Per alcuni è un arrivederci, per altre un addio. Ma quello che è certo è che sempre più gallerie italiane stanno lasciando Londra. Colpa dei costi, troppo alti. Colpa della trafila alla dogana, colpa delle lungaggini burocratiche e delle tasse in più da pagare per essere, oramai, un Paese extra-Ue. Colpa, anche, dell’assenza di clienti. A parte le strade di Soho, dove i giovani escono a bere dopo mesi di chiusure e restrizioni, la città non è ancora tornata ai ritmi di prima e Mayfair, il quartiere dell’arte, sembra una ghost town.
Come ricorda questo articolo del Financial Times, l’ultimo a lasciare la barca è stato Matteo Lampertico, a capo di ML Fine Art. Prima di lui la galleria fiorentina Tornabuoni Arte e prima ancora, quasi un anno fa, anche la Galleria Cortesi.
Per quest’ultima, fanno sapere, la decisione di lasciare la capitale londinese era già discussa da tempo. «Ma la Brexit e poi la pandemia ci hanno dato la spinta decisiva», spiegano a Linkiesta. Gli ultimi eventi «sono stati la conferma» di una sensazione, che il mercato, adesso, non è più promettente. In altre parole, non vale la pena.
È quello che sostiene lo stesso Lampertico. «L’uscita dell’Inghilterra dall’Europa ha comportato notevoli costi aggiuntivi per una galleria europea e, in particolare, per una italiana», spiega a Linkiesta. In primo luogo «costi connessi alle pratiche di esportazione», poi «quelli connessi alle pratiche di esportazione». A questo si aggiunge un incremento del «10% di tasse di importazione dall’Inghilterra all’Italia e del 5% per la via opposta». Per chi deve movimentare beni e non servizi si è trattato di un aggravio importante. Per le spese, appunto, ma anche per i tempi, che sono lunghissimi.
Certo, lo stesso problema si riscontra anche con la Svizzera. Ma la differenza di mercato con Londra è enorme. Nel primo caso si tratta di invii singoli, destinati a un cliente specifico. Nel secondo è tutto un ambiente, vivace e unico, che impone standard e numeri diversi.
Adesso, poi non c’è più nemmeno quello. «Data la situazione attuale», continua Lampertico, «risulta difficile, se non impossibile, viaggiare in modo agevole». La clientela londinese non era composta da abitanti della città, ma da «clienti europei che, fino a prima del Covid, erano soliti recarsi a Londra per lavoro o anche per piacere». Di quelli che ci vivevano, tanti «hanno lasciato la città dopo la Brexit».
L’Italia potrebbe approfittare di questa fuga? No. «Le case d’asta stanno spostando la loro attività europea su Parigi. Francia e Germania hanno abbassato l’aliquota di importazione al 5% (l’Italia no), e anche questo ha tolto competitività all’Inghilterra, che non è più un canale privilegiato per importare opere all’interno dell’Europa».
Insomma, è un addio. O quasi: «Può darsi che gli inglesi, che sono molto pragmatici, creino agevolazioni fiscali in futuro per non perdere la leadership conquistata nell’arte e anche nella finanza, ma al momento è troppo presto per poterlo dire». Al momento si aspetta.
È quello che ha deciso di fare la fiorentina Tornabuoni Art. Come spiega a Linkiesta Ursula Casamonti, la proprietaria, «sono convinta che Londra ripartirà, anche prima delle altre città europee». Nel frattempo però anche loro hanno chiuso. «Nonostante il vuoto provocato dalla pandemia, gli affitti non si sono adeguati al mercato. I landlord sono rimasti sul piedistallo, pochissimi accennano da qualche tempo a fare negoziazioni. In una situazione del genere, senza aiuti né acquirenti la cosa migliore è stata chiudere». Si può fare con una certa semplicità.
«Le inaugurazioni a Mayfair sono deserte. La città è ancora irriconoscibile». È una ghost town post-pandemica in cui non ha senso rimanere. Per non parlare degli effetti della Brexit. «I costi doganali sono aumentati a dismisura, la burocrazia si è complicata. E se è possibile sostenere delle spese maggiori, la lentezza organizzativa diventa un problema. Anche adesso andare a Londra è complicato, ci vuole quasi mezza giornata per preparare il viaggio. E c’è da fare il tampone».
A parte qualche lieve differenza, quello dei galleristi italiani in fuga è un coro. La combinazione di Brexit (come era previsto) e pandemia ha messo ko il mondo dell’arte inglese. Ma la sensazione di tutti, di chi va e chi resta («molte gallerie stanno cambiando quartiere, alcune approfittano di spazi temporanei», contina Casamonti) è che un mercato così vivace come quello è difficile che scompaia all’improvviso. Forse risorgerà. E a quel punto loro, forse non tutti ma quasi, ritorneranno.