Considera gli oggettiChiara Alessi e le sue tante care cose di ottimo gusto

Nel suo nuovo libro edito da Longanesi, la critica di design racconta una piccola enciclopedia di un secolo di creatività e imprenditoria italiana

di Everyday basics, da Unsplash

Cose fisiche, cose grafiche, cose anonime, cose di firma «che non lo sembravano». Ma anche «invenzioni, soluzioni, adattamenti», che messi in fila, uno dopo l’altra, costituiscono una storia el design italiano. È il senso del libro di Chiara Alessi “Tante care cose”, appena uscito da Longanesi, che costituisce una piccola enciclopedia di un secolo di creatività e senso imprenditoriale.

Con le illustrazioni di Paolo D’Altan, ogni pagina è una storia personale, familiare e industriale: ci sono colpi di genio del «poeta ingegnere» Sinisgalli e la “P” di Pirelli – lunghissima: evocava l’elasticità della gomma o riproduceva in modo più prosaico, la firma? – il piccolo mondo del tessile piemontese (Superga, Fila), cui si aggiungono gli occhiali Persol. O l’epopea della Cedrata Tassoni, «buona e fa bene», che nella ricetta originale «prevede l’impiego di acqua piovana», in un’epoca in cui era più pura di quella dei rubinetti.

È un’antologia di oggetti: piccolissimi come le graffette (e la spillatrice a forma di faccia di balena) o grandi, come l’Ape, «il cugino minore della Vespa», che ancora non ha un genere ben chiaro: «in Sicilia è Lapa, quindi femminile, come in Veneto, a Napoli è “’O trerruote”, maschile, come nelle Marche. L’”Apixedda” in Sardegna. A Roma è l’“Apetta”, ma anche l’“Apino”. In Toscana è maschile, e anche in Liguria, mentre in una parte del Piemonte è femminile». Fino ad arrivare all’Autogrill (sì, quello della Pavesi a Lainate, alle porte di Milano).

In filigrana, oggetto per oggetto, emerge una storia del design, che per Chiara Alessi nasce nell’epoca del Futurismo, e una storia d’Italia a flash: il dialogo ripercorre l’incrocio tra genialià e competenze, apertura all’estero, inventiva e lavoro, mentre sullo sfondo il Paese cambia e viene cambiato, proprio da questi stessi oggetti.

E allora ecco la lavatrice che libera le donne (e qui si parla della Candy, nome derivato dalla canzone di Nat King Cole) che andrà a lavorare, magari come dattilografa (Camillo Olivetti lo intuisce prima di tutti), e magari in sella a una Graziella. Ma anche il telefono, i seggiolini del telefono (pensati apposta da designer sadici ma pragmatici come Achille Castiglioni per essere scomodi: le chiacchierate costano) la mitica 500, i pulsanti dell’elettricità.

Cosa dopo cosa, si fa il ritratto di un’Italia che si modernizza, più urbana, più istruita, più socievole, che cambia il modo di vivere e di consumare. Va al supermercato (e qui si ricorda che «Esse comincia con la “e”», come ha capito bene Bernardo Caprotti), non compra più la pasta sfusa, ma inscatolata (Pietro Barilla, dopo essere stato negli Stati Uniti, aveva capito che era quello il futuro) segue i marchi, guarda ai loghi, accompagna uno stile di vita che, dopo le lampade sospese di Pio Manzù, arriva alla Panda di Giugiaro, al Jolly dell’Invicta alla Nutella e l’Ovetto Kinder. Non tutto è design, non tutto è bello, ma tutto è «una cara cosa».

È, insomma, una piccola guida di museo, traduzione cartacea dell’avventura delle lezioni da due minuti del «design in pigiama» che Chiara Alessi faceva su Twitter durante il primo lockdown.

Aneddoti selezionati, storie brevi con tocchi personali, un po’ di nostalgia. Lo spiega bene lei stessa: «Le cose sono concentrati di racconti, memorie, odori, affetti, transizioni, ricordi. Quando si perde un oggetto (o lo si lascia andare), o un oggetto si perde nella storia (o la storia lo supera), si avverte uno smarrimento che non coincide mai solo con la perdita del suo valore economico. Quando perdiamo un oggetto, per dirla con Sartre per cui “il passato è un lusso da proprietari”, perdiamo proprio un pezzo di passato».

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