La bellezza non ci salveràQuelli che vogliono decidere quale sia la cultura giusta per tutti

Chiediamo a una brava violoncellista un punto di vista illuminante sul mondo e traiamo dal suo pensierino da Bacio Perugina un insegnamento di vita, non accorgendoci del ridicolo. Forse la ragione è che le gerarchie culturali sono rimaste quelle dell’Ottocento

AP/LaPresse

«La bellezza non è tutto», diceva Art Garfunkel. «Credi a me: la bellezza è tutto», rispondeva Jack Nicholson. Potrei scorrettamente fingere che il dialogo che apre uno dei più bei film di tutti i tempi, “Conoscenza carnale”, fosse prettamente filosofico, ma non ho cuore d’ingannarvi: parlavano di figa.

La prossima estate “Conoscenza carnale” compirà cinquant’anni, non sta su nessuna piattaforma di streaming e nessuno di voi l’avrà visto. Camille Thomas (che invece avrete visto tutti) ha trentadue anni, ed è una violoncellista e non un allenatore di calcio.

Dev’essere questa la differenza. Dev’essere per questo che lodiamo l’allenatore che si rifiuta di rispondere alla domanda su come risolvere il problema del virus, bravo, lui sì che mette un freno a questo opinionismo un tanto al chilo, esultiamo su quegli stessi giornali che hanno mandato qualcuno a chiedere a un allenatore come risolvere il virus; ma diffondiamo il verbo di una che, siccome sa suonare il violoncello, avrà sicuramente un punto di vista illuminante sul mondo.

Giacché con le gerarchie culturali siamo fermi all’Ottocento. Nel senso: sono valide solo le forme d’espressione che esistevano già allora. E quelli che le praticano sono sicuramente gente illuminata.

L’illuminante punto di vista della Thomas è che «La bellezza ci salverà». Invero originalissima, probabilmente ha trovato un verso di Keats nei Baci Perugina.

Le hanno chiesto d’illuminarci giacché la Thomas suona sui tetti dei musei di Parigi, chiusi per la pandemia. Scandalo, naturalmente: la cultura non si chiude, puntesclamativo.

Se c’è una cosa che ho appreso durante questa pandemia, è che la mancanza di cultura si svela soprattutto con tristi lai tratti in difesa della cultura e della di essa sacralità.

Domenica Christian Raimo (se vivi abbastanza a lungo ti tocca dar ragione a Christian Raimo) ha scritto su Facebook che non siamo una società. Non l’ha scritto così, probabilmente per non passare per thatcheriano. Ha scritto che ognuno difende il proprio intoccabile orticello, c’è chi vuol fare shopping e quindi ritiene lesivo dei suoi diritti umani che gli chiudano il centro commerciale, chi vuole che il figlio giochi con gli amichetti e quindi guai se gli chiudono la scuola, eccetera: dell’orticello altrui nessuno si occupa.

I commentatori l’hanno lapidato. Come osi equiparare la scuola e lo shopping, il futuro dei nostri figli, i bambini non si toccano – tutto il repertorio di frasi fatte, non serve ve lo ripeta.

Dei commercianti che rischiano il fallimento (a fronte dei ragazzini che non rischiano granché, se non di passare troppe ore in compagnia di genitori evidentemente imbecilli) nessuno si preoccupa, giacché il commercio mica è arte.

Se chiudono i teatri la violoncellista va a straziarsi sui tetti, se chiude il centro commerciale pazienza, si sa che essere meno consumisti fa bene all’animo.

Insomma l’Ansa mette in circolazione questo video, la Thomas suona per poco più d’un minuto (durata percepita: Ben Hur), e poi dice che sì, certo, vanno bene le serie televisive, è importante essere intrattenuti, ma vuoi mettere come nutre l’anima un museo, o la musica: quelli mica sono mero intrattenimento. Ovviamente senza specifiche su quale serie, quale museo, quale musica.

L’anima, il tetto, la musica: sarebbe bello se fosse un omaggio a quella canzone che Dalla scrisse per Ron, quella che faceva «Preso da un abbaglio e da un sospetto, lancio un urlo che si schianta sul tetto, per fortuna nessuno mi sente. L’anima è una parola, è un concetto: non è normale vederla sul letto». Ma figuriamoci se è così stratificato, il contenutismo del giorno.

Quattro anni fa vidi a Bologna una mostra londinese su David Bowie. Le didascalie erano state tradotte in una maniera così sciatta che veniva voglia di chiedere indietro i soldi del biglietto. Ma era, per i parametri della signorina Thomas, doppia cultura: musica, e mostra. Se invece avessi visto una qualunque serie televisiva scritta benissimo (ognuno si crei in testa l’esempio che crede, sennò finiamo a litigare su quale sia la miglior serie disponibile sui nostri divani), allora sarebbe stato frivolo intrattenimento, e l’anima sarebbe morta di fame.

Repubblica rilancia il video dell’Ansa, perché è un periodo in cui i video che dovrebbero commuoverci vanno fortissimo, perché comunque è un progresso rispetto al pubblicare la gente che canta sui balconi (almeno questa il violoncello lo suona con un certo qual mestiere), perché almeno è un’operazione meno orrenda di quel video che andava per la maggiore la settimana scorsa, quello dell’ex ballerina malata di Alzheimer che ascoltava “Il lago dei cigni”, una roba che poteva commuovere solo gente sufficientemente priva di umanità da non trovare osceno che una incapace d’intendere e di volere venisse filmata e pubblicata.

Lo rilancia intitolandolo con l’illuminante virgolettato «Ci salverà la bellezza, non una serie tv».

La ricerca, nell’archivio di Repubblica, dell’argomento “House of Cards” restituisce 728 articoli, settecentoventotto bellezze mancate – ma non è di questo che voglio parlare.

Neanche della mia vana speranza che l’affermazione sia un omaggio a quella volta che Courtney Love disse che a salvarle la vita in un certo periodo era stata la sfilata di Lanvin: figuriamoci se posso sperare che un ideale di bellezza che non include le serie tv includa, santo cielo, una sfilata.

Quello che mi chiedo è: da cosa ci salverà, la bellezza? Non dalle frasi fatte da manualetto degli aforismi per ginnasiali, ma dal resto sì? Dai guai del momento che, forse perché ho un’anima anoressica, a me sembra siano di salute ed economici?

Se in questo periodo non sei contento di stare a casa a guardare serie televisive in genere è o perché con tutti ’sti mesi di clausura ti sta andando a puttane il lavoro, o perché hai una persona cara malata. Te ne consolerai pensando che però al Museo delle arti decorative di Parigi c’è una che suona Donizetti? Sperando nella riapertura d’una mostra di Monet? Anche ammesso che la bellezza sia quella che hanno deciso le supplenti di Lettere riunite in convegno, e non un monologo di Kevin Spacey che sfonda la quarta parete (ma forse se lo fa un Riccardo III a teatro sì, se ho capito come funziona questa storia delle gerarchie culturali), esattamente in che modo può salvarti?

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