Politiche attive e formazione. Nel capitolo del Recovery Plan dedicato al lavoro, sono queste le due principali parole chiave per il rilancio dell’occupazione. Ma «oltre questi grandi proclami non si riesce a capire poi come saranno messi in pratica», commenta Andrea Malacrida, country manager di The Adecco Group Italia. Il documento all’esame del Parlamento dovrà essere rivisto, migliorato e integrato, così come richiedono le indicazioni della Commissione europea. E sarà la priorità del futuro governo Draghi. Per funzionare, spiega il manager, «il piano dovrà guardare davvero a un’economia del lavoro moderna, conoscere quali sono i reali bisogni del mercato e guidare i lavoratori in percorsi di formazione che rispondano a questi bisogni. Noi, da parte nostra, siamo pronti a dare una mano».
Malacrida, che giudizio dà della parte del Recovery Plan dedicata al lavoro?
Mi sembra che il documento evidenzi un non desiderio di andare a sanare o supportare il mondo del lavoro, che invece oggi dovrebbe essere una priorità. Dal documento non si evincono proposte o soluzioni per superare davvero i problemi allarmanti che dovremo affrontare nel brevissimo periodo, inaspriti per giunta dalla insussistenza governativa sul mercato del lavoro del recente passato.
Eppure non mancano due parole chiave centrali: formazione e politiche attive.
Io sono contento quando leggo un richiamo alla formazione e alle politiche attive del lavoro. Poi però quando entro nel dettaglio di come dovranno essere espletati non trovo corrispondenze nelle modalità di attuazione di questi programmi. Mi sembrano solo dei grandi proclami. Sembra che si ripetano costantemente alcuni termini, ma alla fine non si riesce a comprendere come metterli in pratica con soluzioni concrete adeguate al mercato. Purtroppo veniamo da quasi tre anni di decreto dignità in cui si vede una distanza abissale da quelli che sono i bisogni reali di una economia moderna.
Come si può migliorare questo documento per renderlo adatto ai bisogni del mercato?
Bisogna guardare a una economia del lavoro moderna, dando valore alla flessibilità reale del lavoro che nella maggior parte dei casi genera occupazione, creando competenze che possono essere poi spese nel mercato. Magari non nella stessa azienda, magari in una affine, ma così si migliorano le competenze generali della popolazione. Flessibilità vuol dire mettere in circolazione e attivare contratti di lavoro, vuol dire cominciare ad abituare le persone a fare riferimento ad attività lavorative che migliorano il proprio background. Il contratto a termine, al contrario delle convinzioni che hanno guidato il decreto dignità, è vitale per i lavoratori e per la ripresa delle aziende soprattutto in un momento di incertezza economica come questo.
Andiamo alla formazione. Cosa fare per renderla davvero efficace?
Bisogna trovare attori credibili e autorevoli per guidare i reali bisogni di formazione verso le richieste che ci sono sul mercato del lavoro. In Adecco abbiamo creato la piattaforma Phyd proprio per orientare le persone nel mercato del lavoro incrociando i propri desiderata con i reali bisogni delle industry. Non basta dire «c’è bisogno di formazione», la formazione deve essere indirizzata verso i reali bisogni dell’economia. Questa pandemia ha evidenziato le aree lacunose del Paese e i bisogni reali verso cui indirizzare queste competenze: digitale, e-commerce, logistica, comunicazione, cura della persona.
Altra nota dolente: le politiche attive. Come uscire dal malfunzionamento dei centri per l’impiego?
Le politiche attive servono se vanno oltre l’assistenzialismo di brevissimo respiro e si trasformano in programmi di crescita e formazione reale verso l’unico obiettivo che può esserci, e cioè un nuovo posto di lavoro. Per funzionare devono essere realmente legate a programmi formativi definiti.
Come giudica quanto fatto finora sul fronte delle politiche attive?
Mi dispiace per i navigator che hanno i contratti in scadenza, ma sono stati messi nel mare senza saper nuotare, lanciati in un mercato senza conoscerne le regole. È stata l’ennesima improvvisazione su un tema come il lavoro che è molto più che delicato. Hanno banalizzato e provato a dare soluzioni senza averne competenze: c’è un percorso di formazione a monte che avrebbe dovuto fare il governo verso queste persone che non è stato fatto. Poi abbiamo provato a improvvisarci anche sul fronte delle tecnologie, tentando di veicolare applicazioni e software anche molto onerosi. E alla fine ci troviamo ad avere una situazione per cui non abbiano ancora un vero database centralizzato che gestisca i percorsi di carriera delle persone. Credo che sia arrivato il momento di smetterla di giocare con il lavoro delle persone, identificando professionalità adatte che hanno sperimentato realmente le politiche del lavoro, che siano in grado di dialogare con le aziende e che conoscano il mercato.
Immaginate anche un coinvolgimento delle agenzie per il lavoro nei progetti del futuro governo Draghi?
Come addetti ai lavori, siamo sempre stati a disposizione. Anche se negli ultimi due anni dal governo non hanno minimamente dimostrato un desiderio di ascolto per provare a capire cosa accade realmente nel mercato lavoro. La disponibilità ora è rinnovata. Adesso con Mario Draghi abbiamo l’occasione di formare un governo di «alto profilo». Io, come ho scritto, sarei disposto a chiedere alla mia azienda di concedermi un po’ di tempo per aiutare il Paese a costruire le basi per un mercato del lavoro efficace e moderno.