Quindi un tizio con una telecamera, in nome dell’immunità alle leggi del mondo datagli dal lavorare per la televisione, non può introdursi a forza in casa tua. L’ha detto il tribunale di Milano sabato mattina, ed è una notizia che ho accolto con un certo sollievo, dato che la casa in cui erano avvenuti i fatti a processo era la mia, e che per sei anni un po’ tutti – il poliziotto al quale ho fatto la denuncia nel 2015, i giornali, l’internet, l’avvocato del tizio entrato con la forza in casa mia – hanno sostenuto in tutta serietà che non fosse poi grave.
In misure diverse, in modi che ogni volta mi hanno fatto dubitare dell’ovvio: forse era colpa mia che guardavo troppi sceneggiati americani, dove il trespassing è una cosa gravissima, dove se metti un piede nella porta – come aveva fatto il tizio per impedirmi di richiudergliela in faccia – ti portano via in ceppi (a meno che la padrona di casa non ti spari prima, com’è nel suo pieno diritto; cosa che, pur senza legislazione statunitense, avrei volentieri fatto anch’io, se non fossi stata sprovvista di armi: il che è un bene, ero pure senza occhiali, come minimo mi sarei sparata in un piede io invece di mutilare lui).
(Questo è il punto in cui i miei amici garantisti inorridiscono, come sarebbe che vuoi sparare all’intruso, sarai mica salviniana. Amici garantisti, portate pazienza, arriviamo anche a Salvini, sarà un lungo riassunto, mettetevi comodi).
Settembre 2015, cerco di chiudere il cancello del mio palazzo in faccia a un inviato di varietà con balletti trasmesso da Mediaset (sì, la stessa azienda televisiva in cui Barbara D’Urso difende le donne dalla violenza: si vede che sono un uomo). L’inviato si è già introdotto nel cortile, quindi si trova già in una proprietà privata non invitato. Dunque io tento di non farlo entrare almeno nella mia palazzina, egli mette un piede in mezzo e dice: è inutile che ti agiti, tanto noi siamo abituati.
In effetti è inutile: neanche una cretina, quale io certamente sono, può pensare di difendersi da un uomo alto il doppio di lei che ha deciso di entrare con la forza a casa sua.
Autunno 2020, udienza processuale. Il pubblico ministero chiede: lei si rendeva conto di essere in una proprietà privata? L’imputato, senza traccia d’ironia, risponde: il portone era aperto.
Sempre settembre 2015, il filmato della deliziosa scenetta svoltasi a casa mia viene trasmesso. L’internet pullula di aspiranti premi Strega, aspiranti deputati, aspiranti filosofi del diritto che sghignazzano. È un bellissimo spettacolo, che spiega bene il mercato degli snuff movie, quella branca del porno in cui la protagonista viene ammazzata davvero davanti alla macchina da presa. Solo che gli snuff movie sono illegali; i varietà di Italia 1, misteriosamente, no.
Sempre settembre 2015, vero titolo di giornale davvero pubblicato a seguito della trasmissione del filmato in cui uno mi entra in casa a forza e io cerco di non farlo avvicinare a una distanza che la prossemica definisce «intima» (ho imparato in sei anni di avvocati che «prossemica» è una parola troppo difficile, e una vittima che voglia essere credibile come vittima non deve usarla; ho capito in questi sei anni che il modello Maria Goretti non è monopolista perché era vergine, non è monopolista perché è morta: è monopolista perché Maria Goretti era analfabeta, e se la sai più lunga del carnefice nessuno prenderà mai sul serio il reato) – mi sono persa in un inciso, lo so, vi devo un titolo di giornale sul filmato in questione: «Guia Soncini aggredisce inviato delle Iene». Maria Goretti aggredisce corteggiatore. (Oddio, la Soncini si sta paragonando a Maria Goretti, ti rendi conto?!).
Gennaio 2020, Matteo Salvini citofona a una famiglia bolognese chiedendo se siano spacciatori. Non si è portato dietro una produzione televisiva, ma ne esistono immagini perché se sei Salvini la gente ti filma. Non è entrato a forza in casa loro, si è limitato a citofonare. Da parte degli stessi aspiranti premi Strega, deputati (nel frattempo non più aspiranti), aspiranti filosofi del diritto che sghignazzavano cinque anni prima, da parte degli stessi in questo caso arrivano richieste, per Salvini, d’ogni genere d’incriminazione. Per l’assai più grave reato d’aver citofonato, per carità, mica perché valutiamo buoni e cattivi in base alla curva di stadio in cui sono posizionati (la nostra o quella opposta) e non in base alle azioni.
