«Parlare ancora di uguaglianza di opportunità come conseguenza della crescita economica sarebbe un grave errore. Al contrario, la giustizia sociale deve essere il driver dello sviluppo: senza l’una non c’è l’altro». Lo dice l’ex ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, coordinatore del Forum disuguaglianze e diversità, che ha appena pubblicato il saggio “Quel mondo diverso. Da immaginare, per cui battersi, che si può realizzare” (Laterza), scritto a quattro mani con Enrico Giovannini.
Parlando con Linkiesta, Barca definisce questa fase «un’opportunità» per l’Italia. Non solo per l’arrivo dei fondi europei con il Next Generation Eu, ma anche per la possibilità di «avere per la prima volta una visione e un approccio strategico per quanto riguarda le politiche da mettere in campo, mettendo a sistema tantissime risorse. Ancor di più perché i fondi europei arriveranno in base ai progressi fatti, quindi qualsiasi piano senza costrutto verrebbe interrotto».
Il punto di partenza del Recovery Plan italiano deve essere un principio fondamentale, quello espresso nell’articolo 3 della Costituzione, che recita così: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Per Barca basterebbe rispettare questi principi costituzionali per cambiare il paradigma della nostra economia, «che non può e non deve più essere soltanto quello dell’aumento del reddito, ma deve migliorare l’accesso alla salute, a un’istruzione adeguata, assicurare il lavoro ai cittadini».
La prima delle priorità strategiche inquadrate dall’ex ministro è proprio quella della giustizia sociale. «L’Italia – spiega – non può più fare a meno di fare della riduzione delle disuguaglianze il suo obiettivo primario, il cui conseguimento è un requisito per l’aumento della produttività. Parliamo di un Paese che ha distrutto l’uguaglianza delle opportunità nella vita e nel lavoro: donne, giovani che escono dalla scuola, piccole e medie imprese, questi soggetti di cui troppo facilmente si dice che “non producono quindi non contribuiscono allo sviluppo del Paese” vanno rimessi al centro del discorso di sviluppo».
Una seconda priorità riprende ancora l’articolo 3 della Costituzione. “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
La parte su cui concentrarsi in questo passaggio è «rimuovere gli ostacoli». Barca lo spiega così: «L’Italia è stata particolarmente colpita dal progresso tecnologico che ha concentrato la conoscenza nelle mani di pochi soggetti, perché siamo il Paese delle piccole e medie imprese, le famose multinazionali tascabili che per questo motivo sono state tagliate fuori dal progresso. A loro va trasferita competenza tecnologica, innovazione, conoscenza attraverso la valorizzazione dei legami tra imprese, università e ricerca».
Anche in questo caso, la proposta di Barca non comporta grandi progetti da parte dello Stato, «la politica non è chiamata a inventarsi regole nuove, ma deve semplicemente implementare, rafforzare ed estendere questi legami tra le parti, che già ci sono».
L’aiuto dall’alto ai principali attori del tessuto economico e imprenditoriale italiano, le pmi appunto, è diventato prioritario in questa fase di crisi soprattutto perché nel corso degli anni troppo spesso i governi hanno avuto un atteggiamento quasi di indifferenza nei loro confronti.
«Già nelle stime precedenti al 2020 – spiega l’ex ministro – tra un quarto e un terzo delle Pmi risultava avere bassa produttività, e sopravviveva grazie a bassi salari o a lavoro parzialmente irregolare. L’indifferenza di cui si parla ha due genitori, molto diversi, ma entrambi responsabili. Da un lato una fiducia cieca in quel modello di business che faceva pensare “tanto ce la fanno comunque”. Dall’altro una disattenzione perché si pensa che il mondo va verso le grandi aziende». In questo modo però si è arrivati a una mancanza di coordinamento, di stimoli e di supporto a una molteplicità di piccole e medie imprese che dell’Italia sono una componente fondamentale.
C’è una terza priorità indicata da Barca, e riguarda un argomento rimesso al centro del dibattito pubblico proprio in questi mesi: occorre ridare forza alle aree interne del Paese e rilanciarle.
È un discorso piuttosto lineare, dice Barca: «Siamo un Paese di costruttori, di ingegneri, l’edilizia vale molto nel Pil italiano, e oggi c’è un grande bisogno di un piano di edilizia pubblica ben indirizzato. Le aree interne ospitano tra i 4 e i 5 milioni di persone. Territori in cui vanno valorizzati i servizi fondamentali per la vita, quindi scuola, ospedali e tutto il resto; eliminati gli ostacoli alla qualità di vita e agli imprenditori giovani che già ci stano scommettendo; e vanno messi in in sicurezza perché tra le altre cose questi territori coincidono anche con le aree sismiche».
Per l’ex ministro queste tre priorità – giustizia sociale, rimuovere gli ostacoli alla qualità della vita delle persone e valorizzare tutto il territorio italiano – non sono le uniche, «ce ne sono altre, come l’abbattimento della povertà educativa, ad esempio. Ma c’è bisogno soprattutto di creare piani strategici che parlino alle persone, ai loro piani di vita, che creino delle risposte alle esigenze reali».
Per creare questo dialogo tra istituzioni e tutte le parti sociali e imprenditoriali, dice Barca, «è indispensabile creare tavoli di discussione su cui lavorare a lungo giorno e notte, chiarendo obiettivi, questioni tecniche, anche per raccogliere i saperi. Perché se devo fare una strategia di mitigazione del rischio sismico in un’area dovrò necessariamente dialogare con chi vive e lavora lì».
Per il momento però c’è da essere fiduciosi circa le possibilità che l’Italia riesca a definire i suoi obiettivi strategici con chiarezza e puntualità. «Dopo una falsa partenza a luglio – dice Barca – c’è stato un cambio di rotta del governo che adesso dimostra di voler costruire, riconoscendo soprattutto la necessità di aver bisogno di tempo per definire i suoi obiettivi. In questo momento di progetti pensati e presentati in tutta fretta non ce n’è alcun bisogno».