La sessualità maschile nel suo stereotipo è vista come grossolana, meccanica, cieca, indistinta, che si propone di raggiungere a ogni costo, con partner intercambiabili, il suo soddisfacimento. Questa visione semplificata e caricaturale ha sì un qualche fondamento, ma manca o travisa molti aspetti della natura maschile, prima fra tutte quella di essere diversificata.
Infatti, proprio all’opposto di tale stereotipo, ci si imbatte spesso, in un buon numero di uomini privi di uno spiccato appetito erotico, alcuni poi sembra non ne nutrano alcuno, e se non fosse per un’atavica spinta a riprodursi ignorerebbero tranquillamente l’altro sesso, o proprio il sesso in generale.
Uomini di questo tipo dimostrano uno slancio vitale scarso, e guardano pure con un certo fastidio alle smanie altrui. Altri ancora imitano l’atteggiamento famelico e predatorio, considerato ortodosso, per puro spirito gregario, come una sorta di precetto, in definitiva parodiandolo; seguono cioè un modello che si immagina prefissato; preferiscono di gran lunga lo stato di quiete a quello di agitazione e di conseguenza di azione, che tale modello prevede. Solo una parte invece corrisponde al cliché di cui sopra, se non che bisogna scandagliare meglio la natura di tale bramosia sessuale che si suppone indistinta e insaziabile.
In verità, se davvero stessero così le cose, la casualità e l’indistinzione dell’oggetto su cui si indirizza (una donna vale l’altra, o, nel caso dell’omosessualità maschile, l’aspetto seriale e di batteria che avevano i rapporti prima dell’avvento dell’Aids) sta a indicare, più che l’intercambiabilità della persona che è fatta oggetto del desiderio, una sorta di anonimato del desiderio stesso.
A essere intercambiabile e anonimo è insomma il soggetto piuttosto che l’oggetto del desiderio. La pulsione agisce il soggetto maschile riducendolo a un puro esecutore, a un tramite funzionale tra sé e l’oggetto. L’uomo diviene perciò una sorta di “servo della gleba” delle sue stesse pulsioni e occorre augurarsi che prima o poi incontri qualcuno di non assoggettabile alle sue voglie; incontri, cioè, un Altro da sé e lo riconosca percependolo nella sua unicità, arrivando così a percepire anche la propria, come succede non appena si constata quella altrui.
Bisognerebbe infine indagare in quanti casi la bramosia sessuale esibita così sfacciatamente, in realtà, ne camuffi o sostituisca un’altra meno confessabile e canonica, se cioè a interessare ed eccitare un uomo siano altri aspetti che finiscono convogliati in quello puramente sessuale. Il sesso diventa allora una moneta di scambio in cui si convertono altri bisogni, molti dei quali infantili o che sarebbero considerati femminei secondo le vecchie distinzioni di genere: dunque, il gioco, l’intimità, la rivalsa, il riconoscimento, il nascondimento, i sentimentalismi vari, l’isteria.
Ecco, dunque, che a rientrare davvero nel cliché da cui siamo partiti è veramente un’infima minoranza di uomini, la quale, però, finisce per dare un’immagine del desiderio maschile completamente falsata.
Il desiderio maschile è tutt’altra cosa, ed è davvero reale quando si struttura all’interno del soggetto come desiderio di sapere, di scoprire (e da qui l’emozione di “scoprire” nel senso fisico di spogliare, di denudare e denudarsi). Desiderabile più di ogni cosa è l’ignoto e il nascosto, o meglio, ciò che si vede solo in parte nel corpo altrui e si immagina. L’ignoranza e la curiosità sono alla base del desiderio.
Il corpo femminile, per quanto sovraesposto in mille immagini virtuali, agli occhi di chi desidera resta misterioso, le sue forme si intuiscono come diverse, più ampie di quelle maschili, esorbitanti e, contrariamente alla teoria che il sesso femminile si riduca e consista in una mancanza o un’assenza (Freud ha affermato infatti che proprio in questa visione maschile del corpo femminile sta la radice del senso di superiorità dell’uomo nei confronti della donna e della discriminazione che ne consegue), esso colpisce la fantasia maschile proprio nella sua differenza e cioè per l’immagine di esuberanza, di generosa sovrabbondanza, che eccede le linee caste e atletiche dell’ideale corpo maschile, asciutto, funzionale, tanto amato dai Greci.
Ciò che nell’anatomia del corpo maschile rientra e s’incide nelle linee scabre della muscolatura, del rilievo di tendini e vene, in quello femminile sporge e cresce con un senso di gratuità, di puro lusso ed eccesso. Il corpo femminile è tanto più desiderabile quanto più appare privo di scopo, disinteressato, non necessario: il seno, ad esempio, che servirebbe primariamente ad allattare, con la sua forma eccede di gran lunga la sua funzione, anzi quasi la contraddice. Diviene capace di bellezza e oggetto di pura ammirazione.
