Da tre settimane, Linkiesta auspica l’uscita di scena sincronica dei due amigos Donald&Giuseppi, avvertendo che entrambi, pur di restare alla Casa Bianca e a Palazzo Chigi, sarebbero stati pronti a tutto, compreso l’arruolamento di Jake Angeli e di Lello Ciampolillo, uno con le corna e l’altro con l’insalata, oltre al consueto spargimento di balle e di teorie cospirative, ultima in ordine di apparizione quella del complotto delle case farmaceutiche per provare a coprire il disastro della campagna di vaccinazione petalosa.
Le risatine a commento dei nostri articoli si sono sentite sui social e altrove, aha aha, e hanno accompagnano le prime pagine dei giornali e gli editoriali trionfanti sul leader fortissimo nonché campione del modello italiano (il famoso modello che ci ha resi primi al mondo per numero di morti, primi per declino economico, ultimi per Recovery Plan e per dosi vaccinali).
Da cinque giorni Trump non è più presidente, Conte invece si dimette oggi. Il mondo è già un posto più vivibile. Trump sverna a Mar-a-Lago, Giuseppi non andrà subito a passeggiare a Volturara Appula, ma brigherà per il reincarico, immaginando un Conte ter (nota per Di Maio: terzo in latino si dice ter, tris si usa a poker o per i tris di primi ai ricevimenti nuziali), questa volta con Forza Italia, a completare il triplete da leader fortissimo dei padani, leader fortissimo dei progressisti e ora anche dei berlusconiani, sempre su indicazione di quelli che volevano aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno ma che invece, dopo averlo scassato, hanno scelto l’autoconservazione sott’olio.
Gli scenari sono quattro.
Uno: non si trova una maggioranza e si dovrà andare al voto anticipato, ma una maggioranza si trova facilmente senza Conte e nessuno vuole andare al voto, tranne Salvini e Meloni. L’argomento farlocco pro Conte, “non si può aprire la crisi altrimenti vince Salvini”, verrà usato per fare un nuovo governo senza Conte.
Due: Conte e Zingaretti riabbracciano il figliol prodigo Matteo Renzi, rimangiandosi tutto. Sarebbero più che capaci di farlo, ma farebbero ridere l’intero paese.
Tre: Conte trova la maggioranza che non aveva trovato la settimana scorsa, ma con Forza Italia al posto di Italia Viva. Augurissimi soprattutto al Pd, al Pd della ditta, ormai un alleato storico di Arcore, avendo già formato due governi (Monti e Letta, i primi due) con i berluscones. Il Conte ter sarebbe il terzo.
Quattro: si trova una maggioranza pseudo Ursula, europeista, quella che ha permesso di eleggere Ursula Von der Leyen presidente della Commissione europea, non molto diversa da quella del Conte bis quindi, forse anche più larga, ma senza Conte e Casalino a Palazzo Chigi, sostituiti da gente capace e preparata, se non da Mario Draghi (fece «una buona impressione» a Di Maio), da qualcuno come Enrico Giovannini o Carlo Cottarelli.
L’unico scenario sensato è l’ultimo, quello della maggioranza ABC, Anyone But Conte, Chiunque Tranne Conte, se solo i tanti riformisti del Pd si liberassero dal giogo cui sono stati costretti da Goffredo Bettini e Nicola Zingaretti e dicessero finalmente basta. Di Maio e i Cinquestelle non sono un problema, perché pur di non passare dallo stipendio parlamentare al reddito di cittadinanza si farebbero vaccinare da Burioni, prenderebbero residenza a Bibbiano e voterebbero anche un monocolore Dudù rinunciando a Dj Fofò.
Il problema è, appunto, il Pd. Anzi, non il Pd, ma Zingaretti, Bettini e Orlando, gli ultimi mohicani di Conte, dell’alleanza strategica con i populisti a cinque stelle e della consegna del partito fondato da Veltroni e guidato da Prodi ai sapienti hashtag di Rocco Casalino.
La fissazione è peggio della malattia e al Nazareno continuano a ripetere variazioni sul tema ”Conte o morte”, come se non fossero già sinonimi, al modo di quel generale falangista che nella guerra di Spagna urlò «Muera la inteligencia, Viva la muerte», morte all’intelligenza, viva la morte.
Ma alla fine, nonostante i tempi siano quelli che sono, l’intelligenza prevarrà e la sbornia contiana svanirà.