Il mondo in questioneLe diverse prospettive spirituali della morte

Il tema del morire è presentato sia alla luce delle scienze umane sia nella concezione di quattro grandi sistemi religiosi: l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam e le spiritualità orientali. Il teologo Giandomenico Mucci affronta il tema in un articolo pubblicato sulla “Civiltà Cattolica”, dove discute i linguaggi e i saperi che offrono materia di riflessione sul fine vita

Pubblichiamo in anteprima un estratto dell’articolo “La spiritualità del morire” del teologo Giandomenico Mucci, scomparso il 23 novembre scorso, che comparirà domani sul prossimo quaderno della rivista La civiltà cattolica.

«Noi siamo come tronchi di alberi nella neve. In apparenza giacciono raso terra, e con una piccola spinta si dovrebbe poterli smuovere. No, non si può, ché sono saldamente legati alla terra. Ma vedete, anche questa è soltanto apparenza». Così un racconto di Kafka, che dà risalto alla friabilità della vita. E Simone de Beauvoir diceva che la morte mette il mondo in questione. 

Oggi, a detta di qualcuno, il discorso sulla morte è stato progressivamente marginalizzato da quando è stata messa la parola fine alla metafisica. In effetti, «l’uomo liquido», teorizzato da Bauman, vive tutto nella successione e nel movimento degli istanti, che gli precludono il senso della stabilità e della continuità e, perciò stesso, la possibilità di ogni progetto motivato da una speranza. Non gli restano che l’incertezza e l’insicurezza, ossia ansia e paura, perché nessuno può evitare il torturante confronto con il Tempo. Quindi, non è davvero saggio affermare che la morte è stata oggi marginalizzata. Forse, se ne parla poco in termini espliciti, come a volerla esorcizzare, ma, quasi occultamente e con fastidio di chi vorrebbe tacerne la presenza sovrana, il suo fantasma compare in quei discorsi che a essa alludono. 

E allora si discute dei vantaggi e degli svantaggi dell’inumazione e della cremazione, del diritto di scegliere come e quando morire per porre fine alla sofferenza, del prevalere dell’aspetto biologico su quello religioso della morte e della loro conflittualità, dell’ospedalizzazione e della paura dei malati, della medicina palliativa, dell’antidepressivo che l’industria farmaceutica sta preparando contro quella «malattia mentale» che il Dsm, manuale diagnostico e statistico degli psichiatri, chiama «malessere del lutto». Neppure manca chi parla dell’«aspra rescissione di noi» in termini tra l’esoterico e il lirico. 

A proposito dell’insistenza dei «laici» sulla dimensione biologica della morte e del loro silenzio sulla sua dimensione religiosa, può essere opportuno richiamare un breve commento di Remo Bodei alla resurrectio mortuorum e alla vita venturi saeculi del Credo niceno. «Una risposta “laica” a tali aspettative sta anche nel non irriderle, nel comprenderne appieno il senso, nel rendersi conto che la semplice negazione di queste speranze amputa la nostra umanità, che la nostra morte è carica di significati che non si possono banalmente ridurre alla cessazione del respiro o dell’attività cerebrale». Parola di un filosofo «laico». 

Da parte sua, uno scrittore cattolico, Italo Alighiero Chiusano, chiedeva ai credenti santamente impegnati nel sociale, nella beneficienza e nella predicazione della solidarietà e del rispetto per le minoranze e i diversi di non dimenticare le verità che sono tali soltanto per la Chiesa, quelle che i «laici» prendono per miti o superstizioni: il Dio trinitario, la risurrezione di Cristo, la figura di Maria, la gravità del peccato personale e sociale. Tra queste verità si collocano sia il significato biblico della morte sia la vita eterna dopo la morte terrena. 

Ma, a riprova che almeno il discorso sulla morte non è stato marginalizzato, giova ricordare il Congresso internazionale Seeing beyond in facing death – Vedere oltre dinanzi al morire, celebrato a Padova nel settembre 2014 per il Master «Death Studios & The End of Life». Alcuni interventi proposti in quella sede sono stati pubblicati, con i contributi di altri studiosi, in un interessante volume curato da una psicologa (Ines Testoni), da un teologo (Guidalberto Bormolini), da un sociologo (Enzo Pace) e da un filosofo (Luigi Vero Tarca). La prefazione è di Emanuele Severino, la postfazione di Marco Vannini. 

Il tema della morte e del morire è presentato sia alla luce delle scienze umane sia nella concezione di quattro grandi sistemi religiosi: l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam e le spiritualità orientali alle quali l’uomo occidentale è maggiormente sensibile. Il confronto delle diverse prospettive, dei linguaggi e dei saperi offre indubbiamente una vasta materia di riflessione. 

Oggi, la cultura secolare parla spesso della morte e del morire, ma prevalentemente come fenomeno medico-biologico, e insiste sul modo più opportuno di gestire il lutto. Altro non le permette la sua matrice agnostica. Sebbene, infatti, non le siano ignoti i fondamenti dottrinali della concezione cristiana della morte, essa suole trattare questa concezione considerando i suoi fondamenti, specialmente biblici, come viziati dal mito e inquinati dalla superstizione, sicché la valutazione della cultura corrente si svolge al di fuori della fede e della teologia che da essa deriva. Ne risulta non rare volte distorta l’idea che della morte e del morire ha il cristiano. 

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