Dimenticati dal DpcmLa crisi dei distributori automatici, senza ristori e con il futuro segnato

Con il lockdown anche il mercato delle macchinette è crollato: -70% nel fatturato. Le conseguenze della pandemia, compreso lo smart working, mettono a rischio un settore con 30mila dipendenti e una expertise tra le migliori d’Europa. Ma nel decreto Ristori non se ne parla nemmeno

da Pixnio

Confinati nell’ultimo degli sgabuzzini in fondo a destra, lungo i corridoi di scuole e uffici, nelle sale d’attesa degli ospedali e lungo i binari del treno. Sono circa 822mila i distributori automatici che presidiano il territorio italiano. Una presenza fissa che ora, di fronte all’emergenza Covid-19, al ricorso allo smart working, alla chiusura di scuole e università e alle limitazioni degli spostamenti, è a rischio sostenibilità.

Il settore ha registrato un -34% a livello di consumi con picchi di perdita di fatturato che, ad aprile, hanno toccato il -70%. Eppure non trova sponde nel governo.

Escluse dai decreti Ristori, le oltre tremila aziende che compongono il settore hanno lanciato il proprio grido d’allarme durante gli Stati Generali del Vending organizzati l’11 novembre.

A rischio, non solo la tenuta di un comparto che conta 30mila dipendenti diretti e altri 12mila, se si considera l’indotto, ma anche una expertise che rende l’Italia leader a livello europeo (compreso il 70% di macchinari prodotti nel nostro Paese ed esportati all’estero).

Sebbene nessun Dpcm emanato da ottobre in poi abbia mai vietato l’operatività delle vending machine, il settore dei distributori automatici è stato messo in crisi dalle conseguenze indotte dalla pandemia.

Sul lato consumi, secondo i dati Confida elaborati da Ipsos, rispetto allo stesso periodo del 2019 sono stati venduti il 27,5% in meno di caffè e il 42,8% in meno di bottigliette d’acqua. In territorio negativo finiscono anche snack salati (-46,5%) e dolci (-38,6%). Una contrazione sui cui pesano costi e spese che continuano a correre.

È il caso dei canoni concessori e demaniali che le imprese devono pagare per installare e gestire distributori automatici nel settore pubblico (che rappresenta il 25% della fonte di guadagno per il settore). «Oggi questi costi pesano sul fatturato delle aziende per circa il 12%. Grazie all’articolo 28 bis del Decreto Rilancio siamo riusciti a mettere una toppa allungando la concessione oppure a mediare per ridurre il canone», spiega il presidente di Confida, Massimo Trapletti.

Difficoltà anche sul lato burocratico e autorizzativo con alcune iniziative di carattere ministeriale che creano più problemi che trasparenze. Secondo la prima stesura dei CAM (Criteri Ambientali Minimi) da parte del ministero dell’Ambiente, gli operatori del vending devono attenersi a protocolli molto rigidi in termini di servizio e prodotto.

Qualche esempio? «Penso alla classe energetica B richiesta per l’installazione dei distributori automatici. Alla luce della revisione delle direttive comunitarie che hanno stravolto tutti gli indici di riferimento, ci troveremo di fronte, come minimo, a tre anni di investimenti per raggiungere i target stabiliti. Oppure potremmo parlare dell’obbligo di utilizzare bicchieri in polpa di cellulosa biodegradabile compostabile, che non esistono per i distributori automatici e nemmeno potrebbero reggere le temperature a cui sono somministrati i prodotti.

Infine, la richiesta di introdurre alcune categorie di prodotto difficilmente vendibili, come certa frutta secca che a stento si trova al supermercato più rifornito e che, invece, dovrebbe occupare una spirale della macchinetta causando un potenziale danno da referenza invenduta», racconta Trapletti.

Eppure le proposte sul tavolo per rilanciare il settore ci sono: cassa integrazione Covid-19 in deroga giornaliera, inserimento del settore tra quelli sostenuti dai DL Ristori, credito d’imposta al 70% dell’importo dei canoni concessori per l’anno 2020-2021, messa in campo di contributi a fondo perduto per investimenti in innovazione, digitale e sostenibilità, e la riduzione dell’aliquota Iva del vending dal 10% al 4% per il 2021 (così da stimolare i consumi una volta passato il picco dell’emergenza).

