Di fronte a quella vista, i puristi del presepe tradizionale sarebbero scandalizzati. Niente pastori, niente muschio, nemmeno una scena rural-agreste che circondi la capanna (o grotta, a seconda dei gusti) in cui nasce Gesù. Al contrario, ci sono negozi, alberi di Natale scintillanti, macchine, case, strade e perfino casinò. Dove siamo finiti?
Che domande: in un Christmas Village. Il cugino moderno dell’antico presepe, la variante americana (e pagana, commerciale, consumista) della stalla col bue e l’asinello, l’update adeguato ai tempi attuali.
Per la verità, come ricorda un articolo del Financial Times, preoccupato dal fatto che la moda stia prendendo piede anche nel Regno Unito (prepariamoci anche qui), le sue origini sono più umili. Come tutte le cose natalizie, è nato in Germania, nel XIX secolo. All’inizio erano semplici casette in cartoncino da incollare e posizionare sotto l’albero di Natale. È il putz come viene chiamato ancora in Pennsylvania (lì sono arrivati con le prime emigrazioni), semplice, fanciullesco e un po’ raffazzonato.
I primi tentativi commerciali risalgono agli anni ’50, ma per raggiungere i livelli attuali, più grandi, costosi e pacchiani bisognerà aspettare due decenni. Un trend lento: i produttori di villaggi natalizi cominciano a rivolgersi ai Paesi orientali in ascesa per ottenere case decorate a prezzi bassissimi e si adeguano al gusto corrente.
Aggiungono lucine elettriche, strutture in porcellana e resina, e rimodellano gli elementi costitutivi dei vecchi villaggi tedeschi. Ecco allora case sempre più grandi e moderne, con decorazioni natalizie vistose e kitsch. E perché non mettere anche negozi? E le automobili? E le strade su cui farle passare? Alcuni aggiungono ruote panoramiche, mongolfiere e casinò.
In tutto questo bailamme compaiono, con Babbo Natale, figurine che li lanciano palle di neve, alberi biancheggianti, immancabili trenini che passano senza alcun rispetto per proporzioni, senso della prospettiva e del gusto. Tutto è accumulato, a riprodurre le sembianze di una cittadina immaginaria all’apparenza senza criterio.
Anche se, come dimostra il catalogo dei maggiori produttori di questo genere di palazzi e accessori (Lemax, Department 56, Luville e Jaegerndorfer), uno stile, per quanto eclettico, c’è. Mette insieme elementi dell’Inghilterra vittoriana (il succo delle ambientazioni dickensiane), decorazioni di una cittadina di provincia americana anni ’40 e ’50 (ossia l’epoca serbatoio delle canzoni e dei film natalizi), il villaggio tedesco (come da origine) e l’immancabile ingrediente disneyano.
Ognuno poi aggiunge elementi personali, riproducendo con rappresentazioni simboliche aspetti della vita reale. Come il lavoro (c’è chi mette uffici) o le passioni più importanti.
Come anticipato sopra, l’uso del Christmas Village comincia a diffondersi anche in altre parti del mondo, come i Paesi Bassi e, appunto, il Regno Unito. Tra i modelli più diffusi ci sono i villaggi a tema Polo Nord, con Babbo Natale, slitta, renne e casa-fabbrica di giocattoli. Va alla grande anche il Disney Village, a tema Topolino, ma imbattibile (sono pur sempre britannici) rimane l’Harry Potter Village, che tutto è meno che natalizio, ma incarna alla perfezione lo spirito pagano di tutto il complesso.
Le spiegazioni, psicologiche o sociologiche, alla base della sua diffusione si sprecano. Il quotidiano inglese ipotizza che la densità dei villaggi natalizi nelle case dei suburb americani rifletta il desiderio della vita comunitaria, intensa e ravvicinata, che in quelle zone manca. Sarà così? O prevale forse la nostalgia preconfezionata per lo spirito dei Natali passati, ma anche mai esistiti, evocato nei racconti e nei film a tema?
Il mondo ricreato è inesistente, disordinato ed elementare. Ma è colorato e luminoso, occupa un angolo della casa e, quando vengono gli ospiti, fornisce uno spettacolo curioso e personale. Fa il suo lavoro. Pazienza, allora, se cede al kitsch di stagione.