Daria Bignardi nella comfort zoneSentirsi sempre un’intrusa è una condizione che dà molta libertà

La scrittrice e autrice televisiva, che ha appena pubblicato il suo ultimo romanzo “Oggi faccio azzurro”, racconta di come sia riuscita a prendere il meglio da ogni ambiente in cui ha lavorato - giornali, radio, tv - pur sentendosi spesso fuori contesto

LaPresse

Credo che Daria Bignardi sia riuscita a crearsi da un po’, dal punto di vista professionale, una condizione unica, piacevole, una zona comfort, per cui quando fa televisione è una scrittrice che fa televisione. O, prima, una giornalista che faceva televisione.

Quando scrive su Vanity Fair, però, è prima una scrittrice che una giornalista. E anche quando è stata direttrice di rete, era una scrittrice e autrice televisiva che, per qualche anno, avrebbe fatto la direttrice di rete.

Adesso ha appena terminato “L’assedio” sul Nove, ha cominciato un nuovo programma su Radio Capital – dove viene presentata, per l’appunto, come “l’intrusa” – e ha pubblicato il suo nuovo romanzo, “Oggi faccio azzurro”. È la storia di Galla, una donna lasciata dal marito dopo vent’anni che prova a darsi dalle risposte con l’aiuto di una psicoterapeuta e una voce che non sa da dove arriva, ma che riconosce come quella di Gabriele Münter, artista, fondatrice della corrente espressionista Der Blaue Reiter, Il cavaliere azzurro (azzurro che ritorna), e compagna, poi abbandonata per una donna più giovane, di Vasilij Kandinskij.

Accanto a Galla ci sono gli altri pazienti della stessa psicoterapeuta – un uomo, Nicola, e una ragazzina, Bianca – prima sullo sfondo con le loro passioni e i loro miti, Rosa Luxemburg e XXXTentacion, poi sempre più presenti nella vicenda. Ma prima di arrivare a parlare del libro provo a chiedere conto della mia impressione.

Insomma, fai tantissime cose diverse, ma ti tieni sempre in una posizione un po’ in disparte rispetto a quel mondo. Questo ti permette di prendere il meglio da ogni ambiente, ma quando poi c’è una situazione, o una polemica, che ti stufa, magari riesci anche a tirartene fuori. Non ho capito niente?
Fighissima questa lettura, cercherò di adottarla. Potrebbe essere così in effetti, a essere meno esigenti con sé stessi, e prendendosi meno sul serio. Però non ho ancora capito come si fa a non prendersi sul serio sinceramente e non per finta, con la fatica che si fa a fare le cose. Anche se pure farlo per finta ha un suo fascino e ogni tanto ci provo. Ma devo essere molto ispirata! Hai presente le istantanee? Da fuori sembra sempre tutto più bello da come è in realtà. Nelle istantanee non appare mica quel che c’è dietro qualunque vita: le magagne, il disagio, l’impegno, la pigrizia, la noia. Dovremmo solo ricordarci che è così per tutti, non solo per noi. E pretendere che il Servizio Sanitario passi l’analista a tutti, a partire dai diciotto anni. Per fortuna che ci sono gli scrittori a raccontare cosa c’è dietro all’apparenza.

D’accordo, immagino ci sia pure un’altra faccia della medaglia, e un aspetto meno piacevole di questa faccenda.
Ecco, vedi che lo sai da te. La verità è che mi sono sempre sentita un’intrusa ovunque. In televisione e nei giornali soprattutto: mai sentita a casa da nessuna parte tranne che nel contatto diretto col pubblico o con i lettori. Con loro ci capiamo. Ma gli ambienti mi fanno sudare freddo come quando avevo quattordici anni e passavo davanti alla Cadorina, il chiosco dei fighetti ferraresi, perché non avevo il motorino o i jeans che portavano le ragazze giuste. Col tempo però ho capito che quella dell’intruso può essere una condizione che dà molta libertà e che probabilmente quasi tutti quelli che hanno un temperamento artistico si sentono come me. Per quello da più di trent’anni intervisto gli artisti, per sapere come si fa a sopravvivere senza pelle.

Ritrovo qualcosa di questo equilibrio nel tuo nuovo libro in cui mi sembra che racconti una storia che potrebbe prendere una deviazione tragica in più punti, invece c’è sempre qualcosa che invita a non prendersi troppo sul serio. Persino la “voce”.
Tutti i miei libri fanno un po’ sorridere anche quando parlano di tragedie, ma questo, in effetti, è il più spiritoso, grazie alla Voce del fantasma di Gabriele Münter. La lettrice che mi ha scritto su Twitter che i miei romanzi sono legnate in testa ma la fanno molto ridere non poteva farmi complimento migliore.

