È una formula tanto più usata quanto più vera: l’accelerazione imposta dalla pandemia comporterà cambiamenti significativi. Vale più o meno per tutti i settori. Di sicuro per quello dell’editoria, che già nel 2020 ha assistito ad alcuni movimenti importanti.
Il primo, ricorda questo articolo del Financial Times, è la volontà del gigante dei media tedesco Bertelsmann di comprare, attraverso la Penguin Random House, la casa editrice americana Simon & Schuster. Se l’accordo, raggiunto a fine novembre, supera l’esame dell’antitrust, allora nascerà un nuovo colosso, dalle proporzioni inquietanti. E i Big Five dell’editoria (Hachette, HarperCollins, Macmillan, Penguin Random House e Simon & Schuster) diventeranno quattro.
Le conseguenze, a catena, sarebbero svariate. Ad esempio, per i più ottimisti, ci sarebbe una maggiore capacità di rispondere allo strapotere di Amazon sul mercato librario (magari con una nuova capacità di coniugare marketing e distribuzione). Con più probabilità, in realtà, si ridurranno i posti di lavoro, insieme alle possibilità per gli autori non bestseller di pubblicare le proprie opere.
Per gli scrittori è solo una leva in più, cioè una conferma della necesstà di trasformare il loro mestiere e integrare nuove capacità. Del resto le case editrici da tempo hanno allargato il cerchio degli autori pubblicati (soprattutto pescando nel campo della politica, come dimostra la valanga di volumi pubblicati su Donald Trump, soprattutto in America ma non solo) e hanno fatto proprio il principio della prudenza, tanto che “Shuggie Bain”, il romanzo vincitore del Booker Prize 2020 dello scozzese-americano Douglas Stuart, era stato rifiutato per 32 volte. Nessuno era convinto che un libro sulla vita di un ragazzo della working-class della Glasgow anni ’80 potesse funzionare (lo ha fatto Grove Press). E invece,
Niente di nuovo sotto il sole. O meglio: i nuovi movimenti negli assetti societari impongono agli scrittori di cambiare strategia (se ne hanno una), o di premurarsi di adottarne una per allargare le proprie capacità di marketing. La direzione generale è quella di trasformarsi, per così dire, in una piccola impresa di se stessi. Il massiccio accesso al mondo digitale, la scoperta di Zoom, la migrazione online di festival, presentazioni, laboratori ha imposto nuovi ritmi.
Per chi scrive diventa importante allora curare anche la propria presenza social, accedere a platee più ampie, farsi conoscere e trovare nuovi pubblici. In più, diventa necessario inventare nuove forme di comunicazione, immaginare newsletter (a cadenza regolare) e magari trovare nuovi canali di guadagno. Anche pubblicando storie brevi, o brani di romanzi, su piattaforme come Medium o Substack.
Insomma, a fronte della minore disponibilità dei colossi editoriali, la soluzione diventa sempre più artigianale. E una delle conseguenze è il ridimensionamento del libro, sia come strumento di guadagno (nell’articolo del Financial Times sono numerosi gli esempi di soluzioni alternative, tra cui le le lezioni di scrittura, o le newsletter di successo) sia come componente della galassia editoriale.
Come hanno dimostrato alcune recenti iniziative di quest’anno, come il saggio di Alessandro Baricco auto-pubblicato su internet e solo per smartphone, o la casa editrice Zando, ideata da Molly Stern, una delle personalità più importanti del settore, che punta a trovare testi di esordienti da modulare in un universo più ampio della semplice pubblicazione (cioè adattandola come serie televisiva, o film).
Sarà il nuovo mondo dell’editoria? Forse sì. Sarà un’accelerazione: e chi vuole scrivere deve cominciare a correre.