Trump, momenti difficili di un ologramma americano
Non deve essere stato bello per Donald Trump seguire la sua possibile sconfitta al rallentatore. Lo STOP THE COUNT! twittato ieri in stampatello, più che la mossa di un autocrate, pareva l’aggressione disperata di un bambino che sta perdendo una gara e scoppia d’ansia per via del suo papà competitivo (nella famiglia di Trump padre «tornare perdente era una condanna a morte», secondo la nipote Mary, ed è un elemento chiave per capire il personaggio). E faceva impressione – forse anche a lui – vedere l’account Twitter del presidente degli Stati Uniti con i tweet sempre più spesso oscurati e l’avvertenza sul contenuto «controverso e fuorviante».
Poi ci sono le sfide legali, le contestazioni delle schede postali, la Corte Suprema riempita di giudici “suoi” che dovrebbero fare quel che lui dice. Ma ieri i tre network storici, Nbc, Abc e Cbs hanno interrotto la diretta del suo discorso sgangheratamente golpista per eccesso di bugie (bugie che stanno facendo danni, le schede postali sono valide come le altre, ma trumpiani armati manifestano dove si contano i voti in Arizona e Nevada). Anche perché Trump «non sa proprio come funziona. È totalmente ignorante delle procedure», ha detto a Politico un repubblicano vicino alla Casa Bianca. Uno dei tanti che non vedono l’ora che se ne vada. Che sperano di liberarsi di un presidente che li bullizza, li imbarazza, ed è pure un grosso ologramma deformato di tutte le loro magagne.
«Non c’è lealtà in questo gioco. Ora comincia l’emorragia», dicono i commentatori, anche se nessuno lo attacca direttamente. Per ora, ci sono interventi passivoaggressivi come quello di Scott Walker: l’ex governatore del Wisconsin ha replicato indirettamente a Trump, spiegando che una riconta dopo la sconfitta non aveva senso. O di Mitt Romney, che ha dichiarato sulla conta dei voti come essenza della democrazia (ci ha pensato molto, ci è riuscito dopo gli ultimi dati sulla Pennsylvania). E dei primi deputati a protestare, Paul Mitchell, Denver Riggleman, Adam Kinzinger, Charlie Dent. Intanto Mick Mulvaney, ex capo di gabinetto della Casa Bianca, ha previsto ieri che Trump «assolutamente» faciliterà un passaggio pacifico dei poteri in caso vincesse Joe Biden. Non tutti ci credono. Però una fonte repubblicana ha detto a Kasie Hunt della Nbc: «Alla Casa Bianca prepareranno un buffet all-you-can-eat di indignazione per Dio sa quanto. Probabilmente finché Cocaine Mitch (McConnell, leader del Senato, il soprannome è una lunga storia, ndr) chiude tutto». I media già chiamano i vecchi colleghi Biden e McConnell «the new power couple», a Trump non deve far piacere.
Biden rottamatissimo
«Joe Biden, 77 anni, è un politico retro che ha fatto una campagna retro», ha scritto ieri sul Washington Post James Hohmann, in un commento in cui rottama il candidato e la sua strategia. Hohmann dice che Biden «ha rattoppato il Blue Wall» democratico, ma non ha creato niente di simile alla Obama Coalition (la colpa è anche dell’establishment democratico che ha dato l’elettorato di origine ispanica per scontato). L’inviato del Post sostiene poi che il Midwest è il passato dei democratici, che stati come «Georgia, North Carolina e Arizona» (economicamente più dinamici ed etnicamente diversi del Midwest) sono il futuro. Per il presente, si prepara un muro legale, team di avvocati per difendere – probabilmente – il risultato in Nevada, Wisconsin, Pennsylvania e Michigan. E forse chi ha contato le schede per portare al risultato (intanto, al primo incontro dei deputati democratici, moderati e progressisti si sono, come previsto, massacrati).
