L’Italia a forma di House of Cards.
Cosa vuoi mai aspettarti da un paese a forma di scarpa, diceva Freak Antoni. Era quando non cercavamo di sembrare meno provinciali guardando gli sceneggiati sottotitolati, era quando quelli che fanno le pagine politiche non avevano ancora visto Frank Underwood, e non ne avevano ancora riconosciuto le origini.
Il tenero caporedattore forse ha una vaga idea che Riccardo III fosse un re inglese (era mica quello con tante mogli? No? Vabbè, uguale), ma di certo non ha mai visto Shakespeare a teatro (però ha visto Romeo e Giulietta di Zeffirelli su Rete4 – un pezzo, poi si è addormentato). Per il tenero caporedattore, l’ambizione cinica l’ha inventata uno sceneggiato televisivo recente, lo stesso che ha inventato anche lo sfondamento della quarta parete – sì, insomma, quella cosa che Frank ti guarda e ti dice che sì, lui è proprio una merda, e proprio per questo, pubblico, tu tifi per lui.
Prima che Frank Underwood spingesse un’amante sotto al metrò, per il tenero caporedattore (che oltre a Shakespeare ignora pure Rino Formica) la politica era zucchero e petali di rosa. Ma lì sì che ha scoperto l’ambizione, il «whatever it takes», l’essere disposti a tutto. E quindi ieri sui social il tic era: Renzi ha fatto una manovra da far impallidire Underwood.
Solo 24 ore prima, Underwood era Casalino, dalla posa in cui era fotografato sulla copertina del libro, seduto come Kevin Spacey in locandina. Spacey nell’immagine ricalcava un tal Abramo Lincoln, nel monumento a lui eretto a Washington, ma ora non cavilliamo: non sanno Shakespeare, mica potranno sapere i monumenti.
Viene tuttavia il sospetto che il paragone con House of Cards andrebbe evitato. Il personaggio Underwood muore in maniera persino più sciatta che nel resto delle puntate, giacché l’attore Spacey nel frattempo era stato accusato d’essere un maniaco sessuale, e occorreva farlo fuori rapidamente. Certo, questo apre la via istituzionale a una moglie – la vedova al governo – ma se l’elettorato resta insoddisfatto la metà degli spettatori, ecco, meglio evitare.
L’Italia a forma di doppia mascherina.
Riprendiamo da tutti i giornali americani la raccomandazione di Fauci sulla doppia mascherina, e poi persino la persona finalmente seria chiamata a raccogliere i cocci di questo povero paese – sì, insomma: persino Draghi – al Quirinale si toglie la mascherina per sputacchiare ben bene nel microfono la sua dichiarazione di tentativo con riserva d’accroccare una maggioranza.
Se non era House of Cards, ieri l’internet (come dicono i giornali: il popolo del web) era: eh, ma dopo è peggio. Pare che l’italiano, se gli imponi il governo Rottermeier, si vendichi votando i peggio cialtroni al giro successivo. Sarà difficile notare la differenza, come dire.
La più saggia delle mie amiche una volta zittì qualcuno che stava redarguendo le disciplinate part time, quelle che stanno a dieta poi interrompono poi ci riprovano poi eccetera, dicendo che comunque, se anche stai a dieta metà del tempo, in un anno fai sei mesi di dieta.
Tradotto in analisi politica: certo che sarebbe meglio essere un paese adulto che apprezza la disciplina, ma – essendo un paese montessoriano che appena può si polleggia (scusate il bolognesismo) – sarà ben un successo riuscire a imporre un paio d’anni di «pagare le tasse è bellissimo», ogni tanto.
Dice: eh, ma poi si rifanno con più vigore. Certo, i sedicenni cui i genitori impongono di non uscire dopo cena poi, la prima volta che hanno casa libera, organizzano festini in cui sfasciano tutto e i genitori si pentono d’averli lasciati liberi un weekend. Ma almeno non gli hanno sfasciato casa gli altri 363 giorni. Dopo tre anni di reddito di cittadinanza, quota cento, compiti non fatti e verdure non mangiate, due anni di collegio militare mi paiono un buon punto d’equilibrio. D’altra pare il collegio militare è ciò cui penso ogni volta che vedo bambini italiani fare piazzate in ristoranti o aeroporti: se non il collegio militare, chi mai dovrebbe educarli? Genitori perpetuamente sedicenni?
L’Italia a forma di nientità.
La folgorazione lessicale è di Massimo Cacciari, che intervistato dalla Stampa usava la nuova categoria filosofica della «nientità» per definire Di Maio e Casalino (parlandone da vivi). Purtroppo l’intervistatore non ha ritenuto di chiedergli un giudizio su Toninelli, che – col piglio tipico d’un governo che da anni ci butta lì con eroico vittimismo d’aver lavorato anche ad agosto – l’altroieri aveva scritto sui social «Abbiamo fatto di tutto. Perfino annientarci negli uffici a lavorare». Accipicchia. Il reddito d’annientamento. Il reddito di nientità.
Comunque hanno ragione, quelli che dicono che dopo Draghi sarà peggio. Chi s’assomiglia si piglia, chi s’assomiglia si vota. E l’Italia somiglia a quelli che ritengono di definire «annientarci» ciò che i genitori premontessoriani avrebbero liquidato con «hai fatto la metà della metà del tuo dovere». Somiglia, l’Italia, a un posto dove gli scansafatiche son sempre gli altri, i colpevoli son sempre gli altri, i raccomandati son sempre gli altri.
La più eloquente analisi politica che abbia letto nelle ultime ventiquattr’ore non viene dalle pagine politiche ma dal mio profilo Instagram. Da una delle spettatrici insufflate da un certo varietà coi balletti un inviato del quale – tal Luigi Pelazza – è stato pochi giorni fa condannato per violenza privata ai miei danni. Ubbidendo alla richiesta del profilo Instagram del programma di emanciparsi dall’adempienza alle sentenze e venirgliela a cantare al vicino di posto di Barabba (sì, mi sto paragonando a Gesù), la signora è planata dentro quel pessimo motel che è la mia pagina, e così ha sintetizzato l’umore del paese: «Non ti senti in colpa per Luigi Pelazza?». Le è simpatico, fa un programma che la signora guarda: mica dovrà sentirsi in colpa lui nel commettere reati. Dovrò sentirmi in colpa io ad averlo denunciato, e il giudice ad averlo condannato, e pure il codice penale, per il fatto d’esistere.
L’Italia a forma di Franco Evangelisti, mica di Frank Underwood.