Il vero modelloIl segreto del successo della campagna di vaccinazione israeliana

Il governo di Benjamin Netanyahu ha già protetto una parte consistente della popolazione, registrando un calo del 94 per cento dei casi sintomatici di Covid fra quanti sono stati immunizzati col vaccino Pfizer. Il responsabile della task-force anti-Covid di Gerusalemme la spiega così: «Il nostro punto di forza è la digitalizzazione e la rapidità di esecuzione»

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Israele sarà un esempio, un laboratorio, anche per l’Europa. È questo il tema affrontato durante il webinar organizzato da Stefano Parisi e moderato dal giornalista Giancarlo Loquenzi, nel quale hanno partecipato l’ambasciatore israeliano in Italia, Dror Eydar, e Arnon Shahar, responsabile della campagna vaccinale per il Maccabi Healthcare Services.

Israele come modello, sia per la logistica sia per la velocità di esecuzione della campagna di vaccinazione. Il governo di Benjamin Netanyahu sta utilizzando il vaccino di Pfizer e ha già protetto una parte consistente della popolazione. Su 9 milioni di abitanti, sono quasi 6,4 milioni le dosi inoculate, pari a 70,46 dosi ogni 100 persone; il 42,8 per cento dei cittadini ha ricevuto la prima dose mentre il 27,7 per cento entrambe. Un calo del 94 per cento dei casi sintomatici di Covid è stato inoltre rilevato fra quanti sono stati immunizzati col vaccino Pfizer. Lo ha rilevato una ricerca condotta dalla cassa mutua israeliana Clalit, confermando così risultati analoghi raccolti in precedenza dalla cassa mutua Maccabi.

I numeri, sempre nel corso del webinar, sono stati forniti dall’ambasciatore Dror Eydar, che non ha nascosto la sua sorpresa di fronte a un andamento non altrettanto rapido delle vaccinazioni in Europa: «Israele è tra gli unici Paesi al mondo in cui la questione dei vaccini è stata spinta e gestita dal primo ministro. Benjamin Netanyahu ha parlato più volte con il Ceo di Pfizer dal quale ha ottenuto milioni di vaccini. Abbiamo capito che valeva la pena pagare di più per salvare vite umane. Per ogni vaccino abbiamo pagato più del doppio degli altri».

Ma cosa differenzia il modello sanitario israeliano da quello dei Paesi europei? «La digitalizzazione e la rapidità di esecuzione – spiega ancora Eydar -. Sono atterrato a Tel Aviv e dopo 10 minuti mi avevano già inoculato la prima dose. Senza contare che i cittadini israeliani sono schedati su un sistema digitale con cui è più facile gestire le loro cartelle cliniche».

Eydar spiega inoltre come Israele si stia già preparando a eventuali pandemia future: «Netanyahu ha avuto i primi contatti per quanto riguarda la creazione di stabilimenti farmaceutici in Israele da parte di Moderna e Pfizer. L’obiettivo è creare un vaccino in “casa nostra” senza doverlo importare», continua l’ambasciatore.

Sull’Europa invece «mi interrogo sul perché sia così in ritardo sulla vaccinazione. Ci sono state indicate varie ragioni, ma non credo sarebbero state accettate in una situazione di guerra convenzionale. Vi aspettereste che i leader europei ottenessero delle armi in qualsiasi situazione e rapidamente», puntualizza ancora Eydar.

Il professor Shahar spiega invece il perché del successo del modello israeliano. «Innanzitutto abbiamo assistito alla tragica evoluzione che la pandemia ha avuto in Europa e sopratutto in Italia e capito dove potevamo intervenire. Non abbiamo intasato gli ospedali, i contagiati sono stati disposti nelle comunità o negli hotel, anche contro la loro volontà», chiosa il medico.

Un altro punto di forza di Israele è la logistica. Sono attivi due call center di vaste dimensioni, in modo da garantire assistenza sia ai cittadini sia agli operatori sanitari. «All’inizio abbiamo avuto un po’ di problemi, potevamo anche andare al doppio della velocità», ha riferito il medico responsabile della task-force del piano vaccinale anti-Covid in Israele. «Non ci siamo inventati niente, perché usiamo gli stessi sistemi elettronici che usavamo prima. Non tocchiamo carta e penna in tutto il piano vaccinale, è tutto in via elettronica. I vaccini partono da un grande hub centrale gestito dallo Stato, e le dosi vengono distribuite su scala locale» continua ancora.

Ad inoculare le dosi ci pensano poi «paramedici e infermieri». Niente medici. Anzi, è possibile che in un centro di somministrazione «non sia presente neanche un medico, se non il responsabile generale». Perché? «Per il semplice motivo – spiega Shahar – che è un lavoro molto stancante e i medici hanno già dei carichi di pressioni considerevoli negli ospedali».

Shahar ha fornito anche risultati incoraggianti sugli effetti collaterali del vaccino Pfizer. «Nonostante l’aumento dei casi, il tasso delle persone ammalate severamente è rimasto più o meno uguale. Questo vuol dire due cose: che il lockdown è servito a qualcosa, ma anche che il vaccino sta funzionando», ha raccontato.

Un altro punto a favore è anche la disponibilità di dosi. Per stessa ammissione di Shahar, Israele si è portato avanti comprando i lotti di vaccino prima e a un prezzo molto superiore a quello europeo. Ma non è stato solo questo a fargli avere la precedenza con le case farmaceutiche: «Per Pfizer e Moderna il nostro sistema così digitalizzato vale molto di più del pagamento dei vaccini in sé. Perché i milioni di dati che gli forniamo sono un database che loro potranno usare in futuro per la creazione di nuovi farmaci. Si tratta di un patrimonio immenso», spiega Shahar.

Israele ha inoltre creato il metodo “no show”, ovvero il modo in cui non sprecare il vaccino se la gente non si presenta. «Abbiamo costituito una “panchina” di vaccinati, da contattare immediatamente per farli venire. Abbiamo una banca con l’elenco di chi si deve vaccinare o di chi deve fare il richiamo, e nel momento in cui si libera un posto possiamo chiamare le categorie più deboli, le forze dell’ordine o chi ha patologie», puntualizza Shahar.

Infine, tra i saluti e le domande dei giornalisti, prende la parola anche Guido Bertolaso, coordinatore del piano di vaccinazione della Lombardia, che svela: «Sono uscito ora da una riunione urgente nella quale abbiamo discusso di una nuova emergenza: la variante della variante. Una variante inglese pare abbia mutato e adesso stiamo parlando di variante scozzese in un paio di comuni di Varese».   

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