La frustata di Mario Draghi alle Regioni potrebbe sortire i suoi effetti fra qualche giorno – almeno si spera – perché permane quest’aria sospesa nella guerra al Covid che ieri ha segnato un nuovo terribile numero di morti, 718, dai quali però, con questi calcoli macabri che bisogna pur fare, vanno sottratti i deceduti in Sicilia che non erano stati conteggiati, sicché la cifra dei decessi di ieri è 460. Ma la messa in riga delle Regioni da parte del presidente del Consiglio, con l’ammonimento persino brutale a vaccinare anziani e fragili, non ha trovato facilmente uno strumento efficace per affermarsi: comunque a tarda sera la famosa direttiva Figliuolo è stata emanata.
Si tratta di un punto che Draghi aveva messo quasi al centro della sua conferenza stampa, una conferenza stampa un po’ strana, meno concreta delle altre.
La direttiva del Commissario Figliuolo alle Regioni è infatti necessaria per ricalibrare il piano vaccini che deve adeguarsi alle nuove indicazioni per Astrazeneca da ieri destinato alla popolazione con età superiore ai 60 anni.
Si tratta di spezzare il potere di quelle Regioni, specie alcune (la Puglia sembra quella più in ritardo), in cui il rischio è che ognuno faccia per conto suo, consentendo cancellazioni di prenotazioni e rallentando la campagna vaccinale. Mentre non tutti ritengono realistico l’obiettivo delle 500mila vaccinazioni per la fine di aprile (tra 20 giorni!) ribadito dal presidente del Consiglio.
È vero che il ministro Roberto Speranza ha firmato le ordinanze per il passaggio da lunedì in zona arancione di quasi tutte le Regioni che erano rosse (tranne Puglia, Campania e Val d’Aosta) mentre diventa rossa l’unica regione che era stata per qualche giorno addirittura bianca, la Sardegna. Speranza ha ricevuto una fiducia importante dal presidente del Consiglio dopo gli attacchi quasi giornalieri di Matteo Salvini che ieri incontrando Enrico Letta è apparso particolarmente mansueto e in linea con Draghi che giorno dopo giorno rinsalda i bulloni dell’esecutivo.
Eppure bisogna registrare non solo una situazione che non evolve ma anche un certo nervosismo nell’opinione pubblica, su qualche giornale non ostile al presidente del Consiglio, sui social, a causa della perdurante vaghezza circa i tempi della riapertura.
Sul Corriere della Sera ieri un uomo certo non avventato né politicamente lontano da Draghi come Walter Veltroni ha chiesto una data precisa per riaprire, mentre altri hanno ricordato il 14 luglio evocato da Emmanuel Macron, la data più emblematica e solenne per i francesi, e in piccolo, il ministro per il Turismo Massimo Garavaglia aveva parlato del 2 giugno come data per la definitiva uscita dal dramma, e Carlo Calenda, formulando un’ipotesi di road map, aveva indicato addirittura la data del 15 maggio.
Per prudenza o mancanza di senso comunicativo però Mario Draghi non ha voluto essere più preciso. Effettivamente, fra i ritardi delle scorte (ieri un’altro problema con AstraZeneca) e perduranti problemi organizzativi specie in alcune Regioni, il nostro Paese non può vedere ancora la famosa luce in fondo al tunnel: si avverte che non è lontana ma è pur vero che il colpo di reni immaginato dal governo ancora non c’è.