Il trucco c’èMade You Look mette in scena l’irresistibile tentazione di credere ai truffatori

Il documentario di Netflix racconta il celebre caso della galleria Knoedler, che nel 2011 ha sconvolto il mondo dell’arte americana. Quadri falsi (realizzate alla perfezione) venduti per oltre 80 milioni di dollari, una esperta che compromette tutta la sua storia, e una raffinata indagine psicologica nella mente di chi viene ingannato

Frame da “Made You Look: una storia vera di capolavori falsi”, Netflix

È possibile essere un esperto d’arte e tenere appeso in casa un falso di Jackson Pollock? Soprattutto se la firma sul quadro «è scritta sbagliata»? La domanda del giornalista M. H. Miller, arts editor del New York Times Style Magazine, arriva verso la fine del documentario “Made You Look: una storia vera di capolavori falsi”, girato dal regista canadese Berry Avrich (“Blurred Lines: Inside the Art World”) e che racconta la storia della più grande truffa mai avvenuta nel mondo dell’arte americana, quella dei falsi della Knoedler Gallery (ora chiusa).

La vicenda è nota: nel 1994 la signora Glafira Rosales fa il suo ingresso negli uffici della galleria e offre all’allora presidente, Ann Freedman, la vendita di alcune opere sconosciute di Jackson Pollock, Robert Motherwell e Mark Rothko.

In realtà si tratta di falsi, ma realizzati alla perfezione da uno sconosciuto artista cinese, Pei-Shen Quan, nel suo garage del Queens. Ann Freedman – così sostiene – ci casca. Rimane abbagliata da quello che sembrava a tutti gli effetti «una scoperta», in più a prezzo bassissimo (poche centinaia di migliaia di dollari). Li acquista e li rivende per milioni di dollari.

La truffa prosegue per quasi 15 anni. Viene smascherata solonel 2011, quando i buchi delle versioni fornite della signora Rosales – si è sempre dichiarata l’intermediario di una ricca famiglia messicana, in realtà inesistente – si allargano e le analisi dei pigmenti confermano i sospetti.

Il castello di carte, che fino ad allora aveva fruttato alla galleria Knoedler ben 80 milioni di dollari, crolla, trascinando con se molti elementi del sistema dell’arte americano e sollevando nel polverone sospetti e recriminazioni.

Tra queste, c’è proprio quello di M. H. Miller: come poteva Ann Freedman considerare autentico un dipinto con la firma «Pollok»? “Made You Look” si concentra proprio su questo: la donna era consapevole – e quindi colpevole – o no?

Lei stessa ribadisce più volte, nel corso del documentario, la sua innocenza. Dichiara di aver creduto fino alla fine all’autenticità delle opere perché le storie di Rosales erano, be’, credibili (le aveva inventate ad arte il complice ed ex fidanzato Carlos Bergantiños Diaz, già condannato per traffico di opere d’arte rubate). Soprattutto, il parere dei critici era stato favorevole.

Questo è forse l’aspetto più grave: nel caso del falso quadro di Rothko, studiosi e autori di cataloghi ragionati avevano dichiarato la sua autenticità, insieme a espressioni di meraviglia e stupore. Perfino il figlio dell’artista, intervenuto al processo, aveva dovuto riconoscere che l’opera, pur non vera, era «bella».

Parola esatta. Tutta la situazione era troppo bella per essere vera. Ma forse anche troppo bella per non cadere in tentazione. Per Ann Freedman significava la scoperta di nuove opere di immenso valore, mai viste prima. La possibilità di venderle. E il conseguente guadagno, gigantesco, in termini di prestigio (e non solo di denaro). È stato tutto questo a chiuderle gli occhi?

Il documentario lo lascia pensare. Con il pretesto di raccontare un caso di truffa, conduce uno scavo psicologico nella mente della donna, nei meccanismi della manipolazione e dell’auto-illusione. Poteva cogliere i segnali di allarme, non lo ha fatto. Ha scelto di credere al miracolo, anche scontrandosi (dissonanza cognitiva) con i dati della realtà. Più che malafede, una buona fede mal riposta.

O no? Nelle sottotrame che si snodano nella vicenda, degna di un film (su cui si sta già lavorando), emerge quella del proprietario della galleria, Michael Hammer, ricco e indebitato che usava la Knoedler «come il suo bancomat» e che, quando la truffa viene scoperta, non si faceva problemi a cacciare Freedman. Se poi si guardano i conti, si vede che la galleria è rimasta in piedi per almeno 10 anni solo grazie alle vendite dei quadri falsi.

Emerge anche quella della vendetta portata avanti da Domenico De Sole, uomo d’affari di origine italiana, Ceo del gruppo Gucci, vicino a Sotheby’s di cui diventerà presidente nel 2015, e soprattutto, uno dei tanti truffati. A differenza degli altri non si accontenta di un risarcimento economico ma trascina la galleria e la donna in tribunale. Per lui si tratta di una questione di reputazione. Ed è convinto che Ann sapesse tutto.

Emerge anche la vicenda dell’unica colpevole riconosciuta, cioè la signora Rosales. Messa alle strette dall’FBI ha dovuto confessare tutto ma – cosa che viene sottolineata – non ha coinvolto altre persone nella vicenda, nonostante ne potesse ricavare dei vantaggi.

E c’è anche quella dei suoi due complici, che al momento del dunque si sono dati alla macchia. Il truffatore spagnolo (cerca perfino di vendere «l’armonica di Bob Dylan» al documentarista che lo raggiunge) e il genio cinese, compagno di classe di Ai Weiwei ed erede dell’antica tradizione orientale che privilegia l’abilità del copiare rispetto all’originalità.

Entrambi colpevoli ed entrambi impuniti. L’ennesimo risvolto di una vicenda incredibile, in cui non si capisce mai a chi si debba credere e di chi si debba diffidare.

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