La musica live per come siamo abituati a conoscerla è stata criogenizzata in attesa che – in un futuro non-complottista depurato dai no-vax – si riesca a trovare la cura per poterla risvegliare. La pandemia ha silenziato club, sale concerti, festival, costringendo artisti e addetti ai lavori a stravolgere le proprie abitudini artistiche e produttive. In un momento storico in cui le nostre esperienze collettive culturali si sono trasferite coattamente sul digitale, la musica live ha davvero colto ogni opportunità possibile per resistere ed evolversi?
Esistono tre modalità di utilizzo del digitale per la musica live. La prima, la più semplice e conosciuta, è la trasmissione in live streaming di un evento (pensiamo al Coachella che ogni anno trasmette l’intero festival su YouTube). Una sua evoluzione, la scelta più comune durante quest’ultimo anno, è la trasposizione del concerto o del set in location particolari o casalinghe; l’esibizione cinematografica di Liam Gallagher su una nave sul Tamigi o il dj set di Hot Since 82 in volo su di una mongolfiera sono esempi di come questa tendenza ad estremizzare l’estetica non abbia genere, così come le esibizioni acustiche intimistiche dalla propria abitazione sublimate nel progetto Together At Home in cui han preso parte artisti come The Rolling Stone, Lady Gaga, Paul McCartney, Chris Martin, Billie Eilish. Elton John.
Infine, ed è qui che si trova lo spazio d’espressione più interessante a cui guardare come terreno di investimento artistico, come ultima opportunità il digitale può essere luogo di incontro transdisciplinare, favorendo crossover di arti e artisti, stili e metodi, tecniche e idee, un valore aggiunto imprescindibile per l’evoluzione del sistema.
Non priva di una certa inconsolabile naïveté, l’industria musicale, nelle sue strutture quanto nei suoi player, non è stata davvero capace di approfittare appieno delle straordinarie condizioni ambientali per la promozione artistica garantite dall’ultima possibilità tecnica esposta. L’industria non è ancora riuscita ad assimilare il concetto per cui il digitale è qualcosa di differente dalla live music, rimanendo incastrata nell’incomprensione per cui i digital live vengono pensati e utilizzati come sostituiti provvisori dei concerti.
Piuttosto che ricercare nuovi orizzonti e commistioni, artisti e label hanno generalmente preferito giocare d’attesa, posticipando le proprie uscite discografiche in attesa del ritorno alla tanta agognata normalità dei tour, evitando un vero e proprio investimento creativo sul digitale, limitandosi a sfruttare con una discreta dose di banalità e ovvietà le vetrine social come surrogati della musica live. Sono mancate le idee e la voglia (tranne in alcuni pregevoli episodi) di travalicare i limiti (ri)conosciuti del sistema di oggi per nuotare fluidamente verso altre forme d’arte, altri spazi del possibile. In un concetto, è venuta meno la curiosità. La musica – mai come ora – necessita di immaginari e spazi: il digitale ha in sé la possibilità di essere la soluzione attesa, come dimostrano alcuni casi che possono farci ben sperare sulla futurabilità del mezzo in questione.
L’esperimento più eclatante, per obiettivi raggiunti ed eco mediatica, è stato certamente l’esibizione di Travis Scott all’interno di Fortnite, videogioco online free-to-play con oltre 350 milioni di registrati e quasi 80 milioni di utenti attivi. La virtual performance 3D del rapper americano è stata visualizzata da ben 28 milioni di gamer e, sebbene non sia facilmente riproducibile per questioni tecniche ed economiche, ha il merito di aver aperto la strada alla live music all’interno mondo dei gaming online.
Di conseguenza si guardi alle variazioni sul tema come i festival organizzati all’interno dei videogiochi online, come dimostrato da Square Gardan, l’evento lanciato su Minecraft dai 100 Gecs, stravagante e apprezzato duo queer-pop americano, dove oltre una decina di artisti si sono esibiti sotto forma dei celebri cubi del game per un party travolgente, o alla virtual performance di The Weeknd x TikTok, il social media della Gen Z.
Spostandoci nel mainstream, abbiamo potuto apprezzare grandi investimenti e ottimi riscontri nei live-streaming di Billie Eilish, Charli XCX, Dua Lipa dove, ripensando il concerto come una serie concatenata di videoclip live dal grande impatto estetico, si è riuscito a proporre qualcosa di interessante e affascinante per lo spettatore, tentativo naufragato coi Gorillaz nel loro noioso e prevedibile live show canonico filmato senza pubblico.