Piuttosto, quello che agli occhi dei professionisti e delle aziende impegnate sembra mancare è la parità di trattamento rispetto ad altri settori: «Difficile capire perché il ministro all’Ambiente Sergio Costa abbia puntato dritto sul settore del vending e non abbia imposto le stesse attenzioni in termini di sostenibilità ambientale anche a bar, ristoranti e grande distribuzione», commenta Trapletti.

Di fatto, secondo le previsioni elaborate da Prometeia, anche nelle migliori prospettive il vending è di fronte a cambiamenti epocali che potrebbero portare a perdere fra i 264 e 937 milioni di euro in base al quoziente di ritorno al lavoro, allo studio e al servizio in presenza.

Ogni crisi, però, lascia spazio alle innovazioni e ai cambiamenti. A seguito della forte accelerazione dell’eCommerce e del delivery, sono emersi nuovi format che, a partire dall’immagine collettiva della classica macchinetta del caffè, si evolvono in smart locker, magari refrigerati che da commodity diventano vero e proprio strumento di welfare aziendale e risparmio in termini di servizio mensa.

Tanto che «nella nostra visione a medio-lungo periodo siamo certi che il mondo della ristorazione collettiva-aziendale, almeno per il modello di business riferito ai colletti bianchi nelle grandi città, sia finito», spiega Marco Mottolese, co-founder e ceo di Foorban.

Attivo da tre anni, il brand si è velocemente sviluppato sulla piazza di Milano e da qui ha arricchito la sua proposta con l’ideazione di SmartFridge (30 le aziende convenzionate attualmente): un locker a temperatura controllata, dalle dimensioni contenute, dove il dipendente dell’azienda convenzionata può farsi consegnare piatti pronti da consumare sul posto.

«Il sistema permette sia l’acquisto di impulso, direttamente dal frigo, sia la possibilità di preordinare il piatto desiderato tramite la nostra piattaforma al mattino e trovarlo entro l’ora di pranzo. L’acquisto si completa tramite web app su cui i dipendenti possono spendere anche i buoni pasto», racconta Mottolese.

Non mancano format più grandi come quello installato da Amazon, primo grande cliente di Foorban, oppure quello che somiglia a uno store in tutto e per tutto: «Ne abbiamo cinque attivi al momento, tutti presidiati da nostri dipendenti che garantiscono anche il servizio aggiuntivo della caffetteria. Qui non ci sono frigoriferi chiusi, ma aperti su una superficie di 30-40 mq. Ideali per aziende con oltre 500 dipendenti che trovano prodotti preconfezionati nella nostra dark kitchen che utilizziamo anche per evadere gli ordini del servizio delivery», conclude Mottolese.

Sulla stessa scia c’è anche MyFridge della startup Spesafacile: «Pensiamo che uno dei cambiamenti in atto, e in fase di consolidamento dopo il picco dell’emergenza, sia la funzionalità del luogo di lavoro. Da un lato, ci sarà un ricorso a maggiori soluzioni flessibili per andare incontro alle presenze alterne dei dipendenti in ufficio. Dall’altro, per aziende che hanno una visione lungimirante, l’ufficio diventerà un luogo sicuro che eroga servizi, in cui il dipendente trova tutta una serie di agevolazioni di cui l’azienda stessa si fa carico. Incombenze quotidiane, come la spesa del fresco o il consumo del pasto, diverranno strumenti essenziali per equilibrare il work-life balance», afferma Giorgio Brojanigo, co-founder di Spesafacile.

Tre, in questo senso, i format proposti: l’open locker non refrigerato in cui ricevere gli ordini di qualsiasi eCommerce; uno a temperatura controllata, ideale per la consegna della spesa e il ritiro a fine giornata; e MyFridge che permette di adattarsi alle esigenze di aziende medio-piccole, intorno ai 15-20 dipendenti. Soluzioni che, nel prossimo futuro, potrebbero presto sostituire la più tradizionale macchinetta. Con buona pace dei coffee lover.

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