Negli ultimi tempi si è parlato fino all’eccesso di quanto la vita privata di un artista debba contare rispetto alle sue opere. Gabriele Münter (e Rosa Luxemburg) ci dicono qualcosa anche in quel senso?
Mi sembra inevitabile che conti, e non ha niente a che vedere con le doti morali dell’artista. Un artista sommo può essere un fottutissimo stronzo, come dice – nella mia fantasia – Münter di Kandinskij. Peccato per i suoi parenti e i suoi amici, ma il resto dell’umanità gode ugualmente della sua arte.

A proposito di uomini, di Nicola ho trovato molto interessante un tratto. La percezione che ha di sé (molto maschilista) è completamente diversa da quella che Bianca e Galla hanno di lui. È la peggior condanna per certe idee…
Ognuno sopravvive come può alla propria famiglia e quella di Nicola intuiamo essere stata un disastro. Lui cerca di liberarsi dal dolore dell’abbandono della donna che amava collezionando più conquiste possibili. È un Casanova targato Venti Venti, anzi 2019 che è l’anno in cui si svolge il romanzo. A me Nicola però sta simpatico, così scorretto e mezzo disperato ma inconsapevole di esserlo, quindi forse alla fine non lo è. Siamo quello che sentiamo no? In esergo di “Karma pesante” misi un verso di Seamus Heaney, che ho scoperto essere uno dei poeti preferiti anche di Obama: «The way we are living, timorous or bold, will have been our life». In generale, ho un debole per i miei personaggi maschili. Arno, il protagonista de “L’acustica perfetta”, credo sia uno dei miei personaggi migliori.

Ecco, ricordo che anche Arno, proprio come Galla, era stato abbandonato dalla compagna. Solo che lui, a differenza di Galla, non si era arreso. Perché? C’entrano mica i figli che avevano assieme?
Non credo c’entrino i figli. Arno all’inizio non si arrende perché non capisce perché Sara se ne è andata. E ha troppo amor proprio per accettarlo. E poi sì, è più solido di Galla, è più forte, sa proteggersi, ma vedi che alla fine i fragili – come Galla – sono capaci di grandi audacie.

C’è sempre un punto, praticamente in ogni intervista, in cui chi fa le domande deve deviare la conversazione rispetto al tema di cui l’intervistato sperava di parlare. Uno ha investito tempo ed emozioni in qualcosa, per esempio in un libro e vorrebbe parlare solo di quello, ma l’intervistatore cambia argomento. Tu che, in certi periodi, fai le domande e, in altri, rispondi come la vivi?
Benissimo! Io preferisco parlare d’altro, si parla sempre troppo delle proprie opere, e secondo me è impossibile farlo bene. I libri stanno lì, vanno letti, non spiegati. Di cosa vuoi parlare?

Per esempio, adesso che mentre parliamo abbiamo scoperto di Maradona, come faccio a non chiederti qualcosa su di lui?
Beh, Maradona c’entra tantissimo con “Oggi faccio azzurro”, e non solo per il colore. Il protagonista – in absentia – si chiama Doug, si parla di tossicodipendenza, ma soprattutto si parla di assoluto. «Tanto più scuro è l’azzurro tanto più risveglia in noi la nostalgia dell’assoluto, della purezza» diceva Kandinskij. Maradona era un capolavoro, la sua vita è un romanzo, il suo bisogno di assoluto lo ha tormentato e fatto morire presto, ma era un grandissimo artista. E come si diceva prima, può darsi che i suoi parenti abbiano da ridire sulle sue azioni, ma a noi ha regalato solo gioia.

A chi lo dici! In realtà volevo chiederti ancora due cose sul libro. Alle persone preoccupate del giudizio altrui si dice sempre di non preoccuparsi perché, tanto, gli altri pensano solo a sé stessi… invece i tuoi personaggi sono attentissimi agli altri. Semmai sembri dire che è inutile immaginare cosa gli altri pensino perché non c’è chance di indovinare…
Che bella cosa hai notato. È vero che alcuni miei personaggi, i più tormentati, sono molto, a volte troppo, attenti agli altri. Io ho un debole per quelli più quadrati, come Arno dell’Acustica, come Franco, il marito di Alma, ne “L’Amore che ti meriti”, o come Gabriella, la nonna di Bianca, in “Oggi faccio azzurro”. Un po’ li invidio: sono i più risolti.

A un certo punto del libro, Gabriele dice «c’è chi sta peggio di te». A me sembra una delle frasi chiave del 2020. Uno dei grandi “non detto” della pandemia. Secondo te funziona pensare “c’è chi sta peggio di te”?
Non so se funziona, forse no, non esiste una gerarchia nel dolore. È una cosa che pensi in carcere, che pensi in ospedale, che pensi quando vedi qualcuno che sta platealmente peggio di te: ma dovremmo ricordarcelo sempre.

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