Si era radicalizzato molto velocemente, smettendo di fumare, di consumare bevande alcoliche e di frequentare le ragazze. Secondo alcune fonti, ci aveva messo meno di un anno e lo aveva fatto tramite il web, come accade di frequente. La sua trasformazione era stata tutta documentata in rete, attraverso qualche post sui social-network. Voleva fare la jihad, cioè la guerra santa, e per concretizzare il suo piano aveva stilato una sorta di elenco, con dettagli e obiettivi molto precisi. Anche se aveva soltanto 18 anni. Il 16 ottobre 2020, a Conflans Sainte Honorine, non troppo lontano da Parigi, il giovane Abdullakh Anzorov, dopo essersi fatto indicare da alcuni adolescenti l’identità di Samuel Paty, lo aveva decapitato. Un’azione fredda e brutale, per punire il docente di storia e geografia che, in una classe, aveva mostrato alcune vignette di Charlie Hebdo. Della sua esecuzione si conosce (quasi) ogni sfumatura, compresa la nota lasciata sul cellulare dal ragazzo per rivendicare l’attacco e la diffusione della foto su Twitter della vittima senza vita. E se la dinamica dell’agguato è praticamente identica a quella di altri attentati (anche recenti) a cui Francia ed Europa si sono “abituate” nel tempo, l’interrogativo ora si concentra sulle origini del 18enne.
Il giovane rifugiato ceceno
Anzorov, in Francia, infatti, era arrivato da qualche anno, dopo essersi ricongiunto con la sua famiglia. Sono tutti di origini cecene e il giovane aveva vissuto gran parte della sua esistenza come rifugiato in Francia. Lì si era formato fino al momento dell’attentato, probabilmente assorbendo (anche) le contraddizioni dell’esclusione sociale che vivono molti suoi coetanei. In molti si sono interrogati sul peso delle sue origini, chiedendosi se la sua provenienza avesse giocato un ruolo determinante nell’azione compiuta. Giovanni Savino, senior lecturer di storia contemporanea presso Ranepa (l’Accademia presidenziale russa dell’economia nazionale e del servizio pubblico), a Mosca, non crede che l’etnia abbia favorito un’accelerazione nella pratica fondamentalista del ragazzo: «Anzorov viveva in Francia da anni, quindi, probabilmente, ad avere un ruolo nella sua radicalizzazione non sono state le sue origini cecene, ma l’essere cresciuto in quel contesto. Inoltre, proprio lo status di rifugiato sembrerebbe escludere legami con la Cecenia di Ramzan Kadyrov, che di sicuro non rappresenta un modello di laicismo».
I (vari) conflitti tra Russia e Cecenia
Negli anni, in Cecenia si sono consumati conflitti di ogni tipo: identitario, religioso e nazionale. La regione ha spesso cercato l’indipendenza e negli ultimi 30 anni è stata teatro di due guerre, maturando anche un forte sentimento anti-russo. Qui vivono musulmani sunniti, cristiani ortodossi e qualche minoranza. Il primo conflitto, combattuto contro Mosca tra il 1994 e il 1996, terminò con la dichiarazione d’indipendenza della regione dalla Russia e con la nascita della Repubblica cecena d’Ičkeria. Il conflitto iniziò nel 1994, quando le forze federali russe tentarono di prendere il controllo delle varie aree montuose della regione.
Nonostante la maggioranza di uomini e la loro superiorità bellica, l’esercito russo venne respinto dalla guerriglia cecena. La seconda guerra cecena, che iniziò nel 1999 e terminò nel 2009, invece, vide scontrarsi Mosca contro i separatisti ed ebbe esiti molto diversi. Nel meccanismo bellico, però, va inserito anche lo scontro religioso, elemento molto complesso, da analizzare con attenzione.
«La Russia è un Paese multietnico e multiconfessionale, in cui la presenza dell’islam risale al 1552, data della conquista del khanato di Kazan’ da parte della Moscovia. Un rapporto di sicuro non semplice, con momenti di scontro, ma sarebbe bene distinguere tra le varie comunità musulmane presenti nel Paese (parliamo di circa 14 milioni di aderenti all’islam, secondo i dati del 2017) e i rapporti che hanno avuto nel corso del tempo con il centro russo», spiega Savino. Che aggiunge: «Nel caso ceceno (e del Caucaso) il conflitto non è stato solo di matrice religiosa, ma politica, sin dalla fine del XVIII° secolo: il ricorso alla jihad come pratica di mobilitazione di quei popoli che allora venivano chiamati ’montanari del Caucaso’ implicava la difesa dell’indipendenza dall’espansione imperiale russa”»
Islam e radicalizzazione in Cecenia
Come chiarito dallo studioso, agli inizi del conflitto contemporaneo ceceno, le rivendicazioni risultavano più di tipo “nazionale” che religioso: «Lo stesso Džochar Dudaev, leader degli indipendentisti ceceni, iniziò a usare la carta della solidarietà islamica solo in un secondo momento, per ricevere il sostegno di alcuni Stati, come l’Arabia Saudita e le monarchie del Golfo Persico. Ma la Cecenia venne riconosciuta come Stato indipendente da un unico governo, l’Emirato islamico dell’Afghanistan (ovvero i talebani) solo dopo la morte di Dudaev”. E per capire quando e in quale misura il fondamentalismo islamico si sia inserito nella società cecena contemporanea è necessario analizzare l’origine dell’ultima guerra.