Una volta penetrato nell’intimità femminile, il desiderio di scoperta invece che essere soddisfatto si moltiplica, poiché la vera scoperta che si compie è quella che esistono infinite declinazioni della femminilità. Dunque, l’elemento che si può credere acquisito alla conoscenza in realtà non lo è mai.
Come ci racconta Giacomo Casanova in quel capolavoro del Settecento che sono le Memorie, da leggere e rileggere, se si vuole davvero apprendere qualcosa sul desiderio maschile.
Ogni donna, per Giacomo, è come la prima donna conosciuta in assoluto, nulla si replica mai identico, e quella che potrebbe credersi la pura ripetizione di un gesto o di un sentimento, con tante donne una appresso all’altra, si rivela come un’inesauribile variazione, che porta sempre fuori, altrove, nella novità assoluta. «Bocca baciata non perde ventura/ anzi rinnova, come fa la luna». Il desiderio perciò, in Casanova, si rinnova e si moltiplica, proprio quando viene soddisfatto (per forza di cose, temporaneamente).
Sempre altro c’è da conoscere, sempre una nuova mente c’è da penetrare attraverso un nuovo corpo, anche quando si tratta sempre dello stesso corpo e della stessa mente, in una medesima persona, perché è impossibile esaurirne le risorse e i segreti, che sono infiniti. Perciò, da questa stessa e unica fonte possono scaturire gli atteggiamenti opposti della fedeltà ossessiva, integrale, e del libertinaggio: aspetti diversi di una simile esplorazione, condotta per così dire in verticale o in orizzontale, intensiva o estensiva.
In realtà, ben pochi uomini sono abbastanza curiosi e vitali, e portati ad avere sul serio voglia di effettuare quest’esplorazione: quel che si potrebbe definire l’autentico desiderio riguarda una minoranza relativamente esigua.
Così come non è affatto vero che il sesso infesti la mente di tutti gli uomini, anzi; oppure lo infesta in tutt’altro senso, perché chi non prova naturalmente questo interesse si ritiene in obbligo di manifestarlo in modo ossessivo o comunque in modo artificiale, gregario, imitativo, in ossequio a un luogo comune, come avviene per qualsiasi altra convenzione sociale.
In Casanova, il desiderio si mostra in grado di alimentare sé stesso, senza bisogno di aver già individuato il suo oggetto. La leggera ebbrezza e la fuoriuscita dalla condizione ordinaria sono per lui, in sé e per sé, desiderabili: priva di quel brivido di eccitazione, la sua vita sarebbe impoverita e le ragioni per viverla ulteriormente ridotte. La semplice attività di ricerca di persone da desiderare, la pura, e quasi platonica, teorica aspettativa, ancora priva di un oggetto, creano in lui uno stato di interesse, di attenzione, di eccitazione, di lietezza d’animo che, anche quando non portano a nulla e nessuno, risultano più interessanti e vitali dello stato di quiete. Senza questa fibrillazione si sentirebbe morto e lo sarebbe, in effetti.
Dunque, si può desiderare il desiderio, anzi è forse questa la spinta primaria, desiderare di sentirsi toccati dal desiderio, desiderare di ardere anche senza motivo, anche contro ogni evidenza, sempre e comunque, pur di non restare passivi e disanimati.
Casanova si è abbandonato corpo e anima a quella spinta primaria; ardeva sempre e comunque, divenendo capace, così, di pregustare il piacere ben prima del suo compimento. Il piacere lo invadeva al solo pensiero che stesse per arrivare, e lui se ne abbeverava in anticipo. Grazie a questa capacità si era trasformato in una specie di veggente, in grado di prefigurare, fin da subito, l’oggetto della sua brama, ma anche di individuare, ogni volta, la propria brama per orientarla verso l’oggetto in grado di soddisfarla.
Le Memorie furono scritte negli ultimi tristissimi anni della sua vita, quando le donne ormai l’avevano messo alla porta. Vecchio, povero e solo (faceva il bibliotecario al castello di Dux del conte Waldstein, in Boemia), sbeffeggiato dalla servitù, mentre per i suoi pari era un relitto di un’epoca tramontata per sempre; avendo concluso la sua vita in piena bancarotta, lo si dava per spacciato.
Ma invece di colpevolizzarsi e accusarsi di aver sbagliato tutto, rinnegando il suo vissuto sino ad annientarlo, svuotandolo ulteriormente di senso, a quel punto lui cosa fa? Fa l’esatto contrario, rovescia la situazione: si cala interamente nel passato per riviverlo alla luce del suo presente desolante, e così se ne libera, rinascendo in un avvenire che sarebbe consistito nella compiutezza memorabile della sua opera. Mettendo per iscritto la sua vita la stava immortalando attraverso i secoli.
Del resto, ci si sente dei falliti solo quando si mira a qualcosa e poi lo si manca, perché non ci si è impegnati come si doveva, non si era abbastanza seri nell’intento o, peggio ancora, si puntava a qualcosa che non era alla propria portata, per pura megalomania. È folle desiderare qualcosa quando non si possiedono i mezzi per raggiungerla, si apre una crepa irreparabile. Casanova, invece, non si è mai pentito di come aveva condotto la sua vita: non puntava ad alcun obiettivo, quindi gli era impossibile fallirlo.
