Meno internazionali, ripiegate in sé, limitate. Le organizzazioni culturali britanniche rischiano di perdere il loro slancio cosmopolita, di distaccarsi dagli ambienti di altri Paesi e, in poche parole, di finire isolate. Lo sostiene un report dell’Università di Manchester, dal titolo più che eloquente: “The Arts After Brexit”.
Le cause principali della prossima insularità dell’arte inglese (fenomeno che durerà almeno due anni, dicono) sono le solite: l’uscita dall’Unione Europea e l’incertezza globale imposta dal Covid.
«Ci sono troppe incognite sul fronte dei permessi, delle assicurazioni e delle restrizioni alla mobilità», ha spiegato al Guardian la professoressa Charlotte Faucher, tra i compilatori della ricerca. «Il timore è che tutto questo renda troppo complicato mettere in piedi collaborazioni europee». Molte istituzioni hanno già congelato tutto: non ci sono le condizioni per progettare. Ogni iniziativa rischia di venire cancellata tra dicembre e gennaio.
Ma – come anticipato – questa è solo la metà dei problemi. L’altra deriva dalla Brexit: non fare più parte dell’Unione Europea porterà a perdere parecchi fondi per la cultura, diretti dal continente alle istituzioni regionali britanniche. Secondo i calcoli, si tratta di 45 milioni di euro all’anno (è la cifra che i progetti inglesi avevano ottenuto dal 2007 al 2016): tutto in fumo, e la cosa più bizzarra è che centri come Stoke-on-Trent, Great Yarmouth e Middlesbrough, che ne avevano beneficiato in modo particolare, hanno votato per il Leave.
Chi spera di recuperare qualcosa dalle istituzioni locali si illude: la Gran Bretagna è da tempo uno dei Paesi in Europa che investe meno in questo genere di iniziative. In mancanza di soldi, sono le organizzazioni di arte e cultura le prime a venire colpite.
Insomma, c’è uno tsunami annunciato in arrivo che spazzerà via gran parte degli enti di medie dimensioni, proprio quelli che grazie a una serie di partnership con il continente europeo godevano dei fondi del programma Creative Europe. (Londra ha annunciato che non parteciperà più). Adesso mantenere gli standard soliti sarà più costoso, non tutti riusciranno e potrebbero essere costretti a chiudere.
C’è chi spera comunque di accedere ai finanziamenti, magari sviluppando collaborazioni con enti europei (ad esempio la Site Gallery di Sheffield, che potrebbe pensare a un accordo con il Kulturforum tedesco della regione della Ruhr),oppure con iniziative congiunte con le città gemellate (ecco a cosa servono), oppure ancora aprendo succursali all’estero, o sperando in accordi bilaterali a livello governativo.
Ma si tratta di rimedi ancora nell’aria, lontani nella loro realizzazione e, al momento, privi di garanzia.