«La radicalizzazione islamica comincia con il conflitto, prima con l’arrivo dei wahabiti in Cecenia e poi con l’avvento al potere della famiglia Kadyrov: Achmat Kadyrov, prima di diventare il presidente della nuova repubblica fedele a Mosca, era stato il muftì dei separatisti e il figlio, oggi, utilizza il culto per governare con il pugno di ferro la religione. L’immagine di difensore della fede che il presidente ceceno promuove crea non poche irritazioni nell’establishment russo e tra le repubbliche a presenza musulmana, che vedono nella versione ufficiale cecena un grave pericolo per l’equilibrio generale», conferma l’esperto.
I conflitti in Cecenia e la situazione attuale nella repubblica sono, secondo il docente, «causa di non poche tensioni, soprattutto a livello localw. L’esistenza di un regime di natura personalistica a Grozny è un dato di fatto e le persecuzioni nei confronti degli oppositori, spesso designati tout court come estremisti islamici, sono all’ordine del giorno. Ogni anno che passa, le contraddizioni che si accumulano in Cecenia rischiano di diventare insormontabili e pericolose per la stessa Federazione russa».
Il rapporto tra Russia e islam
Per capire quale rapporto c’è tra Russia e religione islamica è necessario distinguere la confessione in quanto tale e le forme di fondamentalismo. «A Mosca c’è la moschea più grande d’Europa, i musulmani hanno una propria dimensione culturale molto attiva e i rapporti con le strutture ufficiali islamiche (la Direzione centrale spirituale dei musulmani di Russia, il Consiglio dei muftì di Russia e le organizzazioni locali presenti in Tatarstan, Cabardino-Balcaria, Daghestan e in altre repubbliche) sono più che buone. La storia è diversa, invece, per il radicalismo islamico, che continua, di tanto in tanto, a commettere atti di terrorismo. Oggi non ci sono più le bombe in metropolitana e nei luoghi pubblici che avevano segnato Mosca fino a qualche anno fa, ma si registrano casi di singoli che aggrediscono passanti a coltellate o micro-attentati. Essenzialmente, la Russia di Vladimir Putin segue in questo senso la politica dell’impero zarista, cioè riconoscimento di organizzazioni non ostili al governo centrale e guerra totale al radicalismo islamico», chiarisce Savino.
«Il fatto che l’islam sia diventato un nemico da combattere per Putin è un falso mito, visto che il presidente ha inaugurato la moschea a Prospekt Mira, nel centro di Mosca, alla presenza dei leader dei Paesi islamici, e ha più volte dichiarato che con l’islam condivide i valori umanistici alla base del cristianesimo. Cosa poi in realtà pensi è tutto da vedere, ma è chiaro che il Cremlino non potrà mai schierarsi contro una religione professata dal 10% della popolazione», continua il professore. Che aggiunge: «Vi sono gruppi di nazionalisti che, invece, vorrebbero dichiarare guerra all’islam? Sì, ma attualmente sono minoritari, anche se vi è un diffuso pregiudizio anti-islamico in parte della popolazione».
Terrorismo, Cecenia ed Europa: quali rischi?
E a chi si chiede se i problemi tra Russia e Cecenia, compresi i sanguinosi conflitti degli ultimi 26 anni, costituiscano una minaccia concreta per l’Europa, rappresentando la miccia con cui si accende la radicalizzazione islamica, Savino risponde: «Non sono un esperto di islam globale, però mi permetto di far notare che il fenomeno dell’estremismo islamico, ormai, non conosce frontiere: oggi assume caratteristiche molecolari e fai-da-te, tipiche dell’era social. Non servono grosse organizzazioni, basta solo una persona fanatizzata per compiere un attentato e in questo senso balza agli occhi come questa modalità combaci con la metodologia del terrorismo di estrema destra degli ultimi anni, per esempio, che si muove essenzialmente in modo simile. Proprio per questo si tratta di minacce che vanno ben al di là dei confini e che non hanno solo origini geografiche, ma cause sociali e politiche».