Il romanzo inverosimileLe tante lezioni di “Lockdown”, il libro che anticipò la pandemia, che non abbiamo ascoltato

L’autore scozzese Peter May lo aveva scritto nel 2005 ma gli venne respinto perché non credibile. A distanza di 15 anni la realtà gli ha dato ragione, ed è stato pubblicato (in Italia da Einaudi). Gli editori fecero un errore di valutazione, purtroppo il meno grave di quelli commessi finora da tutti gli altri

da Wikimedia Commons

Pensava di scrivere un «thriller veloce, commerciale e vendibile» e invece, senza saperlo, ha tirato fuori una profezia. È la storia dello scrittore scozzese Peter May, autore di “Lockdown” (ora pubblicato da Einaudi) che nel 2005 aveva immaginato lo scoppio di una epidemia a Londra, con tanto di chiusure forzate, stop ai trasporti, aerei a terra e perfino il ricovero del primo ministro all’ospedale St. Thomas (nel libro però non se la caverà, come invece è successo, per fortuna, a Boris Johnson).

L’idea di base del suo libro, come spiega in una intervista alla Lettura del Corriere della Sera, risale all’inizio del 2000 ed era diversa: voleva scrivere una serie di thriller ambientati in Cina. In uno di questi alcuni terroristi avrebbero cercato di resuscitare il virus della Spagnola per farne un’arma biologica.

Il progetto andò in fumo ma l’idea rimase, soltanto venne cambiata l’ambientazione (stavolta a Londra) e l’agente patogeno, che era una variante dell’influenza aviaria H1N1. Il resto lo prese dai piani di contenimento elaborati all’epoca dal governo inglese. Erano più dettagliati e, soprattutto, visti con il senno di poi, molto più efficaci di quelli messi in atto. Erano anche molto simili ai provvedimenti presi all’epoca dell’influenza spagnola.

Tuttavia – e questo rende la vicenda di “Lockdown” una piccola parabola dell’editoria – all’epoca il libro venne rifiutato. Troppo irrealistico, gli avevano risposto. Una fantasia «ridicola, pura fantascienza».

May non se la prese più di tanto. In quel periodo aveva scritto altri due romanzi (entrambi respinti) che divennero successi internazionali. L’unico inedito – e lo sarebbe stato per altri 15 anni – era proprio “Lockdown”. Lo lasciò nel cassetto, come si suol dire, e addirittura, se lo dimenticò.

Poi sono avvenuti i fatti noti. Allo scoppio della pandemia, con le prime misure anti-contagio, sono riemersi anche i ricordi e, a quel punto, la pubblicazione diventa un fatto scontato, quasi una sorta di risarcimento.

Certo, le differenze sono tante: il virus nel romanzo è diverso (e molto più mortale), la malattia rimane confinata nel territorio inglese (tanto che voli e contatti vengono banditi da tutto il mondo) e un vaccino viene elaborato in fretta, anche se non è molto efficace (e si spera che rimanga una differenza).

Ma le somiglianze sono impressionanti: dall’atmosfera generale di allarme, con lo stato di chiusura di tutte le attività, alla caduta dell’economia, fino ad arrivare a considerazioni che ormai si leggono e sentono dappertutto, come questa: «In quest’èra moderna di viaggi aerei, viviamo davvero in un villaggio globale. E abbiamo creato le incubatrici perfette per coltivare e trasmettere un’infezione, con gli autobus e gli aeroplani e le metropolitane su cui ci spostiamo. Un disastro umano annunciato, insomma». All’epoca si parlava ancora di villaggio globale, e non di globalizzazione, ma è quasi la stessa cosa.

Va compreso nel novero delle coincidenze il fatto che il veicolo del contagio primario sia, nel romanzo, una bambina cinese – Wuhan, remember? – ma ci si ferma lì (anche per evitare altri spoiler)). Per il resto, è tutto un déjà-vu, anzi un déjà-vecu, tanto che una timida domanda si affaccia: siamo sicuri che la gente voglia leggere un romanzo che racconta in anticipo quello che ha vissuto negli ultimi mesi e, si teme, dovrà rivivere nei prossimi?

Insomma, all’elenco dei tanti ritardi che hanno caratterizzato la reazione alla pandemia, volendo, si potrebbe aggiungere anche quello della pubblicazione, di sicuro il meno colpevole di tutti.

Ma chissà: se gli editori inglesi avessero scelto di mandare in stampa “Lockdown” 15 anni fa – chi può dirlo? – magari si sarebbe creata più sensibilizzazione, magari si sarebbe tenuto maggior conto dei piani di contenimento, magari, insomma, non ci saremmo trovati in questa situazione. Ma è pura speculazione. Peter May, dal canto suo, non ne approfitta. E ha scelto di dare in beneficenza tutti i ricavi di questa pubblicazione tardiva.

X