Facce di bronzoIl galateo che insegna ai politici l’arte di cambiare idea con eleganza

Nel 1947 Willy Farnese (alias Giovanni Ansaldo) scrisse “Il vero signore”, manuale di comportamento per gentiluomini. Tra le varie situazioni analizzate c’è anche la conversione ideologica. Il libriccino ne individua due modalità: una «lenta» e una, più diffusa, «brusca»

Hulki Okan, da Unsplash

Per capire i voltafaccia improvvisi, le retromarce, i «no, mai» diventati in 24 ore «sì, convintamente» che hanno costellato gli ultimi giorni della politica italiana, la cosa migliore sarebbe andare a rileggere “Il vero signore”, galateo al maschile del 1947.

L’opera, ormai introvabile (chiedesi ristampa, visto che le poche citazioni si trovano qui) è a firma di Willy Farnese, nom de plume del più noto Giovanni Ansaldo, una delle figure più importanti del giornalismo italiano della prima metà del ’900.

L’uomo fu una penna raffinata, uno scafato conoscitore del mondo, dei vizi umani e del valore. Ma soprattutto, dal punto di vista politico, fu quasi tutto.

Nato a Genova da famiglia agiatissima (è quella che fondò la Ansaldo, per capirsi), fu grande ammiratore di Gaetano Salvemini, venne stregato da D’Annunzio, partecipò al Maggio radioso e andò spedito al fronte a combattere come ufficiale durante la Prima Guerra mondiale. Dopo essere tornato, scrisse su Il Lavoro e La rivoluzione liberale, frequentò Giuseppe Ungaretti (furono molto amici) e Piero Gobetti. Le sue posizioni erano chiare: sul Manifesto degli intellettuali antifascisti c’è anche la sua firma e si batté a duello contro giornalisti fascistissimi (come Telesio Interlandi). Finì al confino a Lipari.

A quel punto le cose cambiano: Ansaldo muta pensiero (o dice di farlo), chiede la grazia e con l’aiuto di Leo Longanesi, comincia ad avvicinarsi al fascismo, ormai imperante. Il suo lavoro di tessitura funziona bene: riprende a scrivere, va più volte in Libia e scala i gradi del regime fino ad arrivare ai vertici. Mussolini lo stima e mentre Galeazzo Ciano lo mette a capo del Telegrafo, oltre a tenerlo come consigliere personale. Dal 1940 al 1943 Ansaldo diventa la voce del regime più ascoltata alla radio.

Poi il fascismo crolla e tutto cambia di nuovo. Lascia il giornalismo, entra nell’esercito di Badoglio, combatte in Dalmazia e viene arrestato dai tedeschi, che lo rinchiudono in un campo di prigionia in Polonia (poi finì in Germania, per essere liberato dai canadesi). Sulla via del ritorno in Italia viene riconosciuto, fermato di nuovo e condannato dalle nuove autorità per la sua adesione al regime. L’amnistia del 1946 lo coglie mentre era prigioniero sull’isola di Procida. Ed è al termine di queste peripezie che, anziché scrivere un memoir, compone “Il vero signore”. Nelle sue intenzioni, la stessa cosa.

Qui, tra i vari consigli che riserva ai veri signori perché sappiano comportarsi da gentiluomini in ogni occasione – compreso il carcere e il patibolo, situazione che, se a noi appare remota, Ansaldo arrivò a sfiorare – c’è anche un prezioso vademecum su come cambiare idea in politica. Un’arte di cui, si è visto, si era dimostrato più che esperto e che in quegli anni era molto praticata.

Il vero signore, spiega nel capitolo “Disgrazie politiche”, ha di fronte a sé solo due possibilità: la «sterzata brusca» e la «sterzata lenta». Nel primo caso bisogna «negare con fronte di bronzo di avere mai seguito la parte caduta». Come si vede, oggi è molto seguita. C’è chi nel giro di poche ore ha abbandonato sovranismo, appelli al voto e studi di fattibilità sull’uscita dall’euro. O chi all’improvviso ha dimenticato gli strali contro le banche, i cori «uno vale uno» e i veti su politici impresentabili perché pregiudicati.

La «sterzata lenta» invece prevede tempi più lunghi. Prima ci si dice «disgustati dalla politica», poi si segue una quarantena ideologica di qualche mese e infine, freschi e ripuliti, si comincia a esprimere apprezzamento per la nuova parte. Il risultato è comunque lo stesso. Questo secondo potrebbe essere il caso di chi, oggi, sceglie di stare all’opposizione (a guardare come va).

Come il libretto insegna, insomma, essere voltagabbana con stile si può. Anzi: certe volte si deve. Perché i casi più recenti, nonostante qualche inevitabile concessione al grottesco, dimostrano che cambiare idea (o dire di farlo) può anche avere conseguenze positive. Forse non per loro, ma per il Paese di sicuro.