Come sarà il Natale 2020? Ormai è alle porte ma al tempo stesso quest’anno sembra lontano.
Mentre ogni giorno statistiche, indici e percentuali della pandemia occupano le prime pagine dei giornali, nei negozi (quelli rimasti aperti) inizia a far capolino qualche accenno natalizio: le prime luci, i primi decori per la sede principale del Natale (quest’anno probabilmente anche l’unica), la nostra casa.
Sarà un Natale introspettivo, riflessivo. Di sicuro sarà ai minimi termini in quanto a relazioni sociali e condivisione ma forse non per questo sarà meno mangereccio e godereccio, non fosse altro per reagire alla cronaca poco felice che ci ricorda ogni giorno che il virus è tutt’altro che debellato.
Il Presidente del Consiglio ha richiamato il significato più spirituale che materiale del Natale, che non si identifica solo con negozi e regali. Vero, sebbene questo appello abbia un po’ il sapore del dover fare di necessità virtù. Una cosa sola è certa: non sarà di sicuro un Natale come gli altri.
Tra le mura domestiche la lista degli invitati al pranzo del 25 dicembre o alla cena della vigilia quest’anno pare possa essere stilata solo a norma di DPCM, e magari anche seguendo il buonsenso.
Lo stress per l’organizzazione del Natale, sul quale ogni anno si ironizza, quest’anno potrebbe essere una cosa seria. Mentre tutti speriamo in una curva dei contagi che allenti la tensione nelle case, negli ospedali e nella società civile, non guasta anche relativizzare sbuffi e lamentele, più o meno legittimi, pensando a chi il problema del Natale ce l’ha ogni anno, perché non sa se avrà i mezzi economici per festeggiarlo. Parliamo degli ultimi, o anche solo di chi è in una situazione momentanea di fragilità economica. Per queste persone il Natale spesso diventa una lente di ingrandimento della propria situazione personale, mentre fuori la frenesia festiva, tra vetrine illuminate e folle a passeggio, prende un po’ tutti.
Questa crisi sanitaria come effetto collaterale ha portato quasi subito con sé una crisi economica, figlia indesiderata delle chiusure commerciali e del fermo forzato di molte attività. Le richieste di assistenza presso associazioni come Caritas e Banco Alimentare sono aumentate, e nuovi poveri sono andati a rimpolpare il numero di coloro che oggi stanno ancora peggio.
In tutto questo però non si deve perdere la speranza, un pensiero terapeutico per lo spirito, per poter almeno immaginare e anche organizzare il Natale. Col pensiero rivolto a chi è in difficoltà e non deve per questo rinunciare a festeggiarlo, abbiamo contattato Ruben: il ristorante solidale voluto della Fondazione Ernesto Pellegrini onlus, una delle tante realtà attive sul territorio milanese, una zona che in questa seconda ondata è stata duramente colpita dal virus.
Di Ruben abbiamo già parlato durante il primo lockdown; un vero e proprio ristorante, non una classica mensa per i più bisognosi, che cerca di offrire un pasto caldo ma anche un momento di calore conviviale. Un luogo che punta sulle relazioni sociali oltre che sul cibo che comunque è ben presente con un vero e proprio menu, un elenco di piatti tra i quali scegliere (e già questo lo differenzia da una mensa). In più Ruben si distingue anche per il versamento simbolico di un euro, che fa acquisire alla situazione l’aspetto di un servizio acquistato e conquistato.
La “pausa” estiva dal Coronavirus ha consentito anche a questa realtà di riaprire le porte della propria sala a giugno; sono state prese una serie di misure di prevenzione, adottando il protocollo del Gruppo Pellegrini già ampiamente rodato (e di cui abbiamo parlato anche noi de Linkiesta Gastronomika). Da 200 i posti a sedere si sono ridotti a 90, plexiglass ai tavoli, con un secondo turno per consentire comunque a tutti di cenare. Lo spirito di convivialità salvaguardato da un’area dedicata a congiunti e famiglie, mantenendo il distanziamento tra tavoli ed eliminando il plexiglass. Oggi la situazione è già diversa, ne abbiamo parlato con Christian Uccellatore, responsabile progetto Ruben.
Da Ruben sono tornati a fare l’asporto, il ristorante apre le proprie porte alla sera ma la cena (preparata durante la giornata e poi abbattuta) viene consegnata nei sacchetti, preservando la possibilità di scegliere tra alcuni menu, seguendo un po’ il destino della ristorazione commerciale.
«La nostra scelta è stata dettata anche dal fatto che, rispetto ad altre realtà, noi ci rivolgiamo a persone che nella maggior parte dei casi hanno una casa e lavorano ma magari faticano ad arrivare alla fine del mese, ci rivolgiamo più ai “penultimi” che agli ultimi come forma di povertà. Ci siamo quindi allineati al DPCM avendo numeri notevoli, anche 200 posti, e ospitando spesso famiglie al completo; l’asporto non rappresenta un particolare problema per la nostra utenza».
Ruben da sempre vuole creare un clima di vicinanza, anche fisica, tra le persone; aspetti che lo caratterizzano, vero e proprio «nucleo dell’esperienza di Ruben», come lo definisce Christian. La nuova situazione non avrebbe consentito di farlo.
