Cari collezionisti e appassionati d’arte, sareste disposti a comprare all’asta un’immagine JPEG per 70 milioni di dollari? È quanto è successo qualche giorno fa da Christie’s. La più grande casa d’aste al mondo ha messo in vendita, per la prima volta in 255 anni, un’opera digitale di un tale che si fa chiamare Beeple, senza stima e con un prezzo di apertura di 100 dollari. È finita che, dopo una serie di rilanci al cardiopalma nell’ultima mezz’ora di contrattazioni, il martello del battitore si è fermato a 69,3 milioni di dollari, sbaragliando ogni record per un’opera d’arte digitale e facendo del misterioso Beeple – vero nome Mike Winkelmann, illustratore del Wisconsin – il terzo artista vivente più quotato al mondo. Giusto per azzardare un paragone, nel 2014 una delle celebri “Ninfee” di Monet fu venduta per 54 milioni di dollari, 15 in meno di Beeple.
L’opera in questione, dal titolo “Everydays: The First 5000 Days” è interamente digitale, nulla di diverso in effetti da un semplice file JPEG: un collage di 5.000 immagini create e postate dal 2007 al 2021, che incorpora scene surreali e disegni di politici come Donald Trump e Mao Tse Tung accanto a personaggi dei cartoni da Topolino ai Pokémon. Inutile dire che è scoppiato un caso.
Nei titoli dei giornali internazionali che hanno cavalcato la notizia si legge che “Everydays: The First 5000 Days” è un NFT e che la vendita segna l’apice della crescente “NFT mania”.
Di cosa si parla? Per semplificare potremmo dire che gli NFT, acronimo inglese per Non-Fungible Token, sono certificati di autenticità digitale. In pratica, l’opera viene associata univocamente a un “gettone”, un token appunto, che contiene una serie di informazioni digitali: l’ora della creazione dell’opera, per esempio, le dimensioni, la tiratura e lo storico di eventuali vendite; nonché la firma dell’artista e il legittimo proprietario. Grazie alla registrazione su blockchain – la tecnologia famosa per le cryptovalute – questo token diventa “non fungibile”, cioè non replicabile e non sostituibile, e dimostra inequivocabilmente come il possessore del gettone sia anche la persona che possiede l’opera digitale a esso collegata.
In altre parole, all’apparenza la cosiddetta crypto arte è fatta di contenuti digitali intangibili (come illustrazioni o realizzazioni tridimensionali), infinitamente replicabili come qualsiasi file e uguali a tanti altri. Ma è la blockchain a garantirne l’autenticità. E quindi a renderli unici.
È vero, l’arte digitale non è nata ieri e ha anzi una lunga storia come espressione artistica. Ma nel caso del collage di Beeple l’acquirente non ha comprato i diritti di utilizzo esclusivo o l’unica stampa esistente al mondo; sostanzialmente si è portato a casa la proprietà di un link URL che consente di scaricare il file JPEG. Chiunque può guardare l’immagine su Internet, scaricarla e stamparla a piacimento, ma soltanto l’acquirente sarà riconosciuto come il proprietario di quell’opera. Ed è questa la vera novità rispetto alla tradizione del mercato artistico.
È una vera frenesia quella che ha travolto il crypto-mondo negli ultimi mesi. E la crescita del giro d’affari degli NFT rispecchia questa esaltazione. Secondo il portale Crypto.art (che aggrega i più noti siti di rivendita di NFT, ma non tutti), nel mese di novembre 2020 le vendite di crypto arte avevano raggiunto il valore di circa 1,5 milioni di dollari. A gennaio avevano superato i 10 milioni e a marzo hanno già sfondato quota 120 milioni. Mentre secondo un rapporto presentato da NonFungible.com e da L’Atelier (una società di ricerca di BNP Paribas), nel 2018 il mercato complessivo degli NFT era di 41 milioni di dollari e nel 2020 è salito a 338 milioni di dollari. Con una peculiarità che riguarda il mezzo di pagamento: se alcune piattaforme di vendita come Nifty Gateway consentono l’uso della carta di credito, in genere le opere si pagano in Ether, la cryptovaluta che alimenta la blockchain di Ethereum. Tanto che persino Christie’s ha accettato per la prima volta puntate in Ether.
Nemmeno l’Italia è rimasta immune alla crypto arte, al punto che l’artista digitale DotPigeon, 33enne milanese che si presenta con il volto coperto da un passamontagna, ha venduto sul portale Nifty Gateway tutte le sue opere NFT per oltre un milione di euro (prezzo medio 1.500 euro).