Nick Cave, con il suo Idiot Prayer, si è invece esibito in un’inedita performance per piano solo all’Alexandra Palace di Londra, da cui è stato prodotto un live-streaming, un film per i cinema, un disco; un’elaborazione intelligente di un’idea classica in chiave contemporanea. Sul piano dei festival, invece, il germoglio di un futuro arriva dall’Italia, con C0C, la versione online dello storico festival d’elettronica di Torino, Club To Club, capace di tracciare un primo sentiero per il settore dei grandi festival ripensando, come da claim, al festival as a performance.
Il tempo folle in cui viviamo è il tempo delle idee, degli esperimenti, del coraggio. Non della conservazione. Quello che emerge allargando la panoramica dei casi studio alle nicchie è che l’universo dei live digitali è in grado di garantire un’esposizione ampia, con una maggiore fidelizzazione del pubblico, eludendo investimenti economici onerosi. Questo grazie a semplici basi condivise: idee fuori dagli schemi, artigianato casalingo, collettivismo del DIY.
Prendiamo il caso del collettivo britannico Pc Music (che tra membri e affiliati conta artiste e artisti estremamente differenti come AG Cook, Hannah Diamond, Charli XCX, Umru, Caroline Polacheck, molti dei quali già presenti nel sopracitato festival su Minecraft) che ha mostrato un intelligente utilizzo delle piattaforme più comuni ed economiche come Zoom, Twich e YouTube per realizzare dei micro-festival tematici, con slot da 15 minuti a performance, in cui ogni artista era invitato a costruire un suo mondo audio-visivo inedito e peculiare, rimodellando la propria musica con inediti immaginari.
Le performance, pre-registrate, hanno quindi svariato dalla digital art a esperienze di realtà aumentata, con performance artistiche homemade e coinvolgimento totale dei partecipanti. La Pc Music non ha solo costruito piccoli contenitori di digital art, 3D art, realtà aumentata, video arte, performatività, ma ha spronato i partecipanti a estendere la propria arte evadendo dalla logica dell’anacronistico live acustico casalingo per mostrarci una via inedita: con la possibilità di pre-registrare le performance, l’artista può flirtare con le più svariate forme d’arte, anche in modo naif e amatoriale, senza limiti di messa in scena e con una libertà che sembrava persa dalla costrizione algoritmica dell’industria musicale.
Tutto è permesso sul digitale, e non a caso i festival della Pc Music, completamente disponibili su YouTube, assomigliano più ad archivi di video-arte piuttosto che a progetti come Tiny Desk (reinventato in pandemia nella versione At Home Concert), Boiler Room (che ha lanciato Streaming From Isolation) o il nostro Niente di strano, format legati ad un’idea di live standardizzata.
Altri interessanti casi studio in questa nostra ricerca sono il progetto multidisciplinare del dj e producer britannico Danny L Harle, Harlecore, uscita discografica dedicata alla rave culture nonché club digitale edificato dallo studio creativo di digital art Team Rolfes, le live session dell’artista israeliana Noga Erez pensate come un rilassato talk show da seconda serata con Q&A in diretta con il pubblico e i party digitali su Zoom di Club Quarantine dove il protagonista non è solo più il dj, ma il pubblico che – nei suoi singoli – diventa esso stesso soggetto performativo. Questi sono solo alcuni esempi in grado di mostrarci l’ampiezza espressiva del digitale.
Mai come oggi la musica ha bisogno di riconvertire le proprie idee all’interno dei nuovi territori del digitale. L’occasione, finora mancata, di uno sviluppo creativo nei digital live dovrebbe farci riflettere sullo stato di asfissia del sistema. È necessario ritornare ad immaginare. Immaginare al di là dell’individualistiche vetrine social, ripensando il digitale in modo libero e creativo; è uno sforzo necessario per la sopravvivenza dell’intera industria musicale e in particolarmente per il suo sottobosco.
Il digitale e le sue opportunità non saranno una parantesi, ma una presenza costante nel panorama artistico e culturale. Questa pandemia ha accelerato il processo – fortemente necessario – di costruzione di nuovi immaginari oltre il contemporaneo. Dobbiamo tornare a pensare al futuro. Dobbiamo costruire il futuro. Dobbiamo pretendere il futuro, a partire dalla cultura.