Veniamo finalmente al nucleo del nostro discorso: la nazionalizzazione del canale di Suez e il conflitto che ne seguí. Quanto detto finora ne rappresenta l’insostituibile premessa onde il lettore possa coglierne i complicati accadimenti con cognizione di causa.
La guerra combattuta nell’ottobre-novembre 1956 tra, da una parte, l’Egitto di Nasser e, dall’altra, l’alleanza tripartita Gran Bretagna-Francia-Israele è stata variamente denominata. La gran parte della storiografia la indica come “seconda guerra arabo-israeliana”, dopo la prima del 1948, ma la definizione è impropria, sia perché, da parte araba, fu combattuta dal solo Egitto, sia perché, oltre a Israele, vi parteciparono due potenze europee, Gran Bretagna e Francia, non direttamente coinvolte, invece, negli altri quattro conflitti (1948, 1967, 1973 e 1980) tra sionisti e stati arabi.
Nei manuali scolastici egiziani si parla francamente di “aggressione tripartita”: e di fatto lo fu. Certamente, la prima guerra arabo-israeliana del 1948 rimane un orizzonte di riferimento, ma le circostanze della guerra del 1956 non sono legate soltanto al conflitto per la Terra Santa. Anzi, questa motivazione è in realtà piuttosto marginale.
Tenuto presente quanto appena diffusamente spiegato circa l’ambizioso progetto di costruzione di una grande diga ad Assuan, nell’alta valle del Nilo, che avrebbe consentito la creazione di un grande bacino artificiale (quello che oggi si chiama Lago Nasser) le cui acque avrebbero garantito abbondante e stabile irrigazione ai campi egiziani, oltre a incalcolabile quantità di energia idroelettrica, e circa il fatto che l’Egitto era troppo povero per sobbarcarsi i costi di una simile impresa a fronte del rifiuto degli Usa e delle istituzioni monetarie internazionali di collaborare – alla luce di tutto ciò, si ascoltino le parole con cui, la sera del 26 luglio 1956 (non casualmente anniversario della deposizione di Faruq), in un discorso ad Alessandria, tra la folla esultante, Nasser annunciò che per troppo tempo le risorse del canale erano confluite nelle tasche degli occidentali, di non egiziani che avevano utilizzato il denaro egiziano per costruire e mantenere un’impresa che aveva beneficato molto poco l’Egitto.
Il canale e la sua Compagnia venivano perciò trasformati in una proprietà dello stato egiziano a cui dovevano andare tutti i proventi.
Disse Nasser:
Oggi siamo tutti qui per porre assolutamente fine a un passato sinistro e se ci rivolgiamo verso questo passato è unicamente allo scopo di distruggerlo. Non permetteremo che il canale di Suez sia uno stato nello stato. Oggi il canale di Suez è una società in territorio egiziano, le cui azioni sono possedute dall’Inghilterra per il 44%. La Compagnia però è una società anonima egiziana poiché il canale fu aperto grazie alle fatiche di 120.000 egiziani che trovarono la morte durante l’esecuzione dei lavori. L’Inghilterra ha goduto fino ad oggi dei benefici di queste azioni. Il reddito del canale nel 1955 è stato valutato a 35 milioni di lire egiziane cioè a 100 milioni di dollari: di tale somma ci è stato attribuito solo un milione di dollari. […] La povertà non è un disonore; lo è lo sfruttamento dei popoli. Ci riprendiamo dunque tutti i diritti perché questi fondi sono nostri e questo canale è proprietà dell’Egitto.
Ancor prima della proclamazione della nazionalizzazione del canale di Suez, i servizi segreti britannici, di concerto con diversi generali dell’esercito, pianificavano le immediate azioni militari da intraprendere.
La prima proposta, quella che in codice diventerà il Contingency Plan, fu avanzata direttamente dal primo ministro Anthony Eden con il sostegno della Royal Air Force e del generale Sir Gerald Walter Robert Templer, suo fidato consulente militare. Le proposte di Eden furono tradotte dai suoi consiglieri in un piano attuabile che possiamo riassumere come segue: le forze britanniche avrebbero rapidamente attaccato e conquistato Port Said, primariamente via mare, occupandone le infrastrutture e permettendo successivamente a truppe paracadutate di arrivare a rinforzo e (ri)occupare l’area del canale in forma stabile.
Tuttavia questa prima proposta non convinse appieno altri settori dell’esercito, in particolare il generale Sir Hugh Charles Stockwell, il maresciallo Dennis Barnett e l’ammiraglio Robin Durnford-Slater, i quali, rimpiazzando quasi completamente il Contingency Plan, proposero la più famosa operazione Musketeer (moschettiere).
Musketeer prevedeva l’impiego di forze di terra per combattere gli egiziani su un terreno paradossalmente a loro più favorevole: quello della fanteria.
I tre revisori consideravano ineludibile lo scontro delle forze di terra al fine di ottenere un risultato sostenibile nel lungo termine ed evitare qualsiasi possibile ritorno delle forze nasseriste. In buona sostanza, attraverso Musketeer non solo si voleva invadere il paese e riconquistare Suez, ma anche annichilire le forze di terra egiziane giungendo poi sino al Cairo. Stockwell, Barnett e Durnford-Slater ritenevano peraltro che il punto di ingresso in Egitto non dovesse essere Port Said quanto invece Alessandria, il cui porto presentava poche barriere morfologiche e anzi godeva di una posizione geografica ottima che ne faceva l’attracco ideale per un’invasione.
Del resto, proprio da Alessandria erano passate le armate napoleoniche nel 1798. Unico punto debole di Musketeer era la necessità di aumentare il contingente di fanteria, che nel Contingency Plan era previsto di sole 50.000 unità: serviva un alleato. Per questo motivo, venne prontamente informata la Francia che mise immediatamente a disposizione circa 30.000 soldati, inclusi paracadutisti e divisioni meccanizzate. In tal modo le forze sul campo sarebbero state, sommate insieme, numericamente pari a quelle egiziane.
Scandagliando gli archivi delle agenzie di intelligence europee durante il biennio 1955-1956, Scott Lucas e Alistair Morey ci informano tuttavia che né il Contingency Plan e nemmeno Musketeer (che come vedremo sarà poi ulteriormente rimpiazzato) erano stati i primi e unici piani militari elaborati da Londra e Parigi aventi come obiettivo la rimozione di Nasser.
da “Il canale delle spie. Storia della crisi di Suez”, di Massimo Campanini e Marco Di Donato, Salerno editrice, 2021, pagine 148, euro 14