Come sempre nelle fasi convulse viene fuori di tutto: per esempio la minaccia di far saltare il governo per un regolamento di conti interno a un partito della maggioranza. Se poi quel partito è particolarmente confuso e rissoso – stiamo ovviamente parlando dei Cinquestelle – la questione deflagra su un quadro politico già sbrindellato di suo e agita il Palazzo. Forse troppo.
Chiediamoci: la minaccia della destra grillina, dibattistiani e cani sciolti (16 senatori e 52 deputati) di far saltare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità e con essa il governo non è una pistola scarica? Forse piacerebbe a costoro uscire dalla scatoletta di tonno con tre anni di anticipo?
E infatti Giuseppe Conte rischia al massimo di collezionare un’ammaccatura in più, che per uno come lui significa ben poco: basta restare in sella il più possibile fino alla prossima brutta figura, ma resta il fatto che il governo della settima potenza industriale è legato mani e piedi a un partito che per una logica malata sabota le cose serie che il governo potrebbe fare, come appunto prendere i miliardi del Mes.
Si assiste dunque a una estremistica convulsione di un partito a brandelli, e dunque all’ennesimo smacco dell’alleanza strategica con i Cinquestelle escogitata dal Partito democratico.
Il problema esiste da sempre e viene ora al pettine: il famoso Mes, aborrito dai grillini ma indispensabile per i dem e Italia viva, che però hanno sempre ingoiato il veto di Luigi Di Maio ripiegando su una riforma del Meccanismo che è appunto l’oggetto del voto del 9 dicembre.
I sovranisti grillini – quelli che in Transatlantico molti chiamano «i matti» – minacciano fuoco e fiamme se l’odiato Mes seppure riformato non verrà in qualche modo diluito in «una logica di pacchetto» (tipico vernacolo grillino di nessun senso), cioè posposto ad altre riforme di valore europeo.
Venuto a mancare sul Mes un possibile aiuto di Silvio Berlusconi, i sovranisti a cinque stelle in teoria si trovano tra le mani una buona rendita di posizione, ed è un paradosso davvero ridicolo che sia il Cavaliere ad armare la mano di Alessandro Di Battista, e tuttavia questo è il quadro politico odierno: che invece di evolvere promuovendo uomini e idee più saggi finisce con l’esaltare le follie più disparate.
La minaccia di far cadere il governo pare però solo un insieme di chiacchiere e distintivo di marca dibattistiana e dunque anti-Di Maio incarnato dalla sempre nervosa ex ministra Barbara Lezzi che ancora non perdona al ministro degli Esteri – che parrebbe la vittima del complotto – di averla lasciata fuori dall’esecutivo giallorosso; rodimenti personali di vario conio; accesa ostilità verso l’inetto Vito Crimi colpevole di aver dato via libera alla riforma del Mes (ma non al Mes: un borgesiano labirinto concettuale); ricerche di visibilità: siamo alla prosecuzione degli Stati Generali con altri mezzi, insomma è tutta guerra intestina.
A questo punto bisognerà vedere come sarà scritto il documento parlamentare che verrà messo ai voti alla Camera e al Senato, ma le mediazioni su dei pezzi di carta non sono mai state un problema. Ieri il ministro Enzo Amendola ha visto a lungo i capigruppo grillini per iniziare la partita ed è un peccato che ministri seri come Amendola e Roberto Gualtieri debbano sprecare il loro tempo per convincere parlamentari senza arte né parte a venire a più miti consigli, ma tant’è, ogni epoca ha i suoi Turigliatto o De Gregorio.
Il problema stavolta è che i guai vengono dal più forte partito presente in Parlamento o da una sua frazione più dura e pura, che però, a guardar bene, replica a voce alta quel che teorizza il titolare della Farnesina, il che significa per l’Italia dare uno spettacolo abbastanza deprimente.