La discussione sul Digital Services Act (Dsa) e il Digital Markets Act (Dma) è sopravvissuta nel dibattito pubblico quanto qualsiasi altro piccolo argomento di tendenza. È comprensibile: ne sono successe di cose, da quando la Commissione Europea ha pubblicato la proposta dei due nuovi regolamenti per i servizi digitali. Per di più, la proposta è solo l’inizio di una procedura legislativa che durerà anche un paio d’anni: allora perché ritornarci?
Perché Dsa e Dma sono due disegni legislativi ambiziosi che, come il Gdpr, lasceranno un segno. Nascono entrambe dall’esigenza di adeguare i regolamenti europei, sostanzialmente fermi al 2000, alle trasformazioni del web e delle sue piattaforme.
Questi due provvedimenti stabiliranno nuove regole per i social network e i siti di e-commerce, imponendo standard più alti di trasparenza e armonizzando il diritto europeo, cioè evitando che ogni stato si dia norme troppo diverse. Insomma, i due regolamenti non tuteleranno solo i consumatori, ma anche e soprattutto chiariranno la cornice legislativa: «Solo i giganti del tech possono permettersi di gestire 27 legislazioni diverse: si tratta anche di promuovere migliori condizioni per fare impresa», spiega Vincenzo Tiani professore di diritto alla IULM ed esperto di politiche digitali e di tutela della privacy.
È da almeno due anni,che la Commissione ha richiesto alle big tech di sviluppare un codice di autocondotta, ad esempio redigendo periodicamente dei report di trasparenza sulla rimozione dei contenuti. «I report hanno dimostrato che le piattaforme si sono date da fare, anche forse per mostrare che l’autoregolamentazione sarebbe stata sufficiente. Tuttavia, la Commissione e il Parlamento Europeo (Pe) non la pensano così», chiarisce Tiani.
Sono proprio gli eurodeputati ad aver giocato un ruolo centrale in questa proposta, rivendica Brando Benifei, capo delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo e membro del comitato per il Mercato Interno e Protezione dei Consumatori: «Il Parlamento ha redatto un rapporto di iniziativa che conteneva indicazioni molto precise e che sono state recepite dalla Commissione in maniera netta. I regolamenti potrebbero anche essere approvati entro un anno e mezzo: dipenderà soprattutto da quanto tempo richiederanno le negoziazioni con e tra i ministri e i diplomatici del Consiglio dell’Ue».
Il Dsa e il Dma sono dei regolamenti, e non delle direttive: entreranno in vigore appena pubblicati, senza dover richiedere la ratificazione dai parlamenti dei vari paesi. Tuttavia, precisa Tiani, bisogna considerare che ci sarà un’ulteriore finestra temporale, seppur piccola, per dare tempo alle aziende per adeguarsi alle nuove misure: «Nella proposta si parla di sei mesi per il Dma e tre per il Dsa: un segno chiaro di quanto il tema sia urgente per la Commissione».
Come cambierà internet
Quelle di cui si è parlato finora, insomma, sono solo delle proposte di legge che saranno negoziate. Alcuni punti saranno limati e altri, forse, inaspriti: «Le negoziazioni non saranno semplici perché ci saranno pressioni molto forti di tipo lobbistico», spiega Benifei, ma non ci sono dubbi riguardo ai punti cardine.
Il Dma imporrà alle piattaforme di e-commerce di implementare un registro dei venditori, richiedendo non solo le generalità ma anche, ad esempio, «il numero del registro imprese o della partita IVA», spiega l’eurodeputato. Insomma, i venditori dovranno diventare «identificabili senza difficoltà dalla piattaforma» per intervenire più efficacemente contro le truffe e la vendita di prodotti illegali o contraffatti. Bisogna evitare, spiega, che «chi viene rimosso dalla piattaforma possa semplicemente creare un altro profilo».
