Di solito ci si concentra sul volto disperato, o sul cielo ondulato sullo sfondo dai colori surreali (ma secondo alcuni sarebbe stato un tratto realistico, dal momento che in seguito all’esplosione del vulcano Krakatoa del 1883 i cieli di tutto il mondo sono stati inondati di polvere, diventando rossi).
Chi è più attento potrebbe notare, in alto a sinistra della prima versione dell’“Urlo”, conservata al Museo Nazionale di Arte, Architettura e Design di Oslo, anche una piccola frase, scritta a mano. «Può essere dipinto solo da un pazzo».
Chi è stato? Per decenni i critici hanno risolto l’imbarazzo provocato da quella scritta nel modo più semplice: ignorandola. L’ipotesi più accreditata fin da subito è stata quella del vandalo: magari uno spettatore deluso, forse contemporaneo del pittore norvegese. Una tesi avvalorata anche dal fatto che le altre tre versioni dell’“Urlo” realizzate da Edvard Munch (l’ultima è del 1910) ne sono prive.
I visitatori, del resto, non se ne sono quasi mai accorti. Il carattere è minuscolo, è fatto in matita e il dipinto è sempre esposto dietro a un vetro. Secondo quanto diceva nel 2008 la storia dell’arte Gerd Woll, nel suo catalogo ragionato delle opere di Munch, tutto faceva pensare all’atto di un teppista.
Poi le cose sono cambiate. In vista dell’apertura della nuova sede del museo nel 2022, la curatrice della sezione dell’area antichi maestri e nuovi quadri Mai Britt Guleng, ha deciso di ritornare sulla questione.
Come racconta al New York Times, «la scritta è stata esaminata con molta attenzione, lettera per lettera e parola per parola. E la grafia è identica a quella di Munch». Per cui, a meno che si tratti di un falsario abilissimo e molto accorto dal punto di vista filologico (improbabile) il vandalo del quadro di Munch sarebbe stato Munch stesso.
Non è chiaro perché. «È molto strano che ci si sia interessati così poco a questo dettaglio», ha aggiunto Guleg al giornale americano. «Non capita spesso che un pittore scriva sulle proprie opere». E soprattutto in quel modo: come già detto, la frase non sembra pensata per risaltare. Somiglia più a un promemoria o, visto il contenuto, a una annotazione ironica.
Secondo Guleng la causa potrebbe essere ricercata in una discussione che ebbe luogo dopo la mostra che si tenne alla galleria Blomqvist di Oslo nel 1895. Una sera, uno studente di medicina, Johan Scharffenberg, avrebbe detto che, guardando le opere di Munch, veniva il dubbio che il suo autore fosse pazzo o sano di mente. Lui propendeva più per la prima ipotesi: «Un pazzo».
Il pittore ne rimase addolorato, tanto da ricordare l’episodio – e parlarne nei suoi scritti – anche a decenni di distanza. Forse risale a quel momento la decisione di lasciarne una traccia, a imperitura memoria – e anche a imperituro enigma – sulla tela stessa.