E questa frenesia da NFT non riguarda soltanto l’arte, ma in generale tutti gli oggetti digitali potenzialmente collezionabili. Pensate che il 19 febbraio sono stati spesi 545mila dollari per una gif di dieci anni fa, il Nyan Cat, quel famoso gatto con il corpo di biscotto che fluttua lasciandosi dietro una scia di pixel arcobaleno. La notizia ha fatto scalpore, del tema si è occupato anche il New York Times, fino a quando pochi giorni dopo non è stato venduto all’asta il video di una schiacciata di LeBron James per 208mila dollari. Tutti NFT. Non stupisce che le case d’asta abbiano subito fiutato l’affare. E l’idea è piaciuta persino a Jack Dorsey, fondatore e ceo di Twitter, che sta per mettere a segno la vendita del suo primissimo tweet per 2,5 milioni di dollari.
È pur vero che, come l’arte digitale, nemmeno gli NFT sono nati ieri. E, come spesso accade, in principio ci furono dei gattini. La prima applicazione di successo degli NFT fu infatti nel 2017 il gioco CryptoKitties, che permetteva di comprare, allevare e vendere gattini digitali, per cifre talvolta anche superiori a 150mila dollari. E come suggerisce il nome del gioco, la compravendita avveniva attraverso cryptovalute.
C’è da chiedersi chi comprerebbe un tweet che chiunque può condividere o una clip che si può guardare per un numero infinito di volte su YouTube. Ebbene gli NFT sono diventati un polo di attrazione per una nuova classe di potenziali filantropi e collezionisti, ossia quegli investitori che hanno creduto fin da subito nel successo del Bitcoin e delle altre cryptovalute e che, dopo il boom degli ultimi anni, ora cercano soluzioni per impiegare i loro guadagni milionari.
Oltre ai crypto-milionari ci sono celebrities come Justin Bieber, ma anche un pubblico più giovane e pronto a cogliere i meccanismi e le potenzialità dei contenuti digitali. Basti pensare che l’opera di Beeple ha visto volare le quotazioni grazie a una trentina di agguerriti collezionisti per il 60 per cento millennials, provenienti da 11 Paesi diversi e al 91 per cento nuovi in casa Christie’s. Anche se poi ad aggiudicarsi il pezzo è stato un individuo noto solo con lo pseudonimo Metakovan, crypto-investitore e proprietario di Metapurse, che si ritiene essere il più grande fondo di NFT al mondo (chiamiamola pure manipolazione di mercato). Questo per evidenziare il giro di interessi che gravita intorno all’universo crypto.
Che questa mania per gli NFT abbia una qualche parentela con la pandemia sembra quasi scontato: milioni di persone in tutto il mondo, collezionisti compresi, hanno trascorso gran parte dell’ultimo anno davanti ai propri computer; le gallerie e i musei sono rimasti chiusi, le fiere annullate, e tutto ciò che è digitale ha suscitato un interesse senza precedenti. Stando all’ultimo Art Basel e UBS Global Art Market Report, le vendite online di opere d’arte sono raddoppiate nel corso del 2020, raggiungendo un quarto del mercato complessivo. A ben vedere il boom degli NFT e dell’arte digitale, dopo la stasi forzata del mondo dell’arte contemporanea, va di pari passo con l’impennata del valore delle principali cryptovalute, tra cui Bitcoin e Ether, salito in pochi mesi a livelli record.
Come ricorda bene chiunque abbia comprato Bitcoin verso la fine del 2017 per poi vederli crollare pochi giorni dopo, in contesti ad alta volatilità succede spesso che a grandi salite seguano tracolli altrettanto significativi. E la frenesia per gli NFT, le cifre da capogiro e la crescita esponenziale del giro d’affari sono chiari segnali della classica isteria da bolla speculativa. Una bolla che, come per il recente caso GameStop, potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
C’è però anche chi sostiene che questo sia solo l’inizio della fortuna degli NFT. Del resto, i Bitcoin valgono oggi tre volte tanto quello che valevano alla fine del 2017. Forse è proprio l’intangibilità del fenomeno a rendere gli NFT così interessanti. E comunque, bolla o non bolla, almeno un merito non si può non riconoscerlo: l’abilità di trasformare un oggetto digitale per definizione infinitamente replicabile – sia esso un’opera d’arte, un video o un tweet – in qualcosa di unico. O quantomeno autentico.