Liberarsi di newsletter che sappiamo non leggeremo mai. Preferire a centinaia di e-mail telegrafiche l’invio di missive virtuali più lunghe ma contenute nel numero. Evitare, quando possibile, l’uso della webcam durante le videochiamate. Scaricare i contenuti che desideriamo consultare più volte come documenti, video e brani musicali, piuttosto che usufruirne in streaming (meglio ancora se non in alta definizione). Piccole buone azioni per ridurre l’impatto ambientale di internet, una fonte, per quanto invisibile, di inquinamento.
La costruzione e la gestione dei data center, dei server, della rete via cavo o wireless e in generale dei nostri strumenti tecnologici (che per funzionare necessitano di energia) hanno importanti ricadute ambientali. Così come la quantità e la modalità con cui ci serviamo del web attraverso l’utilizzo di e-mail, cloud, motori di ricerca, riproduzione e archiviazione di contenuti multimediali.
Perché allora non iniziare a ripensare le nostre abitudini digitali rimodulandole e convertendole, il più possibile, alla sostenibilità? Che poi non è solo ambientale ma anche economica. «Si sente parlare ogni giorno di inquinamento e la cosa che più viene naturale è collegare questa parola al traffico, alle fabbriche, alla discarica, ma pochi sanno che il mondo informatico produce una grandissima quantità di “rifiuti digitali” che occupano spazio inutile nei nostri dispositivi elettronici e contribuiscono a far aumentare la nostra impronta ecologica», sottolinea Serena Di Lucia di Aica (Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale).
L’archiviazione di foto, file, applicazioni, o semplici e-mail e newsletter mai lette presuppongono l’incessante e ininterrotto lavoro dei server, che oltre a essere energivori devono essere continuamente raffreddati e climatizzati (attività che richiede altra energia). Tutto ciò comporta l’emissione di una grande quantità di anidride carbonica nell’ambiente.
Infatti, dal consumo energetico richiesto dal digitale, oggi ben lontano dal derivare esclusivamente da fonti rinnovabili, vengono indirettamente emesse grandi quantità di gas climalteranti a tal punto che nel 2040 il settore digitale potrebbe essere causa del 14% delle emissioni globali di CO2. Per quanto sorprendente, si tratta di un dato che non deve stupirci se pensiamo che, come testimoniamo i numeri diffusi per la settimana europea per la riduzione dei rifiuti, una e-mail da 1 megabyte durante il suo il ciclo di vita totale emette 20g di CO2 (lo stesso quantitativo prodotto da una lampada accesa per 25 minuti) o che un semplice messaggio whatsapp implica la produzione da 2 a 50 grammi di CO2 equivalente, mentre un post sui social può pesare fino a 100 grammi di CO2 se contiene video o molte fotografie.
«Per un singolo individuo, potrebbe essere solo una foto, o un file o una semplice mail, ma nel loro insieme – sostiene Di Lucia – il traffico Internet collettivo contribuisce enormemente ai cambiamenti climatici». Soprattutto se a questo sommiamo anche la grande quantità di rifiuti generati durante il processo di fabbricazione dei prodotti tecnologici: per produrre uno smartphone che pesa meno di 200 grammi si producono 86 chilogrammi di rifiuti. E la maggior parte di questi non può essere riciclata, finendo così in discariche e inceneritori. Secondo il Global E-waste Monitor, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche generati a livello globale nel 2019 sono stati circa 53,6 milioni di tonnellate e nel 2030 supereranno 74 milioni di tonnellate, un aumento di quasi due milioni di tonnellate l’anno. Il trend è in crescita anche in Europa e Italia.
Come suggerisce Di Lucia, per una produzione digitale sostenibile la soluzione migliore è che i prodotti abbiano una vita utile più lunga, siano più facili da riparare e riciclare e, in definitiva, siano completamente atossici nel momento in cui vengono riciclati. L’aumento della vita utile del dispositivo digitale riduce infatti la necessità di nuova produzione e quindi la quantità di rifiuti prodotti che ne deriva.
Detto questo, come anticipato, abbiamo la possibilità di ridurre l’impronta inquinante “invisibile” rimodulando le nostre abitudini virtuali. «Ad esempio, comprimendo le dimensioni dei documenti che inviamo via e-mail per ridurre il peso del messaggio, utilizzando i collegamenti ipertestuali anziché gli allegati e inserendo l’Url di un sito Web piuttosto che passare attraverso un motore di ricerca. Oppure, ancora, archiviando i file su un hard disk anziché utilizzare l’archiviazione online come i Cloud e spegnendo sempre il computer e scollegando i carica batterie una volta che hanno fatto il loro dovere».