In Italia gli squilibri demografici sono tali da non poter impedire una continua diminuzione della popolazione nei prossimi anni. Nemmeno un aumento del tasso di natalità garantirebbe l’inversione di tendenza. Al massimo si può provare ad attenuare il calo con politiche adatte e mirate al futuro delle giovani generazioni. Con queste tre frasi il demografo e docente di Demografia e statistica alla Cattolica di Milano Alessandro Rosina traccia i contorni del caso italiano, con l’arrivo della pandemia che infierisce su un quadro demografico già in peggioramento da anni.
«Sappiamo che il Covid-19 peggiorerà la situazione: la natalità sarà in calo anche nel 2021, peggiorando il dato quantitativo; e ha già reso più fragili i percorsi di formazione che devono portare i giovani verso il mercato del lavoro, creando un problema qualitativo», dice Rosina a Linkiesta.
Recentemente Rosina ha coordinato un gruppo di esperti incaricati dalla ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, per un’indagine sull’impatto della crisi del 2020 sulla natalità e sulle scelte familiari in Italia.
Dal rapporto intitolato “Impatto della pandemia su natalità e condizioni delle nuove generazioni” emerge come la demografia sia «uno degli ambiti più colpiti dalla pandemia, non solo per l’effetto diretto sull’aumento della mortalità, ma anche per le conseguenze indirette sui progetti di vita delle persone: la crisi sanitaria non agisce solo come emergenza, produce anche una discontinuità sui percorsi dei singoli».
I numeri si riscontrano anche nei dati dell’Istat, che in un report recente aveva indicato in 420.084 le nascite del 2019, cioè 20mila in meno rispetto al 2018; ma in calo di 156mila se si confronta questo numero con il dato del 2008.
Sono problemi che l’Italia si porta dietro da tempo senza riuscire a invertire la tendenza: già i dati demografici del 2019 erano preoccupanti, la pandemia ha soltanto accelerato una tendenza in corso da tempo.
«Gli squilibri demografici e alto debito pubblico renderanno insostenibile il sistema sociale. E come sta già accadendo da un po’, i pochi giovani decideranno sempre più di andare all’estero: è una spirale negativa di progressivo indebolimento», dice Rosina.
D’altronde l’Italia è già uno dei Paesi con il più basso tasso di fecondità in Europa, che a sua volta è un continente vecchio. «In un contesto in cui aumenta la popolazione anziana, l’Italia è il Paese che sta riducendo maggiormente la presenza dei giovani, quindi sta indebolendo chi può sostenere il sistema di welfare, dalla spesa pensionistica a quella sanitaria, ma anche rendere sostenibile un reddito pubblico già alto e che va ad aumentare», spiega il professore.
Il problema è che fino ad oggi non è stato fatto praticamente nulla per invertire la rotta. Principalmente per due motivi: il primo è che per molto tempo il Paese si è retto sulla generazione dei baby boomers, che ha costituito la vita attiva dell’Italia forte anche di numeri demografici incoraggianti; il secondo è che per anni, soprattutto tra gli anni ‘90 e il primi anni Duemila, il calo demografico è stato nascosto dall’aumento dell’immigrazione.
«Adesso la generazione dei baby boomer – dice Rosina – inizia a invecchiare, e anziché produrre ricchezza la assorbe, tra pensioni e sistema sanitario, mentre i millennials si sono spostati al centro della vita attiva, ma demograficamente sono molto meno forti. E anche l’immigrazione non è più in grado di compensare il calo delle nascite. Ci sono dunque tanti fattori se l’Italia va incontro a un ulteriore peggioramento anziché migliorare da un punto di vista demografico».
La storia offre all’Italia di oggi due esempi validi a cui guardare per immaginare una lenta ripresa, quanto meno con dinamiche e speranze che guardano al lungo periodo.
Il primo esempio è tutto italiano, ed è quello del secondo Dopoguerra. Dopo la distruzione della Seconda Guerra Mondiale, l’Italia non vide conseguenze positive negli anni della ricostruzione – quindi nel periodo che arriva ai primi anni ‘50. Ma iniziò un percorso di sviluppo che raggiunse l’apice ne 1964. «Non è la ricostruzione che fa la differenza, ma il percorso che si inizia a seguire in quegli anni. Quindi noi in questo momento non possiamo guardare solo all’emergenza di oggi, perché il benessere e la crescita economica e sociale può arrivare solo al termine di un percorso più lungo», spiega Rosina.
Il secondo esempio è più recente, e guarda alla Germania durante e dopo gli anni della recessione 2008-2013. Già prima di quel periodo Berlino aveva deciso di investire in formazione, politiche familiari e capacità di attrazione dei giovani dall’estero per sopperire a uno squilibrio demografico preesistente. «Nonostante la crisi di quel periodo – spiega Rosina . le strategie della Germania sono riuscite a creare gradualmente nel tempo una nuova crescita, grazie al potenziamento della formazione e nuove politiche familiari su asili nido e servizi per l’infanzia. Per fare un confronto, l’Italia demograficamente non è mai uscita da quella crisi, considerando che dal 2013 ogni anno è stato demograficamente peggio di quello precedente, e di certo non migliorerà dopo questo 2020».
Il 2020 infatti rischia di avere ricadute soprattutto sui giovani e le donne, le due componenti principali per valorizzare il futuro del sistema Paese e sperare di risollevare la natalità. «L’obiettivo della politica deve essere quello di mettere in campo questi due “eserciti di riserva” che sono stati fermi fino a questo momento: dobbiamo dare a giovani e donne gli strumenti adatti, in termini di servizi e welfare, per rimettere in moto l’Italia», dice Rosina.
Perché se è vero che la popolazione italiana è destinata a diminuire ancora, è anche vero che si può rafforzare il futuro delle generazioni che si apprestano a diventare la vita attiva del Paese: «Si può rispondere alla riduzione quantitativa con un miglioramento qualitativo delle loro condizioni, fornendo migliori percorsi di formazione professionale, maggiori servizi e un ingresso più agevole nel mondo del lavoro, così che possano sostenere il Paese, ma anche per permettergli di tornare a fare figli e attenuare la discesa demografica», spiega Rosina.
Per il momento l’Italia sembra muoversi timidamente in questa direzione con nuovi strumenti, come il Family Act voluto dal ministro per la Famiglia Elena Bonetti: un provvedimento in otto articoli che prevede tra le altre cose un assegno mensile universale per tutti i figli fino all’età adulta, sconti per gli asili, agevolazioni per gli affitti delle coppie composte da under-35, detrazioni fiscali delle spese relative al contratto di affitto di abitazioni per i figli maggiorenni iscritti a un corso universitario.
Ma se resterà un provvedimento isolato non sarà sufficiente. «È tutta la classe politica – dice Rosina – che è chiamata a mettere in campo scelte coraggiose, a tutti i livelli. Il vero vantaggio è che grazie all’Unione europea adesso i soldi ci sono, ma c’è bisogno che i decision maker siano disposti a scommettere sul futuro del Paese prima ancora che sul presente».