EcofriendlyPerché la dieta mediterannea è la più sostenibile per il pianeta

Patrimonio immateriale dell’Unesco e celebrata dalle più importanti classifiche internazionali sul food, il nostro regime alimentare ha un basso impatto ambientale e potenzialità benefiche per il nostro organismo

Pixabay

È stata eletta in questi giorni la migliore al mondo dal Best diet ranking 2021 della testata statunitense U.S. News & World Report, nota a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori. Dieci anni fa l’Unesco l’ha riconosciuta come patrimonio immateriale dell’umanità. Stiamo parlando della nostra dieta, quella mediterannea, considerata la più sana dal punto di vista nutrizionale ma anche da quello della sostenibilità.

È possibile definirla sana perché prevede un elevato consumo di verdura, legumi, frutta fresca e secca, olio d’oliva e cereali. Un moderato consumo di pesce e prodotti caseari (specialmente formaggio e yogurt) e un ancora più moderato consumo di carne e dolci.

Ma anche ecofriendly perché dimezza l’uso del suolo e in media il 50% in meno di acqua rispetto ad altre diete. Un esempio concreto? Su 100 calorie, questo regime alimentare induce un impatto ambientale di quasi il 60% inferiore rispetto alle abitudini alimentari tipiche del nord America, dove è maggiore il consumo di carni e grassi animali piuttosto che di vegetali e cereali.

Le attestazioni scientifiche

Nel 2016 l’International Foundation of Mediterranean Diet, con la pubblicazione della Met Diet 4.0, ha identificato i quattro vantaggi della dieta mediterranea: miglioramento della salute, minor impatto ambientale e ricchezza della biodiversità, alto valore socioculturale e i ritorni positivi sull’encomia locale.

Si tratta di un regime alimentare che incentiva il consumo stagionale di prodotti freschi e locali, la biodiversità e la varietà di cibi, stimola le attività culinarie tradizionali, la convivialità e la frugalità e inoltre rispetta le specificità del territorio, il che può giovare alle economie locali.

Come riporta Fondazione Barilla, a enfatizzare il vantaggio dei modelli alimentari sani sulla salute è stata l’American Cancer Society nell’aggiornamento delle linee guida su dieta e attività fisica nella prevenzione del cancro.

Gli esperti hanno messo in risalto che tali modelli, incluso la dieta mediterranea, si associano anche a un minor impatto ambientale, riducendo ad esempio le emissioni di gas serra e l’uso di energia, terra e acqua. «[…] l’attuazione dei modelli dietetici raccomandati […] può portare a una maggiore sicurezza alimentare e sostenibilità ambientale per le generazioni future».

Uno studio del 2020, pubblicato sul British Medical Journal, ha suggerito che una dieta mediterranea ancora più verde, ovvero meno ricca di carne ma con un alto contenuto di vegetali, potrebbe avere benefici maggiori di quella “tradizionale” sullo stato cardiometabolico e anche in termini di riduzione del rischio cardiovascolare.

L’esempio del Future Food Institude

Il Cilento, laboratorio di biodiversità di terra e di mare, ospita la città di Pollica, eletta capitale della dieta mediterranea. È proprio qui che il fisiologo americano Ancel Keys elaborò quello che oggi è universalmente considerato il regime alimentare più equilibrato al mondo.

«A Pollica – spiega Sara Roversi, fondatrice del Future Food Institute, un centro di ricerca e formazione che fa della food innovation lo strumento per sostenere l’implementazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’agenda 2030 delle Nazioni Unite -, ci siamo riconnessi con le nostre origini, scoprendo che c’era qualcuno che 2.500 anni fa già parlava di elementi essenziali, quei valori essenziali oggi necessari per attuare 17 obiettivi di sviluppo sostenibile, affrontando la transizione ecologica con un approccio integrale partendo dallo stile di vita, uno dei più famosi al mondo, la dieta mediterranea, patrimonio dell’umanità».

Pollica, spiega Roversi, è un paese simbolo: «Questa comunità ha fatto dell’ecologia uno stile di vita. Siamo, inoltre, nel parco del Cilento, uno di quelli che ancora oggi protegge il maggior numero di biodiversità in tutta Europa. È un’area a rischio desertificazione che ha bisogno di sostenere quella piccola agricoltura fondamentale per proteggere le biodiversità».

Da anni Future Food Institute si occupa di proteggere le biodiversità e valorizzare il patrimonio della dieta mediterranea.

Come ricorda Roversi, questo regime alimentare è diventato per il nostro Paese un vero e proprio “soft power” che parte dal locale per agire su scala globale fatto di storia, cultura, tradizioni, rituali, mestieri, condivisione e gusto.

Un modello per affrontare concretamente i prossimi anni, rispondendo alle sfide che gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda Onu 2030 e la nuova strategia Farm to Fork Europea per la riduzione degli impatti ambientali dell’agroalimentare ci pongono di fronte.

Mediterraneo e dieta mediterranea sono state tematiche centrali all’interno del palinsesto del Food for Earth Day, la maratona digitale di 24 ore sulla sostenibilità organizzata da Future Food Institute e Fao – Food and Agriculture Organization of the United Nations – in occasione della Giornata della Terra.

La scelta di trasmettere l’evento per l’Italia proprio da Pollica sottolinea come questo stile di vita, che mira all’armonia tra l’uomo e l’ambiente, sia oggi strumento essenziale per la salvaguardia della biodiversità, dell’ecosistema e della nostra identità.

Pollica è anche la casa di formazione dei Climate Shapers, ragazzi (giovani scienziati, attivisti, innovatori, agricoltori, chef, imprenditori) provenienti da ogni parte del mondo, accomunati da un’unica grande motivazione, salvare il pianeta Terra partendo dalla rigenerazione dei sistemi agroalimentari, ripensando la produzione, la distribuzione ed il consumo di cibo.

Qui si trova infatti la prima sede del Food & Climate Shapers Boot Camp, organizzato da Future Food Institute e Fao che, nell’ambito degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, fornisce alle nuove generazioni gli strumenti per costruire modelli di sviluppo sostenibile. «Chi viene qui – ricorda Roversi – poi diffonde nel mondo conoscenze che magari noi diamo per scontate. Chi viene qui per fare formazione diventa ambasciatore di un intero sistema culturale, di uno stile di vita prima che alimentare, in tutto il mondo».

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