Per essere un romanzo d’esordio, quello di Taffy Brodesser-Akner, firma del New York Times Magazine, sfiora il capolavoro. Anzi, lo è proprio. “Fleishman a pezzi”, pubblicato in Italia da Einaudi Stile Libero, è una storia di matrimoni che finiscono, di vita che passa e soprattutto di relazioni umane.
Toby Fleishman, epatolgo newyorchese di 41 anni, sta divorziando. La quasi ex-moglie Rachel è scomparsa e tocca a lui prendersi cura dei due figli, Hannah e Solly. Alterna ore in ospedale a incontri sessuali vorticosi ottenuti grazie a una serie di app, mentre ripercorre i momenti migliori e peggiori del suo matrimonio ormai a pezzi e cerca di trovare un senso nel mondo.
L’inizio è esuberante: «Toby Fleishman si svegliò, una mattina, nella città in cui aveva trascorso tutta la sua vita da adulto e che ora brulicava all’improvviso, inopinatamente, di donne che lo desideravano». Le descrizioni sono generose, dettagliate e divertite. Partono con fuoco e incastonano tutto il romanzo nella scia di Philip Roth e di Jonathan Franzen (e non si esagera). Il seguito è anche meglio.
A narrare la sua storia è l’amica di gioventù Libby, conosciuta in Israele, che ha condiviso con Toby e Seth, altro amico fascinoso e fatuo, un momento della vita in cui le possibilità erano aperte e nessuno sapeva nulla: «Non sapevamo ancora che l’insicurezza aveva le sue gradazioni: pensavamo di essere tutti insicuri al massimo e, anche se quelle insicurezze assumevano forme diverse, ne soffrivamo tutti. In ogni caso, confidavamo di poterle superare, un giorno. Non sapevamo che non c’erano garanzie di un futuro felice, che non era un nostro diritto».
Poi le strade si sono divise, tutti (non Seth, scapolo impenitente) si sono sposati, hanno fatto famiglia e hanno cominciato a scoprire quanto tutto fosse difficile.
Libby (alter ego dell’autrice?) si introduce con garbo. Per diverse centinaia di pagine si parla di “lui”, poi di “noi” e solo verso la fine, quando emerge che qualcosa di vero e sofferente da dire c’è, si apre alla prima persona.
Intanto si seguono le peripezie di Fleishman: i figli da mandare al campo estivo, il caso di una paziente malata grave, le avance continue di ex amiche della ex moglie (o se le immagina lui?), i rapporti sessuali parossistici. E Rachel che non si trova, che non risponde ai messaggi, che forse forse ha un altro.
Sono scanditi gli alti e i bassi della sua autostima insieme a riflessioni sul mondo, sui rapporti umani e sul matrimonio. «Quando un matrimonio finisce significa che la sua sorte era segnata sin dall’inizio? E il loro matrimonio era finito quando i problemi insolubili avevano cominciato a manifestarsi o solo quando loro due avevano concordato sull’insolubilità dei problemi, o, ancora, quando gli altri ne avevano infine avuto notizia?». Domande di altri che si fingono interessati: «Un giorno non sarebbe più stato divorziato da poco, ma non avrebbe mai dimenticato quelle domande, il modo in cui le persone fingevano di preoccuparsi di lui, mentre in realtà si interrogavano su sé stesse».
Il titolo originale è “Fleishman Is In Trouble”, in Italia si è scelto “a pezzi”, riecheggiando il celebre “Harry a pezzi” di Woody Allen. Anche Fleishman è ebreo, basso, buffo, ossessionato dal sesso e, soprattutto, a pezzi. Si muove con rabbia e risentimento, espulso da una New York di alto livello che finge di disprezzare (o che disprezza davvero, ma che non rifiuta), quella che gli era stata fornita dall’ambizione e dal successo di Rachel, agente letterario affermata e arrampicatrice sociale imbattibile. Tanto che, pensa lui, finisce per trascurare i figli, trascurare lui e trasformarsi in un mostro.
Ma non lo dice subito. All’inizio «sentiva una strana pulsione diplomatica, in quella fase. La scuola era un campo di battaglia, e per lui sarebbe stato facile, ne era certo, convincere la gente a schierarsi dalla sua parte. Sapeva di poter alludere alla follia di Rachel, alla sua rabbia, alle sue scenate, alla sua indisponibilità a immergersi nella vita dei bambini – avrebbe potuto dire cose tipo: «Immagino tu abbia notato che non si è mai presentata a una sola serata dedicata alle scienze e alla tecnologia» –, ma non gli andava. Non voleva mettere Rachel in cattiva luce, per una vecchia pulsione protettiva di cui non riusciva a liberarsi». Avrà almeno due terzi del libro a disposizione per farlo. È la parte di Fleishman, o per citare Richler, la versione di Fleishman. Il lettore stia attento, l’ultimo capitolo sarà invece la Versione di Rachel.
E Libby? La sua figura, come detto, emerge con calma. Scrittrice e giornalista, esperta di interviste e ritratti per un magazine per uomini, comincia a sentirsi sempre meno a suo agio in una redazione (in un mondo?) maschile, in cui poteva essere seducente o puntigliosa, ma sarebbe sempre rimasta «la donna», convinta che «per farsi ascoltare, una donna può solo raccontare la propria storia attraverso quella di un uomo. Deve insinuarsi in un uomo a mo’ di cavallo di Troia, e a quel punto la gente le dà retta. E così avevo raccontato storie commoventi sulla loro vita, ricamando sui particolari che mi avevano fornito e aggiungendo quel che già sapevo per il fatto di essere umana».
L’esperienza insomma può essere universale, ma il punto di vista è maschile. In ogni caso, da cavallo di Troia, si insinua anche nella storia tra Toby e Rachel, superando i bastioni della privacy (distrutta dalla disperazione di ogni essere umano che si senta solo). Il tutto, tra momenti di ironia e di tristezza, finisce per rivelarsi una celebrazione dell’umanità, della sofferenza e dell’incomprensione.
Anche nel matrimonio, i coniugi smettono di vedere l’altro, lo sostituiscono con un’altra immagine, non cercano più di capire. È la condanna che coglie i Fleishman e, in momenti diversi, tutte le coppie del mondo.
Quello di Taffy Brodesser-Akner, per mole e portata, è nella scia del “Grande Romanzo Americano” ed è qui per restare. Non per niente ne sarà tratta una serie di nove puntate, adattata della stessa autrice, benedetta dalla ABC Signature e programmata per l’emittente americana FX.