Chissà cosa si dicono gli anziani britannici quando contemplano i cantieri. Senza tradurre «umarell» in inglese, il dibattito politico del Regno Unito sembra arenato sulle grandi opere. Nemmeno il tempo di valutare il tunnel tra Scozia e Irlanda del Nord che Boris Johnson rilancia: una rotonda sotto il mare, per la precisione sotto l’Isola di Man, dove si incontrerebbero quattro gallerie, in un ulteriore abbraccio simbolico e autostradale per tenere insieme i pezzi di una nazione in crisi.
In realtà, i due progetti sono correlati. La nuova proposta nasce per correggere il difetto congenito al tunnel tra Larne (Irlanda del Nord) e Stranraer (Scozia), archiviato perché le 25 miglia del suo tracciato avrebbero dovuto varcare la «diga di Beaufort», una trincea profonda 300 metri e larga 3,5 chilometri che è stipata di rifiuti bellici. Il primo ministro allora ha alzato la posta: non una sola connessione sotterranea, ma tre, più a sud dell’ostacolo naturale. Resterebbe lo stesso il capolinea scozzese, da definire l’approdo nord-irlandese; gli altri due vertici in Inghilterra sarebbero Liverpool ed Heysham, non lontano da Lancaster.
Boris Johnson’s plan to build three tunnels under the Irish Sea connecting in an “underground roundabout” beneath the Isle of Man has been described as “batsh*t” by Johnson’s senior aides
Via @thesundaytimes pic.twitter.com/9YD39LTZ8d
— Politics For All (@PoliticsForAlI) February 21, 2021
Secondo le indiscrezioni raccolte dai media, i funzionari del governo avrebbero cassato volentieri l’idea, ma esamineranno formalmente per via del fervore del premier, che in questo periodo sembra incline alla fanta-ingegneria, mentre l’esecutivo naviga attraverso contestazioni interne. Il partito lo invita a riprendere il controllo, alla vigilia di un rimpasto dei ministri. Intanto un think tank conservatore come il Bow Group dà voce al malcontento dei vecchi pretoriani eurofobici chiedendo chiarimenti sul ruolo di Carrie Symonds, la first lady diventata la stratega ombra di Downing Street. Non è un mistero serpeggi malcontento anche per il prolungato lockdown, vissuto con insofferenza da una parte dei deputati Tory.
Un po’ come i traguardi (indiscutibili) della campagna di vaccinazione, forse l’attivismo cantieristico serve a Johnson per ricompattare i consensi, per spostare lo spettro dell’attenzione pubblica e mediatica, di fronte a una Brexit che ha minato come mai prima l’unità del Paese e i flussi commerciali. Un riposizionamento anche nella narrazione social, dove si alternano i messaggi da aspirante statista a quelli, sempre più frequenti, di un premier «di guerra», operativo in camice e mascherina o con la cravatta infilata sotto la camicia. Ora il suo mandato indosserà metaforicamente il caschetto?
Prime Minister @BorisJohnson was in Wales today meeting the NHS staff, police officers and Armed Forces personnel working on the response to COVID-19. pic.twitter.com/TwbCuraMG7
— UK Prime Minister (@10DowningStreet) February 17, 2021
Anche il piano B ha evidenti controindicazioni. Infrastrutturali, prima di tutto. Il terminale scozzese di Stranraer ha collegamenti deboli con il resto delRegno Unito: servirebbero miliardi per integrarlo nella rete ferroviaria ad alta velocità. Il nuovo interpolo si chiamerebbe Douglas Junction, cioè «Intersezione di Douglas», dal nome della capitale dell’Isola di Man. Secondo il Times, nonostante lo scetticismo dell’apparato statale, la proposta ha ricevuto il sigillo dello High-Speed Rail Group per essere vagliata da Sir Peter Hendy, alla guida del trasporto pubblico quando Johnson era sindaco di Londra, che è incaricato di migliorare la viabilità del Regno Unito.
Proprio l’antico rapporto tra i due potrebbe sbloccare almeno uno studio di fattibilità per un’opera che gli esperti avrebbero bollato nel migliore dei casi come temeraria. «Non è credibile» neppure per l’architetto Ian Dunlop, il padre del ponte celtico (un’altra vecchia conoscenza) tra Irlanda e Scozia. La distanza fra l’isola e la terraferma tra l’altro, è considerevolmente superiore a quella del canale del Nord. Più del doppio: 44 miglia per il Galles, una settantina per l’Inghilterra. Il tunnel diretto sarebbe costato da 10 miliardi di sterline in su, nel nuovo scenario la spesa andrebbe almeno quadruplicata.
L’idea ricalca, inconsciamente o meno, la tesi di laurea di Eric Wong alla Bartlett School of Architecture, dove fantasticava una Douglas capitale interconnessa dell’era post-Brexit. Peccato che tecnicamente l’Isola di Man (da 84 mila abitanti) non appartenga al Regno e neppure al Commonwealth, nonostante sia sottoposta al controllo britannico. I supporter indicano come modello le Isole Fær Øer, con una rete di trafori sottomarini non più lunghi degli 11 chilometri (6,8 miglia) tra Streymoy and Eysturoy. C’è anche la rotonda, ma l’ordine di grandezza è diverso.
Nel frattempo, a Westminster Johnson ha promesso un’estate di normalità: il Regno Unito cancellerà definitivamente le restrizioni anti-coronavirus il 21 giugno. La riapertura avverrà in quattro fasi, a partire da inizio marzo. La strada è ancora lunga, ma c’è luce in fondo al tunnel. A patto di non intendere quelli sotto il mare, che resteranno sulla carta.