Rompere le uova Ode all’omelette

Morbide e sensuali, al limite del lussurioso pur essendo un cibo da digiuno, sono tra le preparazioni più amate: ma cosa crea la magia? La chef di Eggs, Barbara Agosti, ci spiega l’alchimia

«Fritte, strapazzate, affogate, trascinate nella cenere, gettate nel caminetto, pasticciate, indiavolate… Sono solo alcuni dei modi in cui le uova sono preparate, e poi sacrificate al dio Ventre, nei giorni di magro “infralardellati” (che scivolano “tra un lardo e l’altro”)», scriveva Massimo Montanari, riprendendo Francçoi Rabelais in Gargantua e Pantagruel. Ma è nell’omelette e nelle sue pieghe cremose rifugiamo. Auguste Escoffier, nel suo Guida alla cucina (Giunti), dedica 70 ricette a questa preparazione simbolo della cucina francese. Secondo Barbara Agosti, chef del ristorante Eggs (Roma), «è un piatto molto sensuale per le sue consistenze: il guscio, un po’ più cotto, e all’interno, la parte più cremosa». Ma perché le omelette sono irresistibili?

La materia prima

«Le uova, dopo la carne, tengono il primo posto fra le sostanze nutritive», scriveva Pellegrino Artusi. Montanari nota come fossero tra gli alimenti preferiti dai monaci per osservare gli obblighi del digiuno «senza però negarsi le gioie del palato». Per fare una magistrale omelette è necessario partire da qui, dalla materia prima. «Conta in tutte le preparazioni – sottolinea Agosti – Dove ci sono pochi ingredienti e poveri, conta ancora di più. Un uovo prodotto in batteria ha qualità diverse rispetto a quello deposto da animali allevati all’aperto. Anche dal punto di vista nutrizionale è un alimento migliore. L’albume dell’uovo da galline di batteria è molto liquido, a causa dei ritmi alti di deposizione. Per quelle galline libere di razzolare all’aria aperta, l’albume è molto gelatinoso, denso» e tutto questo si legge anche in un piatto “semplice” come l’omelette.

Cos’è un’omelette

L’omelette ci strega con le sue consistenze – più cotta fuori, cremosa dentro. Il ripieno, che può esserci o no, costruisce sinfonie ogni volta diverse. Secondo Escoffier, si tratta di «speciali uova strapazzate racchiuse in un involucro di uovo rappreso, null’altro». Agosti aggiunge: «l’omelette ci piace perché è un piatto veloce, nutriente, si abbina a qualsiasi pietanza e può diventare un piatto unico. Cambia con le stagioni, è un’ottima base per il caviale ed è perfetta gustata con una flüte di Champagne, di Franciacorta, Prosecco o anche solo un calice di bianco secco».

Codificata in Francia, è una ricetta simbolo della tradizione culinaria d’oltralpe, anche se l’Academie de Gastronomes, fondata nel 1930 da Curnonsky, sostiene che potrebbe trattarsi dell’evoluzione di una specie di frittata tipica romana, l’ovo mellita, una preparazione a base di uovo e miele.

Secondo Escoffier «La teoria della preparazione dell’omelette è molto semplice ma risulta, al contempo, anche piuttosto complicata, perché i gusti in materia sono molteplici. Alcune persone la desiderano ben cotta, altri appena rappresa; altri ancora, poi, la preferiscono solo quando è ancora in piccola parte liquida».

La sua esecuzione dipende prima di tutto dall’esercizio e dalla destrezza. Come spiega Agosti, c’è chi sa creare la tasca con un colpo di polso e chi deve aiutarsi con la fidata spatola di silicone. La cosa più importante secondo Escoffier è: «assicurarsi l’uniformità delle molecole dell’uovo e la consistenza morbida dell’insieme».

«Il segreto per l’omelette perfetta è avere la giusta temperatura del padellino che si cuoce – spiega Agosti – L’uovo, ben sbattuto, deve essere messo quando il burro inizia a friggere. Quando succede, allontanare il padellino dal fuoco, versare il composto e far cuocere lentamente. A questo punto l’uovo va girato una spatola di silicone, disegnando un otto, e raccogliendo quello che si rapprende prima, ai bordi. Poi la si lascia cuocere a fuoco medio basso: quando si ha la sensazione che sia quasi cotta, si allontana dal fuoco, si farcisce e si va a creare la tasca con un movimento di polso o aiutandosi con una spatola». Al termine della preparazione Escoffier consiglia di cospargere la superficie con un pezzo di burro, «così da renderla brillante: non si tratta di un passaggio obbligatorio ma consigliabile».

La sottile linea dei 63°C

C’è un sottile confine che, se oltrepassato, trasforma l’omelette in qualcos’altro. Del resto, come dice l’Artusi, «Chi è nel mondo che in via sua non abbia fatta una qualche frittata?». La parola è spesso usata come sinonimo per errore, pasticcio, ma se l’omelette ci fa sbavare per la sua cremosità, è nell’uovo cotto della frittata, che deve pur sempre rimanere morbidina, che batte il cuore comfort food dell’uovo. I nostri ricettari regionali sono pieni di variazioni sul tema, anche se poi pensiamo ci concentriamo sulla tortilla spagnola, fatta con le patate. Da Eggs si può gustare la tortilla servita su una specie di piadina, acqua e farina, e verdure.

«La frittata è un piatto unico, velocissimo da fare e da farcire con qualsiasi cosa, dagli agretti agli asparagi, passando per luppolo e carciofi. Ci piace perché è un piatto economico e nutriente, che ci aiuta a non sprecare il cibo. In più, si può preparare in anticipo perché anche fredda è molto buona, ad esempio in un panino». La differenza fondamentale con l’omelette è la cottura, che penetra fino al cuore. La si cuoce prima da un lato e poi, grazie all’aiuto di un coperchio o di un piatto, si fa terminare la cottura anche dall’altro lato.

«Qui troviamo il sapore dell’uovo cotto, mentre nell’omelette c’è quello più tipico dell’uovo in camicia, a cui si aggiunge la texture “bavosa”». La frittata perfetta? Quella cotta in modo uniforme e attento: stracuocere è il peccato da evitare. «Il segreto è sempre il fuoco medio-basso: infatti, le proteine dell’uovo coagulano attorno ai 63 gradi. Se le si cuoce a un fuoco molto basso, il processo si compie più lentamente e in modo uniforme».

La terza via

Tra omelette e frittata c’è una terza via: le uova strapazzate, preparazione che appassionava anche il principe Filippo. «Anche in questo caso possono essere assolute, condite con uova e sale oppure con verdure o formaggio. Si procede come per le omelette, versando l’uovo sbattuto nel padellino caldo, ma si continua a mescolare, cuocendo con attenzione per lasciarle morbide», spiega Agosti.

Il diritto al piacere

Siamo geneticamente programmati per mangiare ciò che ci dà piacere. La morbidezza e la cremosità dell’uovo dicono al nostro corpo che lì c’è energia, ci sono le proteine. «Siamo persone di gusto se riconosciamo le qualità di ciò che stiamo sperimentando – dice Montanari – si tratti di un piatto cucinato o di un quadro». Nella sua semplice perfezione, nell’omelette troviamo tutte le qualità del cibo che conforta con l’incredibile, vibrante bellezza di forma e texture. L’unica speranza è sempre la stessa: che sia ben fatta.