Come ogni giorno da due mesi a questa parte, anche ieri abbiamo avuto centinaia di morti per Covid, per la precisione 659 (lo riscrivo perché i numeri sembrano non farci più effetto, ma guardate quanto è lunga la parola seicentocinquantanove).
Come ogni giorno da due mesi a questa parte, anche oggi il consueto stormo di virologi, epidemiologi e tecnico-scienziati assortiti planerà su tutti i giornali, telegiornali e talk show a spiegarci che le misure decise dal governo stanno funzionando alla grande, che l’indice Rt cala e la curva si appiattisce, che i dati sono incoraggianti ma certo non dobbiamo abbassare la guardia (quasi ci fosse il rischio di farsi prendere dall’entusiasmo). E intanto l’unica curva che è davvero crollata è quella dei tamponi.
Anche domani, come ieri, l’altro ieri e certamente pure dopodomani, la ministra dei Trasporti e quella dell’Istruzione ci spiegheranno che per l’apertura delle scuole il 7 gennaio siamo prontissimi, mentre tutto il governo, la maggioranza e l’opposizione grideranno che la scuola dev’essere la nostra primissima priorità, e che mai e poi mai, per nessun motivo al mondo, si potrà tornare a chiuderla. Che è esattamente quello che dissero questa estate a proposito della riapertura di settembre, e sappiamo com’è finita.
E così andremo avanti, sulle scuole come su tutto il resto. Ascoltando i ministri competenti (si fa per dire) ripeterci, nel consueto profluvio di «faremo», «decideremo», «valuteremo», che le grandi novità questa volta saranno il potenziamento del trasporto pubblico locale e gli scaglionamenti degli orari di scuole e aziende. Che è quello che ci hanno detto ieri, ma anche, letteralmente, quello che avevano solennemente annunciato a maggio, ai tempi del primo lockdown. Attendiamo fiduciosi.
E quando dico che andremo avanti così, sulle scuole come su tutto il resto, intendo proprio tutto. Non c’è letteralmente argomento del dibattito politico che non sia risucchiato in questo loop: che si parli del Mes, della crisi di governo o del vaccino, per il quale ovviamente siamo prontissimi, salvo imprevedibili eventi esterni quali la neve a dicembre o una terza ondata a gennaio – stando alle parole del commissario Arcuri – vale a dire nel caso in cui il virus non ci facesse il favore di andarsene da solo (nel qual caso resterebbe da capire a cosa ci servirebbe il vaccino, ma questo è un altro discorso).
È evidente che l’intero dibattito pubblico è chiuso da quasi un anno in una gigantesca camera dell’eco, camera d’eco, echo chamber o come diavolo volete chiamare quella situazione tipica della realtà virtuale, non a caso, in cui la profilazione algoritmica finisce per circondarci soltanto delle voci che confermano i nostri pregiudizi, con l’effetto di amplificarli fino al parossismo.
Ma prima o poi dalla realtà virtuale dovremo uscire. E più ci attardiamo in questa specie di onirica distopia trash-totalitaria, peggiore sarà la situazione che troveremo al risveglio.