L’era Conte può essere vista come un momento storico in cui i rapporti tra Italia e Germania hanno sperimentato una serie di tensioni. Il giudizio generale è però che in questa fase la Germania rappresenta per l’Italia un alleato tanto prezioso quanto silenzioso: il sostegno tedesco è infatti stato confermato e rafforzato anche di fronte allo stress test rappresentato dal governo gialloverde, che dall’esterno poteva essere visto come l’espressione di forze populiste e di un euroscetticismo particolarmente virulento.
Certamente dietro alla linea di Berlino vi sono considerazioni che mirano alla tutela del proprio interesse nazionale, oltre che a quello dell’Unione Europea, ma ciò non toglie che l’atteggiamento della Germania, congiuntamente a quello adottato dalla Commissione europea e dalla Bce, ha evitato che l’Italia diventasse davvero un caso per l’Europa e che le scelte compiute dal paese venissero sottoposte al giudizio meno comprensivo dei mercati internazionali, con potenziali scosse destabilizzanti sui titoli.
Certo, questi ultimi due anni e mezzo hanno anche confermato ed enfatizzato alcuni aspetti patologici di questo rapporto. In particolare, il dialogo e la creazione di canali di cooperazione sono stati possibili, ancor più che in passato, attraverso una centralizzazione dei rapporti nelle mani del governo e non attraverso un riconoscimento più ampio delle forze politiche e dei vari portatori di interesse nei confronti dell’opportunità di tale dialogo e tale cooperazione.
Addirittura, il fatto che l’uscita dalla fase di tensione sia avvenuta grazie all’iniziativa quasi personale del presidente del Consiglio invita a riflettere sulla già menzionata tendenza delle istituzioni a mantenere i rapporti con la Germania all’interno di un perimetro istituzionale forzoso e su quanto ci sia da fare per rendere visibili gli interessi comuni dei due paesi. […]
Uno degli errori principali che molti amanti della Germania hanno compiuto, quasi sempre in buona fede, è stato quello di pensare che italiani e tedeschi siano uguali. È forse utile comprendere meglio che non solo italiani e tedeschi sono diversi, ma anche che vi sono tra loro delle divergenze strutturali. Ora, non è ben chiaro se il prossimo futuro vedrà un’accentuazione o una diminuzione di queste divergenze. Quello che però si può fare è spingere il rapporto italotedesco verso una maggiore «maturità».
È forse giunto il momento di smettere di giocare su parallelismi e sintonie del dopoguerra, che pur nella loro importanza non colgono i risvolti, negativi ma anche positivi, del presente. Se si continua a utilizzare questi paradigmi si finisce per rimanere delusi ogni volta che questa sintonia non emerge o non risulta determinante. Ma cosa ancor peggiore, si finisce per non capire quali sono le ragioni che spingono oggi tedeschi e italiani a convergere. Da qui la necessità di lavorare sia per ridefinire il nostro atteggiamento sia per comprendere meglio il nostro interlocutore.
(c) 2021 Bollati Boringhieri editore, Torino
Questo articolo è un estratto rivisto del volume “Italia e Germania – L’intesa necessaria (per l’Europa)“, Bollati Boringhieri, 128 p., €13.
Federico Niglia è storico, professore all’Università per stranieri di Perugia
Beda Romano è giornalista, corrispondente del Sole/24 Ore a Bruxelles
Flavio Valeri è banchiere, ex amministratore delegato di Deutsche Bank Italia
I temi trattati dal libro Italia e Germania. L’intesa necessaria (per l’Europa), saranno al centro del dibattito che si terrà mercoledì 31 marzo, alle ore 18, in diretta streaming su www. genioeimpresa.it con gli autori Federico Niglia, Beda Romano e Flavio Valeri (Bollati Boringhieri). Intervengono Antonio Calabrò e Ferruccio de Bortoli.