Vocazione sfangarlaL’incrollabile perseveranza del Pd nel farsi umiliare dai Cinquestelle

Il Partito di Zingaretti sa che il governo Conte è grottesco, per cui sul Mes e altro sbraita e se la prende con tutti, ma alla fine prevale il “tirare avanti”

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Chi sta pagando il prezzo più alto della grande stagnazione politica targata Conte bis? Risposta facile: il Partito democratico. Che infatti adesso non malcela più il suo disappunto, il suo nervosismo per la sostanziale inazione del governo e per i rapporti slabbrati nella maggioranza con evidenti riflessi negativi anche nel rapporto fra Nazareno e ministri dem. Il Pd ce l’ha con tutti, con i grillini e la loro offensiva contro il Meccanismo europeo di stabilità; con Italia viva che mette i bastoni fra le ruote sulla legge elettorale; con Giuseppe Conte che pensa solo a come rafforzare se stesso persino curvando la sua comunicazione da avvocato populista a tecnocrate para-autoritario, come si è visto nella surreale conferenza stampa di giovedì sera.
Ma l’importante è sfangarla, come si dice a Roma. Tirare avanti. Fino alla prossima umiliazione.
Nicola Zingaretti fa filtrare la sua irritazione-delusione. Il Pd, come il Quirinale, mette paura al M5s con lo spauracchio della crisi e di elezioni. Ma la realtà dice che a tre mesi dalla vittoria alle Regionali, quando sembrava che il popolo avesse consegnato al Pd lo scettro del comando, il segretario dem si trova a mani vuote, o quasi: fallimento totale sulle riforme istituzionali; poca incidenza nelle decisioni del governo; persino la bandiera del Mes ormai a brandelli.
Già, perché è vero che il voto del 9 dicembre sulla riforma del Mes di riffa i di raffa andrà bene, ma sulla possibilità di chiedere i miliardi del Salva-stati nessuno scommette più. Quindi avremo un Parlamento schizofrenico che, seppure con formulazioni alambiccate, dirà sì alla riforma del Meccanismo ma eviterà di accedervi concretamente. Se c’erano dubbi, il nyet di Beppe Grillo li ha dissipati: e il Nazareno sbraita ma una maggioranza sul Mes non c’è, e tuttavia un Di Maio in versione pompiere assicura che il voto di mercoledì non è sul Mes ma, nei fatti, su Conte, quindi è il casi di votare sì. E poi, al Senato, qualche grillino potrà sempre andare un attimo al bagno proprio quando si tratta di schiacciare il pulsante.
Il voto di mercoledì prossimo comunque non produrrà cataclismi: a palazzo Madama ci si fermerà sotto i 160 voti, Salvini sbraiterà ma pazienza: sono i grillini i primi a voler evitare una crisi di governo, a meno che qualcuno non prospetti soluzioni al momento imprevedibili, tipo un governo tecnico – ma appoggiato da chi? E dunque nonostante il proclama del redivivo comico fondatore del M5S la realtà racconta di un lavorìo per arrivare a una risoluzione che non scontenti nessuno, tenendo viva l’ipotesi del ricorso al Mes ma condendola da una serie di subordinate, mediante una formulazione utilizzata altre volte: la maggioranza impegna il governo «ad assumere ogni decisione sul ricorso alla linea di credito sanitaria del Mes solo a seguito di un preventivo e apposito dibattito parlamentare e previa presentazione da parte del governo di un’analisi dei fabbisogni e di un piano dettagliato dell’utilizzo degli eventuali finanziamenti». Tipiche contorsioni dei documenti parlamentari. Tanto basta per sfangarla anche questa volta, per la politica vera ci sarà tempo. Forse.

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