Scrutatori barricati nel Far West
«Sono preoccupate mia moglie e mia madre, ma abbiamo misure di sicurezza per gli scrutatori e i supervisori del voto». Joe Gloria è il cancelliere della Clark County, quella di Las Vegas. Rispondeva ieri alle domande sui nuovi rischi come se fosse una cosa normale, e in questa elezione lo è diventata. In alcuni stati in bilico, ma non solo lì, fare lo scrutatore è pericoloso come nei peggiori «shithole countries» criticati da Trump. Poche ore prima della conferenza stampa di Garcia, a Phoenix, Arizona, un gruppo di trumpiani agitati e armati ha manifestato davanti all’ufficio elettorale (oggi l’ufficio della Maricopa County è stato circondato da una cancellata mobile, in previsione di altre proteste). Dall’ufficio si usciva scortati, tra gli armati con cappelli rossi MAGA che gridavano «Stop the steal!».
Vuol dire «fermate il furto», e vuol dire che certi slogan dei trumpiani estremi arrivano, tanto per cambiare, da Roger Stone. Lo stratega repubblicano condannato e perdonato da Trump aveva creato il gruppo Stop the Steal ai tempi della convention del 2016 a Cleveland.
Adesso si chiama Stop the Steal un nuovo gruppo Facebook che diffonde disinformazione e incita ai «boots on the ground», all’azione sul campo «per proteggere l’integrità del voto». Ha guadagnato 300 mila followers in 24 ore. Lo gestisce Kylie Jane Kremer delle Women for Trump. I commenti sono quelli che si immaginano: «Prendete le armi, il secondo emendamento non riguarda la caccia, e tutti i proiettili che vi servono per rovesciare un governo tirannico». Oppure «ho 15 futili d’assalto e non ci rinuncio».
Moltissimi vogliono la guerra civile. A Stop the Steal hanno creato una pagina di eventi per condividere gli indirizzi degli uffici dove si faranno le riconte dei voti; e incoraggiano i follower a organizzare manifestazioni fuori per moral suasion. Ieri sera Facebook ha chiuso la pagina; fino a poco prima era online con un faccione di Trump triste, e si parlava anche di monsignor Viganò.
QAnon, due complottiste al Congresso
La corrente QAnon del Grand Old Party, estrema ma in qualche forma apprezzata da metà dei repubblicani, porta due elette al camera. Marjorie Taylor Greene della Georgia, e Lauren Boebert del Colorado. Boebert è proprietaria dello Shooters Grill, il grill degli sparatori, in una cittadina che si chiama Rifle, fucile, ed è un’attivista per il diritto alle armi (le cameriere del suo ristorante sono incoraggiate a servire con la pistola).
Ha sconfitto alle primarie un deputato uscente, Scott Tipton, accusandolo di essere poco trumpiano. Attacca l’ignara Alexandria Ocasio-Cortez e proponendosi come alternativa di destra alla Squad (Boebert, come Taylor Greene, è carina, i media hanno montato la cosa, ed eccoci qui).
In campagna elettorale, Boebert si è un po’ distanziata dalle teorie di QAnon che condivideva, ma il passato recentissimo di propagatrice di teorie complottiste di estrema destra non pare preoccupare i capi repubblicani della Camera. Sia Kevin McCarthy che è Majority Leader sia Liz Cheney che potrebbe diventarlo hanno contribuito con migliaia di dollari alla sua campagna elettorale; come anche dei personaggi di Fox News. Anche Trump aveva annunciato il suo appoggio e partecipato a un tele-rally per lei (lei intanto pare ossessionata da AOC, e la trolla su Twitter).
Florida Men, a volte hanno ragione
I Florida Men sono persone come noi. A volte hanno buone idee, a volte meritano l’onore delle armi. È successo ieri a Brad Parscale, Florida Man dell’autunno (arrestato sbroccatissimo in shorts e birra su chiamata della moglie; indagato per aver sottratto 40 milioni alla campagna di Trump). Secondo il New York Times, se Trump gli avesse dato retta, avrebbe vinto l’Arizona. Parscale, quando era il suo campaign manager, lo aveva pregato di andarci. Lui e la presidente del Republican National Committee Ronna McDaniel, riferiscono Annie Karni e Maggie Haberman, hanno insistito più volte.
Lui avrebbe resistito perché odia il West e non gli piace dormire fuori (invece quando Fox News ha annunciato l’Arizona per Biden, Trump è entrato in modalità Florida Man, si è presentato nell’East Room con famiglia e ha tentato di riproclamarsi presidente).