankara, sono seguite proteste e attacchi sui giornali, compresa la posizione di Josep Borrell, Alto rappresentante per la politica Estera, che ha richiamato la Turchia invitandola a cessare le provocazioni. Anche l’Iran ha risposto, con un appello dell’ayatollah Khamenei ai giovani francesi.
Come è stato già scritto su Linkiesta, quello che va in scena è il nuovo Kulturkampf. I due Paesi sono su posizioni opposte in Libia, nel Caucaso e nel Mediterraneo orientale. Ma allo scontro di potere geopolitico si è sovrapposta una dimensione ideologica, un conflitto tra principi: quello della laicità (e della supremazia delle leggi dello Stato) e quello della fede (e della supremazia delle leggi religiose), che si può declinare in mille modi, ma il cui precipitato più esaustivo si riassume nella formula «diritto di blasfemia». Qui è la faglia, qui il terreno di scontro.
Lo dimostra, tra i tanti esempi, questo articolo pubblicato su The Cognate, giornale online dei musulmani indiani – ennesima prova che il tema supera i confini nazionali turchi e abbraccia (proprio come desidera Erdoğan) il mondo islamico in generale. «La libertà di espressione non equivale a libertà di offesa», titola. E questo è «il problema francese», parola non scelta a caso perché la questione non si limita alle sole prese di posizioni del presidente.
Certo, ai loro occhi Macron è un opportunista, visto che è «salito al potere come liberale e centrista» e cerca però di ingraziarsi «la destra estrema della società francese». Sostiene di battersi per «la libertà di espressione», che però – qui è il delirio – in Occidente non vale mai «per le raffigurazioni antisemite», che vengono sempre stigmatizzate e punite (e per fortuna) – la stessa posizione viene ripresa anche dall’ayatollah Khamenei, giusto per non farsi mancare nulla.
Più in generale, il fatto è che il sentimento anti-islamico che cova in Europa è un riverbero «dalle Crociate», dicono, nutrito da pregiudizi e risentimento secolare. Eppure tutti in Occidente «conoscono bene l’amore e la devozione dei musulmani nei confronti di Gesù».
In una ennesima edizione del gioco dei buoni e dei cattivi, il rischio di confondere le acque è altissimo: l’equazione Europa-Cristianesimo, che dimentica la componente laica, per esempio, è molto diffusa ma molto sbagliata. Come è errato sottintendere di parlare a nome di «1,8 miliardi di persone» (ma chi l’ha detto, poi) che si offendono per le vignette di Charlie Hebdo.
La religione è una cosa seria ed «esiste uno spazio definito per il discorso religioso», dicono. Il punto è che esiste anche per la satira. E il valore della laicità sta proprio nella convivenza, non nella prevalenza di una delle due parti in causa.
Una volta accettato questo, si può discutere di tutte le vignette. Anche se l’ultima di Charlie Hebdo per la precisione, non attaccava l’Islam ma Erdoğan e la sua ipocrisia.