Ricadute planetarieIl preoccupante indebolimento della Corrente del Golfo

Secondo uno studio pubblicato su Nature il complesso meccanismo che trasporta acqua calda dall’America centrale al Nord Europa attraverso l’oceano Atlantico si è infievolito come non era mai successo negli ultimi mille anni

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La circolazione nell’Oceano Atlantico, alla base della Corrente del Golfo, ovvero del sistema meteorologico che garantisce un clima caldo e mite in Europa, si sta indebolendo sempre di più. Come sua probabile causa c’è il cambiamento climatico.

Lo suggerisce uno studio, pubblicato su Nature Geoscience, focalizzato sull’Atlantic meridional overturning circulation (Amoc), anche noto come Nastro Trasportatore del Nord Atlantico, uno dei più grandi sistemi di circolazione oceanica del mondo che ridistribuisce il calore sul pianeta e che ha dunque un grande impatto sul clima.

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«L’Amoc trasporta l’acqua calda di superficie dall’equatore verso nord e invia l’acqua fredda e a bassa salinità verso sud – ha spiegato al Guardian l’iniziatore dello studio Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research – Muove 20 milioni di metri cubi d’acqua al secondo, quasi cento volte il flusso dell’Amazzonia».

Il team di studiosi, provenienti da Maynooth University, Potsdam Institute for Climate Impact Research e University College London, ha analizzato i dati raccolti nel corso di precedenti studi per ricostruire l’intensità dell’Amoc negli ultimi 1600 anni.

Amoc trasporta l’acqua calda superficiale dal Golfo del Messico verso il nord dell’oceano Atlantico, dove si raffredda e diventa più salata per poi inabissarsi a nord dell’Islanda e nel farlo richiama altra acqua, alimentando continuamente il circuito. Questo flusso è accompagnato da venti che contribuiscono a garantire un clima mite e umido nell’Europa occidentale.

Il riscaldamento globale disturba questo meccanismo perché l’aumento delle precipitazioni e il maggiore scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia riversano acqua fredda sulla superficie oceanica riducendone la salinità e la densità, inibendone l’affondamento e indebolendo così il flusso dell’Amoc.

«I risultati dello studio – ha spiegato Rahmstorf – suggeriscono che [l’Amoc] è stato relativamente stabile fino al termine del XIX secolo. Con la fine della piccola era glaciale intorno al 1850, le correnti oceaniche iniziarono a diminuire, con un secondo declino più drastico successivo dalla metà del XX secolo».

Una situazione già denunciata nel rapporto speciale del 2019 sugli oceani del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc), dove veniva segnalato un indebolimento dell’Amoc rispetto al 1850-1900.

Secondo gli scienziati, un suo ulteriore peggioramento potrebbe scatenare un numero maggiore di tempeste sul Regno Unito, ma anche inverni più intensi e un aumento delle ondate di calore e di siccità in tutta Europa.

«Tra 20 o 30 anni – ha sottolineato Rahmstorf – è probabile che [l’Amoc] si indebolisca ulteriormente e questo influenzerà inevitabilmente il nostro tempo, favorendo anche l’innalzamento del livello del mare sulla costa orientale degli Stati Uniti. Se continuiamo a guidare il riscaldamento globale, il sistema si indebolirà ulteriormente dal 34 al 45% entro il 2100, secondo l’ultima generazione di modelli climatici. Questo potrebbe portarci pericolosamente vicino al punto di non ritorno in cui il flusso diventa instabile».

Il meteorologo Mario Giuliacci è intervenuto sul tema lo scorso 14 marzo ipotizzando i possibili effetti sull’Italia.

Riguardo la probabilità dell’attesa di un brusco cambiamento del clima invernale, con gelo estremo e frequenti violente bufere di neve anche nella Penisola, lo scienziato ha citato lo studio “Deep-water circulation changes lead North Atlantic climate during deglaciation”, pubblicato nel 2019 su Nature Communications, sottolineando che l’indebolimento del Nastro Trasportatore del Nord Atlantico precede di circa 400 anni il suo blocco totale e il conseguente brusco raffreddamento della regione.

«Poiché il fenomeno di indebolimento pare in atto da oramai quasi 200 anni – ha specificato Giuliacci -, ciò significherebbe che comunque ci rimarrebbero ancora più o meno due secoli prima di un brusco e gelido cambiamento dei nostri inverni».

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