Aspettando NextGenerationEuChe fare se rischia di saltare il debito pubblico europeo

La decisione del Consiglio sul piano di ripresa, che autorizza la Commissione a indebitarsi sui mercati dei capitali emettendo titoli di un simil tesoro, è stata ratificata da 16 parlamenti nazionali su 27. Ma gli 11 rimanenti creano una situazione di stallo, soprattutto per motivi di dissenso politico

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Per la quinta volta nella storia dell’integrazione europea dal Trattato di Maastricht (1992) i giudici costituzionali tedeschi di Karlsruhe – impedendo provvisoriamente al Presidente federale Steinmaier di completare l’iter della ratifica in Germania dell’aumento del massimale delle risorse proprie europee – hanno gettato una doccia fredda sulle spalle dei leader europei.

Questi, dopo innumerevoli traversie e bizantinismi giuridici, avevano deciso a dicembre 2020 di creare un piano per la ripresa europea (il Recovery Plan o Next Generation Eu, ispirato da quello lanciato nel 1947 ad Harvard dal Generale Marshall): non un fondo come qualcuno si ostina ancora cocciutamente a chiamarlo ma un programma di investimenti per un ammontare totale di 750 miliardi di euro legati a criteri precisi di politiche soprattutto di sostenibilità sociale e ambientale rese urgenti e necessarie per far uscire i paesi dell’Unione dalla crisi provocata dalla pandemia.

Poiché sarebbe stato impossibile raggiungere un accordo unanime per aumentare in modo consistente il bilancio pluriennale europeo 2021-2027 – fermo da trent’anni al grottesco livello dell’1% del Reddito nazionale lordo degli Stati membri e finanziato per il 70% dai contributi nazionali secondo aliquote legate alla ricchezza nazionale – è stato deciso di autorizzare la Commissione europea a indebitarsi sui mercati dei capitali emettendo titoli di un simil tesoro europeo così come è stato fatto per lo strumento Sure, che è stato comparato ad una cassa di integrazione europea a sostegno dei lavoratori colpiti dagli effetti economici della pandemia.

L’accordo fra i leader europei è stato trovato a due condizioni: il piano di ripresa avrebbe dovuto essere temporaneo e dunque legato agli effetti dell’emergenza pandemica fino al 2026 e il rimborso del debito pubblico avrebbe dovuto essere effettuato a lunga scadenza fino al 2058, non attraverso i contributi nazionali ma attraverso risorse proprie europee (sostanzialmente attraverso una politica fiscale comune equa e sostenibile). Quindi secondo un programma di massima indicato dalla Commissione europea da attuare entro il 2023.

Affinché la Commissione potesse indebitarsi sulla base di una garanzia finanziaria certa, è stato deciso di aumentare il livello massimo del finanziamento del bilancio pluriennale europeo (che è fondato sui principi della parità, dell’unità e della universalità) dall’1,2 – che è il livello massimo formale anche se i governi si sono sempre fermati all’1% – al 2%, in modo tale da coprire le spese “correnti” europee che ammonteranno fino al 2027 a circa 1100 miliardi di euro, e per ricorrere al debito europeo per gli altri 750 miliardi di euro del Next Generation Eu.

In base al trattato, la decisione unanime del Consiglio relativa all’aumento del massimale deve essere approvata dagli Stati membri all’unanimità «secondo le loro regole costituzionali rispettive», il che si traduce in ventisette ratifiche parlamentari nazionali con il Parlamento europeo ridotto al ruolo di osservatore («dopo consultazione del Parlamento europeo», dice il Trattato) con buona pace del principio democratico “no taxation without representation”. Anche se, dopo la decisione puramente intergovernativa sul massimale, il quadro finanziario pluriennale viene deciso di comune accordo fra il Consiglio e il Parlamento europeo – che avrebbe un potere di veto – creando la situazione economicamente e finanziariamente insana di un bilancio determinato dalle entrate e non dalle spese.

In più di tre mesi, la decisione unanime del Consiglio è stata ratificata da sedici parlamenti nazionali, fra cui quello tedesco (Bundestag e Bundestag) con una maggioranza che si potrebbe definire “bulgara”. Poiché la firma della ratifica spetta al Presidente federale, l’approvazione formale non è ancora giunta a Bruxelles e secondo i tempi che si auto-assegnano i giudici di Karlsruhe l’autorizzazione alla ratifica tedesca – se arriverà – potrebbe avvenire non prima dell’inizio dell’estate.

Mancano tuttavia all’appello undici parlamenti nazionali con ritardi che nulla hanno a che fare con le procedure parlamentari ma che sono legate a sostanziali dissensi politici sull’idea di un debito pubblico europeo, sulla convinzione che il superamento della crisi economica provocata dalla pandemia sarà più lungo di quanto è stato immaginato e che le sfide a cui sarà chiamata l’Unione richiederanno un bilancio europeo più sostanzioso, vicino a quello federale degli Stati Uniti, come è stato detto da Mario Draghi al Consiglio europeo del 25 marzo, sul retro pensiero che la strada di vere risorse proprie europee e cioè di una politica fiscale comune sarà seminata di tali e tanti ostacoli che alla fine dovranno essere gli Stati membri e dunque i cittadini dei loro Paesi a dover mettere mano al portafoglio per rimborsare il debito europeo.

A ben vedere è questa la ragione costituzionale di fondo su cui potrebbe fondarsi una decisione nel merito dei giudici tedeschi insieme all’idea secondo cui il Consiglio è andato oltre il Trattato, dando ragione ai ricorrenti del partito della Alternativa per la Germania (Afd) e elevando un muro apparentemente invalicabile sulla via del debito pubblico europeo, dunque del Recovery Plan, che sarebbe rafforzato dalle reticenze di quei parlamenti (austriaco, finlandese, olandese, polacco) che non hanno ancora ratificato.

Sarebbe a questo punto urgente far uscire la discussione sull’aumento del massimale delle risorse e sull’introduzione di nuove risorse dal recinto dei dibattiti parlamentari nazionali promuovendo – come fecero il Parlamento italiano e quello europeo nel 1990 di fronte al rischio di un impasse nel negoziato intergovernativo che portò successivamente al Trattato di Maastricht – delle assise interparlamentari.

Queste sarebbero chiamate a discutere e decidere sulla ripartizione degli oneri finanziari e delle politiche fra l’Unione e gli Stati membri e collocando le assise nel quadro della Conferenza sul futuro dell’Europa e nella prospettiva che, dopo la Conferenza, il Parlamento europeo assuma un ruolo sostanzialmente costituente.