In una delle più belle sequenze del film Novecento di Bernardo Bertolucci, 1976, la giovane ed insoddisfatta Ada Fiastri Paulhan (Dominique Sanda), infelice consorte del possidente Alfredo Berlinghieri (Robert De Niro), durante una cavalcata nel bosco si impiglia nella rete tesa da Olmo Dalcò intento nell’antica pratica dell’uccellagione, la caccia di frodo dei poveri, consistente nella cattura di volatili di piccola taglia mediante la predisposizione di fitte maglie tese tra gli alberi. Ne nascerà un amore che il fiero bracciante interpretato da Gerard Depardieu, animatore socialista in un’Italia in pieno biennio rosso, non incoraggerà per l’antica amicizia che lo lega al proprio amico-padrone con cui condivide il giorno della nascita e per la passione che nutre per la compagna di lotta Anita Furlan, la giovane maestra dei contadini analfabeti interpretata da Stefania Sandrelli. Su tutto, la musica infinita di Ennio Morricone.
Nota e praticata sin dall’antichità, la citata tecnica venatoria, proibita da decenni in Italia, consiste nella predisposizione di trappole non sempre in forma di rete poiché utilizza anche panie, vischio, richiami o il ricorso a rapaci addestrati. Nel medioevo fu anche uno sport nobile da cui derivò poi quella caccia con il falco di cui Federico II di Svevia, Stupor mundi, descrisse minuziosamente i dettagli nell’unica opera certa che è pervenuta: il trattato De Arte venandi cum avibus, oggi conservato nella Biblioteca Vaticana.
La pratica dell’uccellagione non è mai stata estranea alla politica antica, moderna e contemporanea. Nei momenti di particolare debolezza il potere ha sempre cercato di catturare con la promessa di cariche, prebende e futuri benefici gli oppositori, blandendoli in ogni modo. I sistemi autoritari non hanno esitato a sopprimere fisicamente i propri antagonisti spesso sin dai primi segnali della loro eventuale pericolosità e quella storia si ripete in questi giorni nell’Egitto di Al-Sisi, in Turchia, in Cina e nella Federazione Russa alle prese con l’affaire Aleksej Naval’nyj. Non sono mancati neanche i Dùmini, i Volpi, i Malacria e i Poveromo pronti a sopprimere il Matteotti di turno ad un cenno, mai esplicito, dei propri mandanti politici.
Nelle democrazie occidentali le tecniche sono state perfezionate ed hanno fondato teoria e pratica del trasformismo di intere formazioni politiche, inquadrandole nel tema della rivoluzione passiva di cui Antonio Gramsci e Benedetto Croce si sono a lungo occupati con riflessioni di altissimo livello. Una via crucis che il Partito Comunista Italiano, con le successive denominazioni, continua a percorrere dopo la caduta del muro di Berlino per non essere progressivamente espunto dalla politica italiana, come in qualche modo intendeva fare Bettino Craxi firmando così la propria auto condanna all’esilio e la fine della Prima Repubblica.
Ben al disotto dell’accezione altamente politica associata al tema del trasformismo storico, sono stati successivamente i cambi di casacca di singoli e spesso sconosciuti membri di maggioranza o di opposizione, allettati con vasta gamma di metodi – dai più rozzi ai più sofisticati -, ad approfittare del divieto di vincolo di mandato, previsto con più nobili obiettivi dall’articolo 67 della Costituzione a tutela della libertà più importante su cui, a partire dalla Rivoluzione Francese, poggia il ruolo di ogni singolo rappresentante del popolo.
Un pilastro costitutivo dell’essenza stessa dell’identità parlamentare che soltanto il Fascismo ieri e il Movimento Cinque Stelle oggi hanno sempre contrastato. Del Movimento chi scrive non ha mai cessato di sottolineare il cuore nero, ad onta di chi aspira a conferire al soggetto inventato da Beppe Grillo e da Gianroberto Casaleggio, una patente di sinistra del tutto estranea al suo dna populista della peggiore specie. Uno squallido tentativo, spacciato per alta strategia, di fornire al Partito Democratico un laccio emostatico in grado di fermare l’emorragia di consensi che lo affligge ormai da anni.