Se il Dma è rivolto principalmente alle imprese, il Dsa coinvolge gli utenti, specialmente dal punto di vista della trasparenza. Alcuni social network si sono autogestiti. Per esempio Facebook fornisce indicazioni sulla spesa e la durata delle pubblicità promosse dai politici. Twitter segnala i profili istituzionali e di media affiliati ai governi. Con il Dsa alcune queste pratiche diventeranno obbligatorie e codificate: «Ovviamente non c’è ancora un accordo sui dettagli – spiega Benifei – e addirittura nel rapporto di iniziativa del Pe si propone di eliminare la pubblicità mirata. Qualcosa che difficilmente si otterrà, ma che segnala la coesione e la risolutezza del Parlamento».
Sia Tiani che Benifei spiegano che questa intesa potrebbe anche tradursi un una maggiore trasparenza degli algoritmi e che riguarderà tutti i banner pubblicitari, anche fuori dai social network. «Mi immagino un pulsante- spiega l’eurodeputato – sotto i banner per avere più informazioni sull’origine della pubblicità e per capire, ad esempio, grazie a quali ricerche mi è stata mostrata».
La moderazione dei contenuti
L’altro pilastro del Dsa è la moderazione. «Nel 2000 non c’erano piattaforme da miliardi di utenti, con miliardi di ore di contenuti video», spiega Tiani. «Oggi c’è un chiaro problema di gestione: con chi si devono relazionare le autorità in merito a quelli da rimuovere? Per velocizzare queste procedure, verrà richiesto alle piattaforme di istituire un Single point of contact. Parallelamente, ogni paese Ue istituirà un Digital services coordinator che lavorerà assieme alla Commissione per verificare il rispetto dei regolamenti».
Il compito è molto delicato, spiega Tiani, ma i principi fondamentali del web sono intoccati: le piattaforme non saranno responsabili dei contenuti pubblicati dagli utenti. «Non è stata normata la zona grigia dei contenuti: che cosa fare delle fake news, ad esempio, resterà una prerogativa delle piattaforme attraverso i termini di servizio. Al contrario, le violazioni della proprietà intellettuale e dell’incitamento all’odio, per fare un esempio, dovranno essere rimosse tempestivamente».
Inoltre, il Dsa prevederà che la rimozione dei contenuti sia giustificata in maniera più dettagliata e anche un meccanismo di ricorso a un mediatore indipendente. «Se sarà l’utente a perdere, pagherà solamente le proprie spese legali. Se non vincesse, la piattaforma dovrebbe sostenere tutte le spese», spiega Tiani. Due obiezioni sono naturali a questo punto: la prima, come evitare di pesare sulle aziende più piccole, che non potrebbero permettersi delle simili spese? Il Dma, chiarisce Tiani, si applica solo ai gatekeeper: aziende talmente grandi o che svolgono una funzione di intermediario tali da poter condizionare il mercato. Per il Dsa, invece, Benifei assicura che sarà inclusa una forma di esenzione.
Rischio di censure preventive?
La seconda questione è legata agli algoritmi per filtrare i contenuti prima della pubblicazione: che resta l’opzione più semplice e la più discutibile, riconosce Tiani. Ma Benifei assicura che non saranno permessi: «Ci siamo impegnati per eliminare qualsiasi riferimento al filtraggio preventivo». La strategia resta il notice and take down (segnala e rimuovi), anche perché sarebbero un costo non indifferente per le aziende più piccole. Ma questo significa impiegare più ai moderatori, che spesso non sono dipendenti delle piattaforme, bensì contractor che adottano pratiche ai limiti della legalità.
Benifei chiarisce che il Parlamento europeo non introdurrà degli obblighi sociali verso i moderatori:«Sotto questo punto di vista, le negoziazioni con il Consiglio saranno più intense, perché dovremo fare i conti con le diverse sensibilità nazionali in materia di lavoro». Ovviamente tali norme si applicherebbero solo per gli impiegati nell’Ue, precisa Tiani, «Ma la proposta della Commissione indica una buona strada. Staremo a vedere come la società civile e il dibattito politico concilieranno queste esigenze».