La prima notte di coprifuocoLa nuova strana routine della polizia di Roma per far rispettare le regole del Dpcm

La questura della capitale ha dovuto «reinventare» una parte del proprio lavoro, che con la pandemia è molto cambiato. Cronaca di una nottata passata con gli agenti per le strade, tra posti di blocco, primi verbali, qualche fuga e la sensazione che stavolta non andrà tutto bene, ma sarà molto più difficile resistere al lockdown, sia dal punto di vista economico che sociale

Mauro Scrobogna /LaPresse

«Io non sapevo ci fosse il coprifuoco. Sono andato da mio cugino a vedere la partita e ora stavo a tornà a casa». Manuel ha poco più di vent’anni. Gesticola al volante della sua Panda mentre i poliziotti gli chiedono cosa faccia in giro alle 23.15. Un’ora e un quarto dopo l’inizio del nuovo coprifuoco nazionale. Tuta, scarpe da ginnastica e alcune scritte tatuate sulla mano, riceve controvoglia un verbale da 400 euro per la violazione del dpcm entrato in vigore venerdì 6 novembre. «Vabbè ma che ho fatto? Non pensavo fosse oggi, c’ho pure mia madre che m’aspetta». 

Dopo le dieci di sera, a Roma il panorama è spettrale. Serrande abbassate, viali deserti, qualche cantiere stradale miracolosamente aperto. Persino i gabbiani sembrano volati in quarantena. Circolano poche auto. La città è tutta dei rider che corrono a consegnare la cena. E delle ambulanze che sfrecciano a sirene spiegate. Sono moltissime, un numero impressionante anche per una metropoli indifferente al caos e assueffatta alle emergenze croniche.

È mezzanotte nella Capitale d’Italia e sembra di abitare in un paese desolato. I semafori che scattano senza automobili in attesa ricordano i colori con cui il governo ha suddiviso le regioni. Oggi il Lazio è giallo, domani chissà. La bellezza della Città Eterna, vuota e silenziosa, stride con la calma apparente imposta dal virus e dal governo Conte.

Si fanno le prove per un nuovo lockdown. «Dalla scorsa primavera ci siamo dovuti reinventare, abbiamo riprogrammato una serie di attività che non sono proprie della polizia», spiega a Linkiesta il vicequestore Isea Ambroselli che dirige il Commissariato Cristoforo Colombo. Con i suoi agenti ha organizzato i posti di blocco su viale Marconi, una delle arterie principali della zona sud di Roma. 

Quindici poliziotti restringono la carreggiata in entrambi i sensi di marcia. Le pattuglie coi lampeggianti accesi sono disposte in obliquo. Oltre alle palette ci sono torce, fratini, birilli e segnaletica mobile. «Ci piace fare le cose per bene», sorride il vicequestore mentre maneggia un mazzo di autocertificazioni.

Tra decreti di Palazzo Chigi e circolari interpretative del Viminale, le regole cambiano così velocemente che pure le forze dell’ordine hanno qualche imbarazzo nella valutazione dei singoli casi. «Cerchiamo di aggiornarci, ma qualcosa sfugge e dobbiamo verificarla», ammette un ispettore mentre consulta il testo di legge sul tablet. «Comunque, per deformazione professionale, siamo abbastanza allenati a riconoscere chi dice la verità e chi inventa scuse».

Chi passa da quelle parti è costretto a fermarsi e spiegare i motivi dello spostamento. Silvia e Ilaria sono due comparse di ritorno da un set cinematografico. Gabriele ha finito il suo turno da Mc Donald’s, Massimiliano è un padre separato che ha fatto visita al figlio, mentre Fouad è un facoltoso turista tunisino che rientra in hotel, sorpreso da quello spiegamento di forze. A qualche metro di distanza, uno scooter riesce a fare inversione e fugge via prima del controllo. Tutti gli altri, a motore spento, compilano le autocertificazioni. Un rito collettivo a cui ci si rassegna, il permesso prezioso per una libertà a tempo.

Tra Testaccio e Ostiense non gira nessuno. Gli avamposti della movida capitolina sembrano quartieri dormitorio. Qualche sbandato, i camion della nettezza urbana, gli autobus vuoti. 

Su viale Cristoforo Colombo non ci sono nemmeno le prostitute. Restano vuoti i marciapiedi romani celebri per le lucciole. A Largo Loria di solito battono le trans, ma stavolta c’è solo una comitiva di ragazzi che si dilegua appena intuisce il colore dei lampeggianti. «Le prostitute hanno rimodulato il lavoro», spiegano gli agenti. «Adesso le trovi di pomeriggio o di sera, magari alla fermata dell’autobus». Nei giorni scorsi le pattuglie hanno multato alcuni “bibitari” abusivi che rifocillano le ragazze con bevande energizzanti e alcolici. Il sesso a pagamento nella Capitale non si ferma nemmeno col Covid, cambia solo orari e luoghi.

All’una di notte il posto di blocco su viale Marconi viene smantellato. Le persone controllate sono un centinaio, 25 con precedenti penali. Due vengono multate per la violazione del coprifuoco e altre due per non aver messo le mascherine. «Tutto tranquillo, sono stati bravi», annuiscono gli agenti mentre si preparano per rientrare in commissariato. Nei prossimi giorni dovranno fare molte altre operazioni del genere.

«È vero – riflette il vicequestore Ambroselli – in certi casi questo lavoro è diverso dal nostro ma rappresenta un buon termometro sociale. Ci aiuta a capire come rispondono i cittadini alle misure del governo, cosa pensano. In molti ci chiedono informazioni, sono curiosi». D’altronde in tempi di Covid cambia tutto. Più controlli ai negozi, multe a chi non indossa la mascherina e ronde contro gli assembramenti. 

Un divieto dopo l’altro. «Molti giovani ci sfidano, qualcuno ci prende in giro per il tipo di controllo che eseguiamo, serve pazienza. Adesso il prefetto chiede queste attività e noi dobbiamo esserci». D’altronde nei quartieri della Capitale, con l’aumento dei contagi e le nuove restrizioni, muta anche la fisionomia degli interventi. 

Durante il primo lockdown i crimini si erano quasi azzerati. «In compenso – spiega il sostituto commissario Fabrizio Cerquaglia – sono aumentati in modo preoccupante le liti e i maltrattamenti in famiglia. Vittime e carnefici che convivono nello stesso ambiente casalingo, spesso senza denuncia. Temiamo che con questa seconda ondata possa tornare a crescere questo tipo di reati». L’altra faccia dello smart working. 

In un periodo inedito e assurdo anche lo spaccio si reinventa. Lo raccontano i poliziotti: «Se la città è ferma, la droga arriva a domicilio. È capitato in diversi casi che a portarla fossero dei rider nei loro zaini per il cibo». Tutti a casa, che la notte è lunga.

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