Sempre settembre 2015, commissariato. Beh, ma non era casa sua, erano le scale del palazzo. Le scale di cui io pago la pulizia e loro no, le scale per arrivare alle quali ci sono due portoni con serrature di cui io ho le chiavi e loro no: direi che è decisamente casa mia. (Segue telefonata al mio allora avvocato che spiega al commissario che la Cassazione ha stabilito che; segue commissario che chiede «ma le sezioni unite?»; seguo io che chiedo «ma se trovo un eroinomane che dorme nell’androne mi dite che ci può stare?»; seguono poliziotti confusi: ma che c’entra, mica starò paragonando l’eroina e lo share).
All’epoca ero a processo perché un tizio che conosco aveva armato dei nebulosi traffici di compravendita di foto sottratte a un attore americano. Nel documento dell’accusa, sventolato dall’inviato del varietà coi balletti, c’era scritto che io neanche sapevo che queste foto esistessero. Tuttavia egli, autonominatosi giustiziere, decide d’introdursi a forza in casa mia per dirmi quant’io faccia schifo (è caratteristica del programma non fare domande, ma dire accuse in tono «ma non ti vergogni» – ti danno pure del tu, giacché la terza persona rappresenterebbe un’insormontabile difficoltà sintattica per l’analfabetismo medio del loro pubblico). Quando, cinque anni dopo, egli testimonia in qualità d’imputato, la giudice domanda eventuali precedenti penali. Egli ne elenca una sfilza. Quindi: un pluripregiudicato si è introdotto con la forza a casa d’un’incensurata per svergognarne l’essere a processo. Processo nel quale l’incensurata verrà ovviamente assolta, ma cosa conta questo di fronte alla jannacciana forza della televisione.
(Ma un programma così attento alla trasparenza non dovrebbe, mandando in giro un pregiudicato, apporre almeno dei sottopancia che avvisino l’impressionabile pubblico che la fedina penale del giustiziere del momento non è esattamente linda?).
(Alla fine di questo articolo tutti gli amici garantisti m’avranno tolto il saluto, santo cielo. Ho pure scritto «ovviamente assolta», sto forse insinuando che gli innocenti non vengano mai condannati? Travaglia che non sono altro).
L’avvocato che ha difeso il tizio è un personaggio meraviglioso, una specie di Mia Farrow che a ogni intervento frignava che la giudice facesse parlare più gli altri, che fosse una vessazione impedirgli d’illustrare quant’io fossi una malvivente, che le udienze venissero fissate al sabato apposta per infelicitargli i fine settimana.
La difesa ha sostenuto di non essere in possesso del filmato integrale. Eh, ma sapete quanto spazio occupano i filmati, hanno sospirato serissimi, come se gli hard disk d’una produzione televisiva fossero i nostri telefoni che ogni tanto vanno svuotati dalle foto. Un autore del programma, sul banco dei testimoni, ha detto, sempre senza alcuna ironia, che lui ha cancellato anche l’integrale dell’intervista esclusiva che aveva fatto ad Arafat. Nessuno gli ha fatto notare scusi, ma quando Arafat o Soncini muoiono, a voi non fa comodo avere del materiale inedito? Giacché, ho scoperto assistendo per la prima volta a un processo, nei tribunali italiani puoi dire qualunque stronzata, e nessuno mai ti contraddice. Ah, quindi nelle produzioni televisive non si conservano i filmati integrali, neanche se oggetto di cause legali e quindi magari utili a discolparsi? Grazie di avercelo spiegato, si accomodi pure.
Anche senza i vari «tanto noi siamo abituati» dell’integrale, nel servizio mandato in onda c’era una parte in cui il malvivente mi appoggiava i suoi appunti sulle cosce. Non è che serva Umberto Eco per dire che non è una prossemica abituale tra due sconosciuti. Quando l’ho fatto notare, il tenero avvocato ha sostenuto che l’immagine che era lì sullo schermo non fosse lì sullo schermo, che l’imputato non mi si fosse mai avvicinato oltre una distanza socialmente consona. Non è mica colpa sua, povero, che si trova a difendere la frittata fatta.
Prima, nelle cucine, qualcuno l’avrà visionato, quel filmato: un mio avvocato li aveva diffidati dal mandarlo in onda, nei nove giorni da quando sono entrati con la forza a casa mia a quando l’hanno trasmesso qualche genio all’ufficio legale di Mediaset l’avrà di certo visto, l’avrà visto e avrà detto ma ovvio che è un comportamento consono, orsù, trasmettiamolo. Soldi ben spesi, Piersilvio (una volta in famiglia eravate bravini a scegliere gli avvocati: sarà il declino delle élite).
Insomma, esiste ancora l’inviolabilità del domicilio. Uno sconosciuto non invitato a entrare non può imporre la propria presenza in casa tua, neanche se dotato del superpotere televisivo e convinto quindi di godere d’immunità diplomatica. Ne ero abbastanza certa anche prima di sabato, ma è un sollievo sapere che è ufficiale.