«Non avendo mai avuto una meta fissa, il solo sistema al quale potei ricorrere, se sistema è, fu di lasciarmi andare dove mi spingeva il vento». Era sempre stato assetato di cose nuove, esperienze diverse, con sempre diverse donne; aperto all’incontro, in attesa che questo accada, un’attesa attiva che coltiva la possibilità del suo avvento; d’altronde, l’incontro con l’Altro non è qualcosa che può essere programmato o cercato, bisogna solo farsi trovare da esso e renderlo significativo accogliendolo.
Ecco perché, pur amando Casanova allo spasimo le donne, nessuna era riuscita a trattenerlo e vincolarlo a sé. Eppure le aveva amate davvero, cogliendo di ognuna la singolarità, scolpendosela nella mente.
«Ho amato follemente le donne, ma ho sempre preferito loro la libertà», vale a dire la libertà del suo desiderio di non mettere radici, di non arrestare la sua corsa legandosi in modo definitivo a qualcosa, o qualcuno, che conferisse stabilità alla sua esistenza. Dunque, non accontentarsi di una vita sola, bensì viverne migliaia. Casanova lascia paesi, case, amici e donne, seguendo, appunto, la direzione del desiderio che lo trascina non sa nemmeno lui dove; per questo non gli è possibile accumulare denaro o costruire qualcosa di solido che possa garantirgli una serena vecchiaia; nonostante il suo straordinario ingegno, non si impegna in alcuna professione né persegue una carriera. «Il pensiero di fissarmi in qualche posto mi ha sempre ripugnato e una vita condotta sensatamente mi sarebbe parsa assolutamente contro natura».
Non voleva creare con le donne legami sentimentali duraturi, perché sarebbero stati destinati a essere corrosi dal tempo, così come si sarebbe corroso lui. Per Casanova un legame permanente avrebbe, prima o poi, cessato di bruciare, perché avrebbe cessato di bruciare lui.
Nelle sue avventure si rivela una costante: all’inizio l’amore divampa, poi, nel tempo, la fiamma si smorza per mille motivi, il desiderio non è più lo stesso e scade in un suo surrogato. Subentra la stanchezza. E la sua apparizione è segno che non c’è più desiderio, che qualcosa è morto.
Casanova non rimugina mai: se la relazione si sfalda la abbandona, certo di essere presto coinvolto in una diversa avventura amorosa. Ma noi sappiamo che ci sono amori che possono durare nel tempo senza smettere di ardere. La loro è, come diceva Ungaretti, una «quiete accesa». Uno può guardare lo stesso paesaggio naturale milioni di volte, ogni volta apparendogli diverso, perché diverso è il suo sguardo che si posa su di esso; come quando riguardiamo lo stesso tramonto o gli stessi fiori, che ogni anno appaiono con il primo vento di primavera. Sono gli stessi fiori ma sono sempre differenti. Non ci stancheremmo mai di guardarli perché tutto cambia: cambio io che li guardo, cambia il momento in cui lo faccio. Nulla è identico a sé, né può ritornare com’era prima; se questo sembra avvenire, si tratta solo di una nostra immaginazione. Quindi un amore che dura, dura perché non ci allontaniamo dalla fiamma iniziale che l’ha fatto divampare, la rinnoviamo di continuo in altri infiniti momenti. A ognuno di noi viene data la possibilità di trasformare un incontro in un destino, in un “per sempre”, in sentimento che si eternizza; posto che sia questo che si cerca, se cioè si vuole coltivare un affetto simile a quelli provati verso chi ci ha accudito e curato, amato, quando ne avevamo più bisogno, nell’infanzia; o al contrario, proprio perché tale accudimento ci è venuto a mancare troppo presto, lo desideriamo spasmodicamente in seguito, fino all’eccesso.
Casanova aveva avuto rapporti famigliari scarsi, e questo fece di lui uno sradicato ma senza traumi: cambiava rotta ogni volta a seconda degli eventi, vivendo in una continua erranza sentimentale; non si legava a nulla, non possedeva nemmeno nulla, i soldi guadagnati, di volta in volta, puntualmente li perdeva. Quando entrava nelle simpatie di qualche potente succedeva sempre qualche guaio, e cadeva in disgrazia; subito dopo risorgeva, facendo ricorso alle sue doti prodigiose e cambiando mestiere.
Avventuriero, alchimista, diplomatico, scienziato, imprenditore, spia, filosofo, poeta; la sua vita diventa ricca, variegata, molteplice, eccezionale e colorita come forse nessun’altra; la ricostruisce con le parole dopo averla sontuosamente dilapidata; raccontandola, colui che non ha mai voluto diventare qualcuno né identificarsi in qualcosa si trasforma, a sua insaputa, in uno scrittore dall’esistenza incomparabile, e non appunto per sua volontà, ma per quella della sua stessa vita.
da “L’arma del desiderio”, di Tiziana Della Rocca, Castelvecchi, 2021, pagine 80, euro 10