Ogni giorno ne fanno, ne dicono, ne combinano una sempre più drammatica, nemmeno più grottesca, in grado di meravigliare anche noi de Linkiesta che lo scriviamo dal day one che questo governo Conte è imbarazzante e pericoloso, secondo soltanto a quello precedente presieduto sempre da Conte.
Ieri mattina ho letto l’incredibile resoconto del vertice di maggioranza tra Giuseppe Conte e Italia Viva, da cui si evinceva che il presidente del Consiglio non sapeva nulla o mentiva di non sapere nulla a proposito di un emendamento con cui avrebbe voluto commissariare il suo stesso governo sulla gestione dei soldi europei, mentre alcuni suoi ministri, imbarazzati, gli hanno spiegato che in realtà lo sapevano tutti di quell’emendamento, anche se però non avevano letto non so quale altro punto di un altro provvedimento contestato da Italia Viva (la percentuale di Italia Viva sarà anche bassa, ma senza il partito di Matteo Renzi – se possibile – questo governo e il paese sarebbero in condizioni peggiori).
Poi mi hanno girato un’acrobatica intervista di Goffredo Bettini al Riformista, dove l’intellettuale democratico non si è limitato a indirizzare la politica italiana (la trasformazione del Pd in una versione presentabile dei Cinquestelle è demerito suo), ma ha anche analizzato le recenti elezioni americane spiegando che la domanda se negli Stati Uniti abbia vinto o meno la sinistra è una questione che non lo appassiona perché «in quel grande paese ci sono stati John Wayne e James Dean», lasciando intendere che John Wayne sta al Ku Klux Klan come James Dean sta a Martin Luther King, il quale in realtà era repubblicano ma non vorrei interrompere l’emozione bettiniana di non rispondere alla domanda se in America abbia o meno vinto la sinistra, perché magari potrebbe non appassionarlo nemmeno il voto in Francia (il solito scontro tra Jeanne Moreau e Sophie Marceau) o quello in Gran Bretagna (l’ennesima sfida tra i Blur e gli Oasis).
In Italia, più modestamente, siamo alla tenzone tra Franco e Ciccio, al duello tra Gianni e Pinotto, basti guardare Vito Crimi da una parte e i nipotini dei fasci dall’altra oppure l’ultima incredibile performance di Domenico Arcuri, il nostro Napoleone a rotelle cui un governo di inadeguati ha conferito il compito, fallito, di riaprire le scuole e adesso quello di organizzare la campagna di vaccinazione, dopo aver cannato quella antinfluenzale.
La campagna di vaccinazione non è esattamente una sciocchezza irrilevante e trascurabile, ma con il piano di recovery del paese è l’unica cosa che conta. Dovremmo assistere a uno sforzo bellico da parte del governo, a preparativi ferventi, al coinvolgimento di medici, di farmacisti, di dentisti, alla trasformazione temporanea dei palazzi dello sport, delle caserme, delle fiere campionarie e dei parcheggi degli stadi in strutture logistiche per la vaccinazione nazionale secondo un calendario il più celere e dettagliato possibile.
Eppure sono giorni che Arcuri si costruisce l’alibi, assicurando di essere pronto, anzi prontissimo, a somministrare il vaccino a tutti gli italiani ma avvertendo che la sua formidabile e pronterrima campagna di vaccinazione con siringhe a stantuffo super performanti rischia di non partire se il virus non sparisce da solo.
Un’affermazione talmente insensata e surreale, ma soprattutto grave, che non può che denunciare la totale impreparazione del nostro maniavantista extraordinaire. Se Arcuri fosse stato lo stratega dello sbarco in Normandia avrebbe assicurato Roosevelt e Churchill che il D-Day era stato pianificato in tutti i minimi dettagli ma che se i nazi avessero deciso di difendere la costa francese allora sarebbe stato meglio rinviare al momento in cui il Furher con un gesto alto e nobile si fosse ritirato unilateralmente.
Ieri, di nuovo, durante l’ormai tradizionale conferenza stampa da mitomane in chief, Arcuri ha detto testualmente che «non possiamo e non vogliamo iniziare la più grande vaccinazione di massa che la storia ricordi nel pieno di una recrudescenza di una pandemia».
«Non possiamo e non vogliamo iniziare», malimorté: e quando vuole far partire le vaccinazioni, quando il virus Corona si stanca di avere a che fare con avversari così imbelli?
E, poi, come può una vaccinazione di massa che non è ancora iniziata, e che peraltro Arcuri non può e non vuole iniziare, a essere già «la più grande che la storia ricordi»? Riformulare, prego, con «la più grande impreparazione alla vaccinazione di massa che la storia ricordi».
Affrontare una pandemia è tutto tranne che una passeggiata, come dimostrano le difficoltà di chiunque nel mondo, ma affrontarla con Conte e Casalino, con Di Maio e Arcuri, è un delitto di cui sono volenterosi complici quelli che ancora oggi non dicono basta.
Nove mesi dopo essere stati presi di sorpresa dalla prima ondata, abbiamo subìto la seconda senza che il team tecnico scientifico di Conte abbia fatto nulla per tracciare la pandemia, per tamponare gli italiani e per contenere il contagio, avendo nel frattempo preso tutte le misure possibili per piegare l’economia e contato più morti di chiunque altro.
Adesso, a fine dicembre, siamo nella stessa situazione di marzo in vista di una terza ondata che in realtà è sempre la prima che Conte e compagnia hanno provato ad affrontare affidandosi allo stellone italico e all’arrivo salvifico del vaccino antivirus, salvo non essere in grado di somministrarlo perché, guarda un po’, il virus è ancora in giro e quindi «non possiamo e non vogliamo iniziare la più grande vaccinazione di massa che la storia ricordi nel pieno di una recrudescenza di una pandemia».
Il virus è bestiale e maledetto, ma la vera recrudescenza, cioè l’aggravamento di ciò che sembrava avviato verso la fine, è proprio il governo di Conte e dei suoi associati, devastante per il paese durante la prima ondata con Di Maio e Salvini, tragico durante la seconda con Di Maio e il Pd e probabilmente letale nel caso dovesse ripresentarsi in una terza e terrificante variante.