Costretti dal redde rationem imposto da Matteo Renzi con una mossa politica che molti si affannano a dichiarare «incomprensibile» semplicemente perché non sono in grado di capirla, mai però si era giunti all’istituzionalizzazione dell’uccellagione su vasta scala, esercitata a microfoni aperti, sotto l’occhio vigile delle telecamere di tutte le emittenti e addirittura predisposta in modo da gratificare le prede di appellativi quali «costruttori» «responsabili» «europeisti» e, poco ci manca, salvatori della Patria.
Lo spettacolo indecoroso di sconosciuti peones braccati in entrambi i rami del Parlamento per sostenere la periclitante maggioranza di Giuseppe Conte ha sfogliato all’indietro le pagine della storia, riportando alla memoria Scilipoti, Razzi, De Gregorio, personaggi emblematici di un tempo che si pensava essere stati archiviati per riservarne l’uso esclusivo a comici, vignettisti ed imitatori. Una parodia che tuttavia sta risultando comunque inutile, vista la perdurante condizione di assenza di maggioranza nell’aula del Senato, che ha comportato l’inevitabile salita del presidente del Consiglio al Colle per rassegnare le dimissioni, dal momento che c’è un limite di decenza che nemmeno Giuseppe Conte può varcare.
Com’era immaginabile, il presidente della Repubblica ha preso atto durante le consultazioni di rito di tre elementi concreti: il primo è l’indisponibilità dello schieramento di centrodestra a fornire alcun appoggio ad un eventuale governo Conte Ter e a insistere sulla necessità di elezioni anticipate; il secondo e il terzo coincidono con le manovre in corso per ampliare l’attuale maggioranza mutilata, a patto che i singoli pellegrini responsabili si riconoscano in modo stabile, anche se non sufficiente, in un unico gruppo e che si pervenga ad una ricomposizione della frattura con Italia Viva (a cui cedere in termini di programma tutto il possibile), con una conseguente rappresentanza a Palazzo Chigi adeguata a vigilare su impegni pretesi ora per iscritto nella forma di un contratto di governo, il secondo della XVIII legislatura. Visti gli esiti e le schizofrenie del precedente, con la non piccola differenza di duecento e passa miliardi di euro ora in ballo, sappiamo già come andrà a finire.
La faccenda tutta interna, dunque, al centrosinistra non poteva che condurre all’incarico esplorativo, affidato al presidente della Camera Roberto Fico non solo quale terza carica dello Stato ma anche esponente di spicco del Movimento Cinque stelle, che rimane il principale partito rappresentato in Parlamento. Una sorta di messaggio criptico da parte del Capo dello Stato, traducibile, con estrema libertà interpretativa, con le parole «Vedetevela tra di voi, io comunque dispongo di un piano B». L’ultimo monito che Sergio Mattarella, visibilmente irritato, ha lanciato restando nel proprio perimetro istituzionale e che ove si riveli inascoltato lo abiliterà ad assumere la scelta consequenziale di un governo del presidente.
Hanno avuto inizio così per Roberto Fico i giorni della merla, espressione popolare su cui val la pena di condurre una riflessione tra leggende e trasformazioni del volatile in questione. I giorni della merla, individuati negli ultimi tre del mese di gennaio, per secoli hanno anche scandito un passaggio importante nella vita contadina. La primavera astronomica è ancora lontana, ma si va verso un aumento delle temperature e del risveglio” della terra. In molte zone d’Italia i giorni della merla erano, proprio per questo motivo, un’occasione per riti propiziatori che scacciassero il gelo e permettessero le coltivazioni. Ne sappiamo qualcosa in Sicilia, dove proprio in quei giorni un timido profumo sembra essere promessa di una pur ancora lontana primavera e l’albero di mandorlo fiorisce tra i templi greci di Agrigento già nei primi giorni di febbraio.
I merli, turdus merola, com’è noto sono uccelli passeriformi di colore nero dal fischio flautato, sempre allegri e dotati di notevoli capacità imitative. La leggenda narra che un tempo fossero bianchi fino a quando una femmina, temendo di non poter resistere al periodo più acuto del freddo invernale, si rifugiò in un comignolo dove tenere al riparo se stessa e i propri piccoli. Trascorsi i fatidici tre giorni e affacciatasi dal suo prudente ricovero, si accorse che tutti gli altri merli erano stecchiti mentre la propria nidiata era sopravvissuta ma, a causa della fuliggine, era diventata nera: da allora il piumaggio dei merli sarebbe stato quello che oggi conosciamo. Della favola esistono varianti nelle diverse regioni ma la morale è la medesima: la prudenza della merla nel momento di massimo pericolo aveva salvato la specie, pagando però il prezzo di una radicale trasformazione. Leggende che vengono da lontano ed insegnamenti che possono tornare utili per il futuro.
