Non sprechiamo il 2021Dopo quasi un anno è arrivato il momento di salutare chi sta gestendo così male l’emergenza

Generali, colonnelli e capitani della guerra al Covid vanno sottoposti a una verifica simmetrica a quella avviata nel governo. Vanno accesi i riflettori sugli egoismi, sulle inefficienze e sulle incapacità: il solo modo che abbiamo per controllare i troppi poteri che si accavallano nella gestione della pandemia

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I ritardi nel piano vaccini e la ribellione dei governatori alla riapertura delle scuole dopo la Befana (non solo quelli di destra: anche Vincenzo De Luca e Michele Emiliano vanno verso il rinvio) evidenziano l’urgenza di un altro tipo di verifica che si incrocia con quella di governo e obbliga a discutere le scelte o le non-scelte dei principali soggetti dell’emergenza. A un anno dai primi contagi è lecito abbandonare la generosità degli inizi – quando tutti ci siamo detti: non è il momento di polemiche – per mettere in discussione i comportamenti non solo della politica ma del Commissariato guidato da Domenico Arcuri, dei corpi intermedi, del sindacato, dell’apparato sanitario, dei gestori dei trasporti e dei loro potentissimi consorzi.

Moltissime cose non hanno funzionato in questi dodici mesi e l’eccesso di magnanimità verso i responsabili – «Poveracci, sono stati colti di sorpresa, evitiamo di dividere il Paese» – è stato percepito come un’assoluzione urbi et orbi per il passato, il presente e il futuro, che consentiva ogni tipo di disattenzione o furberia. L’assessore alla Sanità della Lombardia Giulio Gallera che spiega il ritardo nelle vaccinazioni con il diritto alle ferie del personale («E che, li dovevo richiamare in servizio sotto Natale?») non è che l’esito finale di un processo di proscioglimento collettivo dai doveri minimi legati al contrasto della pandemia.

Fanno parte di questo processo gli assessori ai trasporti incapaci di fare accordi sui trasporti, i sindacati della scuola che fanno e disfano accordi sulla riapertura, ma anche i pasticci tecnico-scientifici sugli indici Rt che determinano aperture e chiusure – le soglie ieri ritenute accettabili oggi sono considerate troppo lasche e domani chissà – e molte altre cose che è inutile elencare accadute negli ospedali, nel rapporto coi medici di famiglia, nelle residenze per anziani.

La gestione delle emergenze era considerata, fino a poco fa, una delle eccellenze italiane, vuoi per la triste confidenza che abbiamo con catastrofici terremoti, vuoi per la nomea di Paese capace di dare il meglio quando sta con l’acqua alla gola. Beh, sfatiamo il mito. La controversa vicenda del rapporto dell’Organizzazione mondiale della Sanità pubblicato e rimosso all’inizio della pandemia dimostra che le vanterie sul Modello Italia erano quantomeno opinabili fin dall’inizio. E adesso, davanti allo sfarinamento degli impegni presi sui temi caldi del momento – la scuola e il piano vaccini – forse è il momento di chiedersi se generali, colonnelli e capitani della guerra al Covid non debbano essere sottoposti a una verifica simmetrica a quella avviata nel governo.

Abbiamo davanti almeno un anno, tutto il 2021, di mascherine, distanziamento, vigilanza sugli indici di contagio, rallentamento delle attività economiche in alcuni settori e sospensione totale in altri. Questo tipo di resistenza di trincea non può essere gestita da strutture nazionali, poteri locali e intermediatori sociali renitenti all’idea di bene comune e interessati solo alla difesa dei loro orticelli. Ovvio che cancellarli è impossibile, ma almeno si cominci ad analizzarne le responsabilità senza indulgenze, a metterli davanti alla portata delle loro scelte.

Nel caso specifico, il ritardo nella somministrazione dei vaccini potrebbe farci perdere ulteriori posizioni rispetto alle economie dei Paesi più veloci e zelanti, che riusciranno a tornare alla normalità in tempi più rapidi, e addirittura impedirci la libera circolazione nelle zone che per prime raggiungeranno l’immunità di massa. La retrocessione della scuola a servizio non essenziale avrà effetti meno visibili ma, se possibile, più duraturi e catastrofici: la statistica li sta già misurando in termini di abbandoni, crollo delle competenze, disinteresse per il proseguimento degli studi, ulteriore blocco dell’ascensore sociale.

Accendere i riflettori sugli egoismi, sulle inefficienze e sulle incapacità è il solo modo che abbiamo per attivare forme di controllo sociale, per sottoporre a verifica – nel senso etimologico di “riscontro della regolarità di procedimenti e atti” – i troppi poteri che si accavallano nella gestione di questa emergenza, in un crescendo di confusione e contrordini che davvero non possiamo permetterci.