«Nel 2020 abbiamo raddoppiato la distribuzione del vaccino anti-influenzale portandola da 9 a 17 milioni di dosi e il nostro Paese è andato in affanno. Figuriamoci cosa può succedere nel 2021 quando l’Italia dovrà smistare 70 milioni di vaccini anti-Covid AstraZeneca e 27 milioni di Pfizer, oltre agli altri che arriveranno». A dare l’allarme è Ivano Russo, direttore generale di Confetra, la confederazione dei trasporti e della logistica. Un mese fa, in data 16 ottobre, aveva sollecitato invano il governo sull’apertura di un tavolo per la distribuzione del vaccino.
«Siamo sempre quelli che cominciano a giocare all’ottantesimo minuto. Ma questo sarà uno stress test delicatissimo, bisognerà distribuire una quantità di prodotti mai vista prima. Rischiamo mille difficoltà di carattere tecnico e operativo, per cui è urgente fare una ricognizione di tutta la catena logistica, capire se esistono magazzini, ghiaccio e attrezzature a sufficienza». A Roma un piano vero e proprio ancora non c’è. Tra lo stupore degli addetti ai lavori. Nonostante l’annuncio della multinazionale Pfizer sull’efficacia al 90 per cento del suo vaccino e dopo le raccomandazioni di Bruxelles affinché gli Stati membri presentassero un progetto per la somministrazione su vasta scala.
Dopo che altri Paesi europei come Germania, Francia e Belgio si sono già organizzati con centri vaccinali, strutture di stoccaggio e app per gestire i pazienti anche l’Italia si muove. Ma lentamente. Da noi la corsa contro il tempo è cominciata ufficialmente solo il 3 novembre al Ministero della Salute, dove è stato istituito un gruppo di lavoro coordinato dal direttore generale Giovanni Rezza con l’Istituto Superiore di Sanità, l’Agenzia Italiana del Farmaco e l’Istituto Spallanzani. Gli esperti stanno elaborando il piano sanitario. «Ma con tutto il rispetto per i Locatelli e gli Speranza, che non sanno come funziona un magazzino, bisogna coinvolgere al più presto le realtà del settore», annota Russo.
La vera accelerazione è arrivata nelle ultime ore, quando il premier Giuseppe Conte ha promesso entro pochi giorni lo sbarco in Parlamento del piano vaccinale e intanto ha affidato il compito al Commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri. Il jolly governativo che, a suon di polemiche, fornisce mascherine e banchi a rotelle. Dopo aver ricevuto la gestione del call center di Immuni, adesso il manager calabrese viene premiato con il dossier più delicato e prezioso per la salute pubblica. Stavolta però non sono ammessi ritardi, tant’è che ha già incontrato i delegati della Pfizer.
Giovedì in conferenza stampa Arcuri ha dichiarato: «Il vaccino sta arrivando ma non è ancora arrivato, non sarà disponibile da domani, né da subito per tutti. Confidiamo di poter vaccinare i primi italiani alla fine di gennaio». E ha chiarito che l’esecutivo si sta muovendo «per la complicata conservazione della profilassi».
Bisogna curare ogni dettaglio in un’operazione inedita per il nostro Paese. «Il vaccino è prevenzione, ma anche l’organizzazione è prevenzione e noi non possiamo farci trovare impreparati. Oggi purtroppo brancoliamo nel buio», spiega a Linkiesta Pierluigi Petrone, presidente di Assoram, l’associazione che raggruppa le aziende della logistica sanitaria, il braccio operativo delle case farmaceutiche. «Bisogna stabilire innanzitutto quali operatori potranno somministrare il vaccino e in quali luoghi. Abbiamo potenzialmente 60 milioni di italiani da vaccinare. Non possiamo pensare di cavarcela con i drive-in come per i tamponi».
Intanto a gennaio dovrebbero arrivare le prime dosi per 1,7 milioni di persone. A beneficiarne saranno medici, Rsa e forze dell’ordine, oltre alle fasce più deboli della popolazione. «Confidiamo – ha detto Arcuri – di avere il target delle prime persone da vaccinare e su questo aspettiamo il piano del ministero. Comunque gli italiani verranno vaccinati in funzione della loro fragilità e della loro potenziale esposizione al virus».
Ma restano da sciogliere i nodi decisivi. Si giocherà tutto sulla velocità. Il vaccino elaborato da Pfizer va conservato a una temperatura tra 70 e 80 gradi sotto zero. E nel momento in cui viene scongelato, dovrebbe poter resistere al massimo cinque giorni prima di infilare l’ago nel braccio del paziente. Ragion per cui sarà necessario prevedere una distribuzione rapida. La cosiddetta catena del freddo dev’essere molto efficiente, altrimenti portare le fiale in tutto il paese rischia di diventare problematico: «È impensabile una flotta di camion che trasporti tutto quel quantitativo di fiale a -80 gradi», spiega Ivano Russo di Confetra. Per questo servono tempi certi.
«Non si può perdere nemmeno mezza giornata». Dalle procedure di sdoganamento allo stoccaggio in aeroporto, fino al trasporto nei magazzini regionali e allo smistamento nelle città. Malpensa e Fiumicino dovrebbero essere i due hub di distribuzione rispettivamente per il Nord e il Sud. In questi scali bisognerà riadattare i magazzini refrigerati. «Pensi che, tranne pochissimi prodotti di biotech, nel settore dei farmaci non c’è nulla che si conservi o si trasporti a -70 o -80 gradi».
Servirà un coordinamento rigoroso tra strutture pubbliche e private. Dovrebbe essere coinvolto anche l’esercito. E poi bisognerà prevedere un’anagrafe vaccinale: il prodotto di Pfizer prevede un richiamo, che dovrà essere somministrato a distanza di qualche settimana. Dopo i rimpalli e le sovrapposizioni tra Stato e Regioni nei mesi dell’emergenza sanitaria, in molti temono un nuovo caos anche per la somministrazione del vaccino anti-Covid. «Un po’ come quando Zaia ha detto che il tampone avrebbero potuto farlo anche i veterinari», sorride Petrone di Assoram. Ma in conferenza stampa il commissario Arcuri ha fatto sapere che la distribuzione non sarà su base regionale: «Il governo ha deciso che ci sia una centralizzazione del meccanismo».
E intanto, in attesa di segnali dall’esecutivo, si naviga a vista. Da giorni ospedali e Asl chiedono lumi agli spedizionieri e alle società di trasporto che abitualmente li riforniscono. «Ci hanno subissato di richieste per capire come funzionerà col vaccino, quali spazi serviranno e come dovranno essere attrezzate le celle frigorifere». Una situazione paradossale, che riassume i timori del momento e la necessità di risposte a tutti i livelli.
D’altronde il tempo stringe e Ivano Russo di Confetra incalza: «Negli altri paesi europei i governi hanno convocato i gestori delle infrastrutture, gli spedizionieri e le imprese farmaceutiche. All’aeroporto di Francoforte sono partiti da tre settimane i lavori per l’ampliamento dei magazzini. Gli Stati Uniti hanno affidato a FedEx e Ups progetti per organizzare la distribuzione del vaccino. Da noi, al giorno 12 novembre, non è stato redatto alcun piano. Quando partirà un confronto operativo?». Bisognerà chiederlo ad Arcuri.