«Ci siamo chiesti come mantenere attive le relazioni e abbiamo sviluppato un progetto articolato facendo tesoro del primo lockdown. Abbiamo mantenuto vivi alcuni temi con un contatto da remoto con i volontari, attraverso un programma con una serie fitta di incontri con personaggi ingaggiati sulle nostre tematiche come la nuova povertà. Invece sui commensali simbolicamente abbiamo agito aggiungendo un “ingrediente” alla cena: una buona notizia. Tutte le sere in ogni confezione da asporto aggiungiamo una notizia positiva, edificante. I volontari da remoto sono ingaggiati nel cercare queste notizie».
In questo clima è prematuro o addirittura fuori luogo parlare di organizzazione del Natale in casa Ruben? Niente affatto: «domani ci consegnano tutti i regali acquistati per i bimbi di Ruben, circa un centinaio di regali!» Risponde entusiasticamente Christian «quindi noi comunque entriamo già nell’ottica».
Oltre a chiedere una previsione sul prossimo Natale, vorremmo anche capire cosa vuol dire passare il giorno di Natale da Ruben
«Per noi Natale è sempre una grande festa, l’abbiamo sempre festeggiato la vigilia perché la tipologia di utenza che abbiamo il Natale lo passa a casa e in famiglia. Tutti gli anni c’è sempre stato un ricco menu, il classico menu natalizio che parte dall’antipasto con insalata russa e affettati, per finire con lo spumante (analcolico) e il panettone con la crema. Sempre presente anche il Presidente Ernesto Pellegrini che cena qui a Ruben con la famiglia. A una certa ora poi, dopo cena, arriva anche Babbo Natale: un nostro volontario storico, vestito per l’occasione, distribuisce i regali a tutti i bambini».
Quello del 2020 sarà necessariamente un Natale particolare, e indicativa è anche la tempistica e la modalità dell’arrivo dei regali di quest’anno, come ci racconta Christian «è un caso che siano già arrivati ma danno l’idea dell’intenzione, e l’intenzione è quella di festeggiare. Se si potrà, Ruben rimarrà aperto, se invece saremo ancora in questa condizione faremo festa comunque ma in modalità da asporto, trovando una formula adeguata e sicura come è stato per Pasqua. È un periodo di incertezze. La storia dei regali poi è particolare e rende l’idea del periodo che stiamo attraversando: il negozio di giocattoli dal quale la famiglia Pellegrini si rifornisce per i regali di Natale dopo tanti anni chiude, ha quindi chiesto ai propri clienti storici interessati di anticipare per quest’anno lo shopping natalizio».
«I flussi di commensali sono cambiati anche se abbiamo notato che non corrispondono a un aumento esponenziale dei numeri totali, perché in realtà c’è una sorta di equilibrio caratteristico della nostra tipologia di utenza che può permettersi di non frequentare Ruben per un breve periodo, soprattutto famiglie che hanno paura e magari non vengono tutte le sere».
«Noi speriamo di avere un Natale con la sala aperta, abbiamo comprato anche altri plexiglass per maggiore sicurezza ma chiaramente tutto dipende dall’evoluzione della situazione».
Se dovesse riassumente con una parola o un’espressione il Natale 2020 di Ruben, Christian risponde con un punto interrogativo «a prescindere dalla festa di Natale presso il ristorante, il Natale per i commensali di Ruben sarà un brutto Natale, perché oggettivamente questa situazione il colpo più forte lo sta dando a una fascia di popolazione che era già fragile ed è questo quello che ci preoccupa, e stavolta Milano è più coinvolta».
«Ci preoccupa la crisi economica conseguente a quella sanitaria, che per il nostro osservatorio è evidente, e ci preoccupa anche quella che sarà l’onda lunga di questa situazione, soprattutto a ridosso di alcune scadenze come il termine della cassa integrazione. In periodi di emergenza, soprattutto nella prima fase, abbiamo però notato che tutti si sono attivati, dal privato cittadino all’ente pubblico. Oggi l’emergenza è meno percepita rispetto al primo lockdown».
L’atteggiamento di Ruben è quello di una pianificazione positiva, pensando anche a voler far rivivere agli utenti di Ruben l’atmosfera natalizia degli anni passati «l’atmosfera è sempre molto festosa, può sembrare paradossale per il momento di difficoltà che vive chi è lì quella sera, però la differenza a Ruben, durante la cena di Natale soprattutto, la fanno i bambini. In sala abbiamo più di cento bambini tra gli zero e i dodici anni. È un momento particolare perché la declinazione della povertà sui figli da un lato mostra la capacità dei bambini di rispondere alle situazioni con delle risorse inaspettate, dall’altro ci sono dei momenti dell’anno in cui la povertà materiale prende una forma più evidente, i compleanni e tipicamente il Natale. Un momento in cui i regali non ci sono, o sono meno. Sono cose che colpiscono molto; come quando un bambino riceve un regalo usato e ti racconta che è così perché è caduto dalla slitta di Babbo Natale. Da questo punto di vista Ruben non accetta donazioni e offre sempre, a bambini o genitori, oggetti o cose nuove».
In un clima di incertezza quotidiana a Ruben una certezza ce l’hanno: «noi quest’anno il Natale lo festeggiamo, dobbiamo solo capire come».
Prendere esempio.