Chissà se Roberto Fico, che pure si è laureato con una tesi dal titolo “Identità sociale e linguistica della musica neomelodica napoletana” ha mai riflettuto sul fatto che Merola, nomen omen, è anche il più noto Mario, tra i più seguiti ed idealizzati interpreti del genere musicale che tanto il Presidente ha così diligentemente approfondito. C’è da augurarsi che oltre che su tale curiosa coincidenza tra i tre giorni concessi per l’espletamento del proprio mandato, le leggende ornitologiche ed richiami alla sua Napoli, rifletta anche sul fatto che il Movimento da cui proviene ha ormai esaurito la propria spinta velleitaria che tanto è costata finora all’Italia.
Mentre aspettiamo con ansia l’esito dell’esplorazione ed i relativi effetti sul futuro del Governo, ci assale un dubbio: e se i tre giorni piuttosto che della Merla fossero quelli del Condor? In molti ricorderanno il film del 1975 diretto da Sydney Pollack che ottenne la nomination all’Oscar l’anno successivo. Fu uno dei più significativi successi di Robert Redford che nella parte del giovane Joseph Turner – lettore di ogni genere di pubblicazione che potesse contenere informazioni nascoste o criptate, in una sezione impiegatizia della CIA e con il nome in codice di Condor – si trova ad essere, per puro caso, l’unico superstite della strage dei propri colleghi ad opera di un misterioso commando che riferirà poi di non averlo trovato in ufficio.
Inizia così una caccia all’uomo che vede Turner vagare in una New York pre-natalizia con il dubbio di avere scoperto qualcosa di cui aveva inviato un rapporto generico a Langley, Virginia, mesi prima. La trama è affascinante e risente del clima dello scandalo Watergate di appena tre anni prima che aveva portato all’impeachment e alle dimissioni di Richard Nixon nel 1974. Non a caso nel 1976, sarebbe stato sugli schermi il film “Tutti gli uomini del presidente”, ancora una volta con Redford stavolta in compagnia di Dustin Hoffman. Ma questa è un’altra storia.
Nei tre giorni in fuga Turner/Redford prende coscienza della presenza di elementi deviati all’interno della CIA e di un complotto mirante a far scoppiare un conflitto in Medio Oriente per assicurare dopo la stretta dell’OPEC del 1973, il controllo americano del petrolio. Trova inaspettato alleati che lo aiutano e coglie in un momento di resipiscenza il killer internazionale Joubert incaricato di eliminarlo – uno straordinario Max von Sydow – ma che, apprezzandone le doti mostrate sul campo, lo invita a seguirlo in Europa, per mettersi in salvo da un’inevitabile fine (visto che, a suo avviso, tutto sarà presto insabbiato). Il film si conclude con la sequenza in cui Redford si avvia verso la sede del New York Times per raccontare i fatti ma è attanagliato da un dubbio: la storia sarà mai pubblicata?
Il condor delle Ande, vultur gryphus, appartiene alla famiglia dei Catartidi – nome desunto da Aristotele il quale nella Poetica lo fa derivare da catarsi/purificazione -, elemento fondamentale della tragedia e traslato a quella famiglia di uccelli proprio perché ripulitori del terreno dalle carogne che scorgono da altezze notevolissime e su cui planano con ali ampie oltre quattordici metri. Un semplice caso o sublime ironia del professor Sergio Mattarella che il greco e il latino conosce bene per averli studiati al San Leone Magno di Roma con i Padri Maristi delle Scuole e non a villa Nazareth, come l’avvocato del popolo? I tre giorni del mandato esplorativo scadranno martedì 2 febbraio e non vi saranno proroghe, poco importa che a volare siano state merle che hanno mutato colore o condor satolli di ciò che vi era da ripulire. A quel punto, ci sarà solo da augurarsi che nel cielo di Roma si alzino soltanto le aquile. Per favore, qualcuno avvisi per tempo gli storni (sturnus vulgaris) di non farsi vedere in giro, potrebbero lasciarci le penne.