Il piano economico di Joe Biden da 1.900 miliardi di dollari porterà negli Stati Uniti un aumento della liquidità prossimo all’11 o 12% del prodotto interno lordo nel 2021. Come avevamo già raccontato, si tratta di uno dei programmi di politica economica più imponenti della storia statunitense, nonché una delle più grosse misure di contrasto alla pandemia a livello globale.
L’American Rescue Plan Act arriva in un momento in cui negli Stati Uniti la campagna vaccinale procede su ritmi particolarmente serrati, anche promettenti in prospettiva futura: la scorsa settimana lo stesso Biden ha detto che ogni adulto statunitense dovrebbe aver diritto ad almeno una dose di vaccino entro il primo maggio, e ha indicato la festa dell’Indipendenza – il 4 luglio – come obiettivo per un ritorno alla normalità, almeno per alcuni aspetti della vita sociale.
Rispetto al panorama americano quello europeo sembra il negativo della stessa fotografia. Le nuove misure fiscali previste dai 19 Paesi dell’Eurozona non sono paragonabili agli stimoli economici previsti dal piano di Biden: ammontano al 6 per cento del Prodotto interno lordo del gruppo. Allo stesso modo l’obiettivo di somministrare il vaccino al 70% degli adulti entro settembre sembra sempre più lontano. A maggior ragione dopo la recente sospensione temporanea dei vaccini AstraZeneca decisa da diversi Paesi europei – misura precauzionale presa già da Italia, Germania, Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Portogallo, Cipro, Lettonia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia, Svezia e Irlanda.
I dati sugli andamenti economici, i provvedimenti per superare la crisi e lo stato di avanzamento della campagna vaccinale tracciano una separazione netta, evidente, inconfutabile tra Stati Uniti e Unione europea. Uno spread che il Financial Times evidenzia in un articolo scritto a quattro mani da Martin Arnold, da Francoforte, e James Politi, da Washington.
«Fin dall’inizio, la pandemia di coronavirus ha fatto in Europa danni economici più grandi rispetto agli Stati Uniti. E le risposte alla crisi ci dicono che le due economie dovrebbero allontanarsi ulteriormente: l’output gap dell’Unione, cioè il deficit di ciò che i Paesi stavano producendo rispetto al loro pieno potenziale all’inizio di quest’anno, era il doppio rispetto a quello degli Stati Uniti. Vuol dire che l’economia europea stava creando meno posti di lavoro, producendo una domanda più debole e generando inflazione inferiore».
Nel 2020 l’economia dell’Eurozona si è ridotta del 6,6%, quasi il doppio rispetto al calo del 3,5% dell’economia degli Stati Uniti. E le previsioni dicono che nei primi tre mesi di quest’anno i 19 Paesi del blocco europeo dovrebbero registrare un secondo trimestre consecutivo di crescita negativa.
La scorsa settimana l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) ha ha previsto che l’economia statunitense crescerà del 6,5% quest’anno e del 4% l’anno prossimo, superando le stime di crescita previste al 3,9% per quest’anno e al 3,8% per il 2022.
Nei prossimi giorni anche la Federal Reserve dovrebbe aggiornare le sue proiezioni per la crescita economica degli Stati Uniti di quest’anno. A dicembre, la Fed aveva dichiarato di aspettarsi un aumento della produzione di circa il 4,2%, ma con lo stimolo dell’American Rescue Plan Act di Biden e una campagna vaccinale più efficiente del previsto è probabile che le prossime stime siano ancor più ottimistiche.
«È probabile che gli Stati Uniti raggiungano le condizioni economiche pre-pandemia già il prossimo anno. Mentre per l’Europa il ritorno a quei livelli dovrà aspettare verosimilmente qualche anno», scrivono Arnold e Politi sul FT.
La stessa presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde la scorsa settimana aveva detto che c’è stato un ritardo tra i piani di stimolo fiscale degli Stati Uniti e quelli europei. Parlando al Financial Times, la docente di economia della London Business School Lucrezia Reichlin ha detto: «I funzionari dell’Unione europea hanno mostrato uno scarso desiderio nell’emulare lo stimolo da 1,9 trilioni di dollari del governo degli Stati Uniti: si sono concentrati sul Next Generation Eu da 750 miliardi di euro dell’Unione, che fornirà un mix di prestiti e sovvenzioni agli Stati membri in cinque anni. Ma la spesa per il 2021 non supererà l’1% del Pil dell’intero blocco».
A inizio mese Bruxelles ha annunciato che le regole del Patto di stabilità – che pone ai Paesi membri vincoli su debito e deficit – sarebbero state sospese almeno fino al 2022. Ma in vista di una futura reintroduzione difficilmente i governi sceglieranno di osare troppo con le politiche fiscali. «I ministri delle finanze sanno che prima o poi saranno di nuovo colpiti dalle regole, motivo per cui sono così prudenti», scrive il Financial Times.
Parlando con il quotidiano economico l’ex vicepresidente della Banca centrale europea, il portoghese Vítor Constâncio, ha lanciato una proposta per facilitare il lavoro agli Stati membri: «Si potrebbero escludere dai calcoli del debito nazionale i 350 miliardi di euro di prestiti previsti nel pacchetto di aiuti dell’Unione».
Ci sono, infine, altre due condizioni che potrebbero aumentare il divario tra l’economia americana e quella europea nel prossimo futuro.
La prima è legata ai consumi, partendo dai risparmi delle famiglie americane: presto potrebbero averne in eccesso, dal momento che la maggior parte degli americani riceverà un assegno di 1.400 dollari come parte del programma di Biden. «Secondo l’Ocse infatti nel 2020 le famiglie statunitensi hanno accumulato risparmi in eccesso pari a oltre il 14% dei consumi privati nominali, di contro il risparmio extra delle famiglie francesi, spagnole, italiane e tedesche dovrebbe attestarsi tra il 3% e il 7% dei consumi», si legge sul Financial Times.
La seconda spaccatura potrebbe verificarsi nella politica monetaria. È improbabile che la Federal Reserve cambi nuovamente dopo aver alzati i tassi di interesse e ridotto gli acquisti di asset.
Tuttavia, spiega il FT, se l’economia statunitense si riprenderà pienamente quest’anno e si avvicinerà alla piena occupazione nel 2022, la banca centrale è tenuta a prendere in considerazione una rimozione anticipata del sostegno economico previsto. Questo potrebbe creare frizioni rispetto alla strategia della Banca centrale europea, che aveva annunciato un aumento significativo del ritmo dei suoi acquisti di obbligazioni, e prevedeva che l’inflazione sarebbe rimasta bassa almeno per un paio d’anni.